L’anno che stiamo per lasciarci alle spalle è stato orribile da tutti i punti di vista, ma quel che è peggio è che il prossimo si annuncia anche peggiore di quello appena andato. La crisi politica sembra ormai inarrestabile, così come inarrestabile è ormai il degrado della politica. Quel che è ancora peggio è però che alle vista non si intravede una via d’uscita allo sfacelo che hanno provocato questi politici e questo governo in particolare con le leggi approvate, come quella sulla riforma della scuola e la modifica del contratto dei lavoratori, che ci riportano indietro agli anni cinquanta quando la scuola non era per tutti e quando ancora i lavoratori non avevano i diritti e le tutele che negli anni si sono via via conquistati. La cosa più devastante che si preannuncia è certamente la riforma della giustizia, che mira ad attuare il programma piduista, come è appunto la modifica dell’art.330 del CPP, che arriva dopo che, per volere della Lega, per salvare dalla condanna per banda armata le camice verdi ed esponenti della stessa, è stato abolito il reato di banda armata. Come ha scritto oggi su fatto quotidiano Cosimo lorè: modificando l’articolo 330 del codice di procedura penale si arriva a quella che è stata la massima aspirazione di Berlusconi e della destra e cioè a “sottomettere il pubblico ministero alla Polizia di Stato con terrificanti persecuzioni in vista per lo sparuto drappello dei magistrati e giornalisti efficienti ed indipendenti e allarmanti impunità garantite ai massacratori in divisa dei sempre più numerosi Aldrovandi, Bianzino, Cucchi, Rasman, Uva.
Cosa si prepara per chi non è nel giro delle cricche e dei clan? Capo che non chiama più questure per proteggere minorenni, ma che fa chiamare i questori dal ministro dell’Interno di turno per mandare la polizia a sistemar come si deve i rompiscatole: forse è veramente l’ora che si facciano le valige e si emigri, prima che comincino a rieducarci casa per casa!” Penso che Lorè abbia ragione nell’indicare la sola via possibile per sottrarci a questo sfacelo, di cui, purtroppo ancora moltissimi Italiani non si rendono conto. La nostra democrazia ,seppure ancora zoppicante, si sta trasformando in una dittatura, questa è la realtà, inutile girarci intorno. Questa realtà è resa ancora più drammatica perché nel Parlamento Italiano non c’è un’opposizione degna di tale nome. Quel che preoccupa di più è che a promuovere la modifica dell’art. 330 è stato il PD, d’accordo con il PDL. E’ chiaro a tutti che in queste condizioni non possiamo sperare niente di buono per l’anno che verrà. Eppure non voglio rinunciare a chiedere a Gesù Bambino appena nato di rendere possibile il miracolo di mandare a casa o in qualche altro posto il più lontano possibile, con biglietto di solo andata, tutti questi politici da strapazzo che hanno rovinato l’Italia, che stanno stracciando la nostra Costituzione, stanno togliendo tutti i diritti a tutti, stanno affamando un popolo, stanno distruggendo la giustizia ,che hanno seppellito l’etica, stanno umiliando le donne. So che è molto quello che chiedo, ma so anche che sono cose indispensabili per salvarci! Un vecchio proverbio dice però: “aiutati che dio ti aiuta” e siccome i vecchi proverbi non sbagliano mai allora una preghiera la rivolgo anche agli Italiani perchè comincino a muoversi per il necessario cambiamento!!
Nella Toscano
Translate
martedì 28 dicembre 2010
lunedì 27 dicembre 2010
Morte nel silenzio del deserto
di Furio Colombo
27 dicembre 2010
Stanno morendo nel deserto, schiavi con le catene, i morti tra coloro che sono ancora vivi, donne incinte, bambini. Sappiamo tutto di loro. Sappiamo chi sono, dove sono. Sappiamo i nomi dei mercanti, abbiamo i numeri dei telefoni cellulari.
Chiamate Abo Kalid, l’organizzatore del traffico: 20176662777 oppure 20155323121. Chiamate il capocarovana Meharl, che preferisce essere conosciuto con il soprannome di Wedi Koneriel. Il suo numero è 192229135. Se è occupato, provate 175559179. Vi diranno le condizioni: 10mila dollari per liberare uno schiavo. Nessun governo europeo ha provato a telefonare a quei numeri, a offrire un riscatto o a tentare una liberazione. Ciascuna delle persone incatenate, compresi i bambini, ha già pagato 2000 dollari per essere ammessa a questo estremo viaggio che sembrava della speranza. Ma a un certo punto, in pieno deserto, il convoglio s’è fermato e la tariffa è cambiata: altri 8mila dollari per ciascuno o il viaggio finisce lì. Non è indolore. I primi 8 che hanno tentato di fuggire sono stati abbattuti a bastonate in un’esecuzione pubblica che servisse da lezione. Sei sono morti, due sono feriti gravi abbandonati in mezzo agli altri prigionieri senza soccorsi, neppure acqua, che viene distribuita in quantità minima (e senza nessuna possibilità di lavarsi) ogni 2 o 3 giorni.
Quanti sono? Circa 250. Eritrei in fuga dalla guerra senza fine. Etiopi che credevano di essere scampati al loro dittatore, somali che non hanno più un Paese ma solo signori della guerra e bande in continuo conflitto. Come mai abbiamo notizie così dettagliate? Si devono al sacerdote eritreo Don Mussie Zerai. Vive a Roma ed è presidente della Agenzia Habeshia e membro dell’Accademia Etiopica Pontificia. Il 21 dicembre il comitato per i diritti umani della Commissione esteri (Camera dei deputati) lo ha convocato per ricevere formalmente le notizie di cui dispone. Sono presidente di quel comitato e – anche a nome degli altri deputati presenti in quell’“audizione” – la domanda più urgente era questa: Come fa a sapere? Gli Stati non intervengono, l’Europa è silenziosa e assente, i servizi segreti africani ed europei sembrano privi di tracce. Se le avessero gli Stati, almeno alcuni Stati, in nome di un minimo di civiltà, sarebbero intervenuti. Don Zerai ha risposto: “Tutti sanno tutto. Almeno tre servizi segreti conoscono con esattezza il luogo in cui le 250 persone tenute in schiavitù in attesa del riscatto stanno morendo. I numeri dei telefoni cellulari sono fatti circolare dai mercanti (compresi molti di singoli prigionieri) per rendere possibili i contatti e le offerte. Allo stesso modo è noto il numero di un conto corrente egiziano su cui si devono fare i versamenti. L’uso dei telefoni cellulari, naturalmente, rende possibile rintracciare in qualunque momento predoni e vittime. Ma i servizi segreti lo sanno. Gli Stati lo sanno. C’è evidentemente una concordata decisione di non intervenire”. L’ambasciatrice egiziana presso la Santa Sede ha fatto sapere al sacerdote eritreo: “Se le autorità egiziane intervenissero, si troverebbero a carico i migranti e questo non lo possiamo fare”.
Lo scatto di indignazione che potrebbe seguire questa affermazione va dedicato non all’Egitto, ma all’Italia, che –come è ormai noto – è la causa di questa tragedia e di molte altre che non sono e forse non saranno mai conosciute. Ma prima vediamo alcune notizie in più per ricostruire la tremenda vicenda, per capire che ci è vicina, che ci riguarda e che – come in tutti i momenti più bui della Storia – ciascuno fa finta di non sapere.
Il container o i container in cui sono imprigionati i migranti che non hanno ancora pagato il riscatto sono nel deserto del Sinai, territorio egiziano, vicinissimo al confine della striscia di Gaza. Israele, che non può intervenire fuori dalla sue frontiere, è un rifugio, come sanno i migranti che riescono a raggiungere quel Paese, come sanno i profughi che arrivano a quella frontiera sfuggendo ai mercanti. Anche perché gli Usa di Obama hanno già fatto sapere che accetteranno 40mila eritrei nel corso del 2011. Il governo egiziano ignora i passaggi e gli insediamenti delle carovane pirata, forse per ragioni che hanno a che fare con rapporti tra paesi africani, dalla Libia al Sudan, alla stessa Eritrea, nel periodo in cui Gheddafi, il despota della Libia e partner dell’Italia, è presidente dell’Unione Africana e – allo stesso tempo, e per conto dell’Italia – dedito alla caccia umana dei profughi.
Ma sappiamo altre cose. Sappiamo che Hamas è una buona base d’appoggio per i mercanti di esseri umani, così che la strada della morte ha due capolinea sicuri, la Libia che abbandona i migranti nel Sahara e Hamas che da Gaza fa da appoggio al campo del Sinai egiziano. Se è vero (ma si tratta dell’unica e atroce parte non provata della storia) che c’è espianto e commercio clandestino di organi (reni, soprattutto) i punti medici di appoggio non possono che essere nel territorio controllato da Hamas e fortemente remunerato per questo dai mercanti. Nel racconto di Don Zerai, in quelli fatti a lui per telefono dai profughi che invocano riscatto, risulta con certezza che almeno un centinaio di essi sono gli stessi che sono stati intercettati in mare mentre – in fuga dalla guerra eritrea – venivano a chiedere diritto d’asilo in Italia. Sono gli stessi che sono stati imprigionati nello spaventoso carcere libico di al Braq. L’indignazione del mondo e lo scandalo per la collaborazione dell’Italia a quella cattura (nessuno ha mai potuto chiedere diritto d’asilo) ha portato a una finta liberazione: abbandonati senza documenti nel Sahara. Una evidente offerta – forse debitamente compensata – ai mercanti. Le stesse persone che stavano venendo a chiedere l’aiuto di una presunta civiltà italiana, si sono trovate, in mano ai pirati di essere umani, nel deserto, in attesa, per molti senza speranza, di un riscatto impossibile. Tacciono i governi, che mandano (anche l’Italia) navi da guerra nel Corno d’Africa per difendere le merci dalla pirateria di mare. Ma la marcia nel deserto, la prigionia, le catene e la fine degli esseri umani non interessa nessuno.
Forse c’è una ragione. La ferrea e sbandierata alleanza fra l’Italia di Berlusconi e la Libia di Gheddafi, che procura ai leader contraenti vantaggi ignoti, ma è una strettissima alleanza politica e militare agli occhi delle diplomazie mondiali, è un potentissimo alibi. Nulla osta alla morte senza diritti di profughi che hanno commesso l’errore di non sapere come è cambiata l’Italia, ex Paese civile.
Il Fatto Quotidiano, 24 dicembre 2010
27 dicembre 2010
Stanno morendo nel deserto, schiavi con le catene, i morti tra coloro che sono ancora vivi, donne incinte, bambini. Sappiamo tutto di loro. Sappiamo chi sono, dove sono. Sappiamo i nomi dei mercanti, abbiamo i numeri dei telefoni cellulari.
Chiamate Abo Kalid, l’organizzatore del traffico: 20176662777 oppure 20155323121. Chiamate il capocarovana Meharl, che preferisce essere conosciuto con il soprannome di Wedi Koneriel. Il suo numero è 192229135. Se è occupato, provate 175559179. Vi diranno le condizioni: 10mila dollari per liberare uno schiavo. Nessun governo europeo ha provato a telefonare a quei numeri, a offrire un riscatto o a tentare una liberazione. Ciascuna delle persone incatenate, compresi i bambini, ha già pagato 2000 dollari per essere ammessa a questo estremo viaggio che sembrava della speranza. Ma a un certo punto, in pieno deserto, il convoglio s’è fermato e la tariffa è cambiata: altri 8mila dollari per ciascuno o il viaggio finisce lì. Non è indolore. I primi 8 che hanno tentato di fuggire sono stati abbattuti a bastonate in un’esecuzione pubblica che servisse da lezione. Sei sono morti, due sono feriti gravi abbandonati in mezzo agli altri prigionieri senza soccorsi, neppure acqua, che viene distribuita in quantità minima (e senza nessuna possibilità di lavarsi) ogni 2 o 3 giorni.
Quanti sono? Circa 250. Eritrei in fuga dalla guerra senza fine. Etiopi che credevano di essere scampati al loro dittatore, somali che non hanno più un Paese ma solo signori della guerra e bande in continuo conflitto. Come mai abbiamo notizie così dettagliate? Si devono al sacerdote eritreo Don Mussie Zerai. Vive a Roma ed è presidente della Agenzia Habeshia e membro dell’Accademia Etiopica Pontificia. Il 21 dicembre il comitato per i diritti umani della Commissione esteri (Camera dei deputati) lo ha convocato per ricevere formalmente le notizie di cui dispone. Sono presidente di quel comitato e – anche a nome degli altri deputati presenti in quell’“audizione” – la domanda più urgente era questa: Come fa a sapere? Gli Stati non intervengono, l’Europa è silenziosa e assente, i servizi segreti africani ed europei sembrano privi di tracce. Se le avessero gli Stati, almeno alcuni Stati, in nome di un minimo di civiltà, sarebbero intervenuti. Don Zerai ha risposto: “Tutti sanno tutto. Almeno tre servizi segreti conoscono con esattezza il luogo in cui le 250 persone tenute in schiavitù in attesa del riscatto stanno morendo. I numeri dei telefoni cellulari sono fatti circolare dai mercanti (compresi molti di singoli prigionieri) per rendere possibili i contatti e le offerte. Allo stesso modo è noto il numero di un conto corrente egiziano su cui si devono fare i versamenti. L’uso dei telefoni cellulari, naturalmente, rende possibile rintracciare in qualunque momento predoni e vittime. Ma i servizi segreti lo sanno. Gli Stati lo sanno. C’è evidentemente una concordata decisione di non intervenire”. L’ambasciatrice egiziana presso la Santa Sede ha fatto sapere al sacerdote eritreo: “Se le autorità egiziane intervenissero, si troverebbero a carico i migranti e questo non lo possiamo fare”.
Lo scatto di indignazione che potrebbe seguire questa affermazione va dedicato non all’Egitto, ma all’Italia, che –come è ormai noto – è la causa di questa tragedia e di molte altre che non sono e forse non saranno mai conosciute. Ma prima vediamo alcune notizie in più per ricostruire la tremenda vicenda, per capire che ci è vicina, che ci riguarda e che – come in tutti i momenti più bui della Storia – ciascuno fa finta di non sapere.
Il container o i container in cui sono imprigionati i migranti che non hanno ancora pagato il riscatto sono nel deserto del Sinai, territorio egiziano, vicinissimo al confine della striscia di Gaza. Israele, che non può intervenire fuori dalla sue frontiere, è un rifugio, come sanno i migranti che riescono a raggiungere quel Paese, come sanno i profughi che arrivano a quella frontiera sfuggendo ai mercanti. Anche perché gli Usa di Obama hanno già fatto sapere che accetteranno 40mila eritrei nel corso del 2011. Il governo egiziano ignora i passaggi e gli insediamenti delle carovane pirata, forse per ragioni che hanno a che fare con rapporti tra paesi africani, dalla Libia al Sudan, alla stessa Eritrea, nel periodo in cui Gheddafi, il despota della Libia e partner dell’Italia, è presidente dell’Unione Africana e – allo stesso tempo, e per conto dell’Italia – dedito alla caccia umana dei profughi.
Ma sappiamo altre cose. Sappiamo che Hamas è una buona base d’appoggio per i mercanti di esseri umani, così che la strada della morte ha due capolinea sicuri, la Libia che abbandona i migranti nel Sahara e Hamas che da Gaza fa da appoggio al campo del Sinai egiziano. Se è vero (ma si tratta dell’unica e atroce parte non provata della storia) che c’è espianto e commercio clandestino di organi (reni, soprattutto) i punti medici di appoggio non possono che essere nel territorio controllato da Hamas e fortemente remunerato per questo dai mercanti. Nel racconto di Don Zerai, in quelli fatti a lui per telefono dai profughi che invocano riscatto, risulta con certezza che almeno un centinaio di essi sono gli stessi che sono stati intercettati in mare mentre – in fuga dalla guerra eritrea – venivano a chiedere diritto d’asilo in Italia. Sono gli stessi che sono stati imprigionati nello spaventoso carcere libico di al Braq. L’indignazione del mondo e lo scandalo per la collaborazione dell’Italia a quella cattura (nessuno ha mai potuto chiedere diritto d’asilo) ha portato a una finta liberazione: abbandonati senza documenti nel Sahara. Una evidente offerta – forse debitamente compensata – ai mercanti. Le stesse persone che stavano venendo a chiedere l’aiuto di una presunta civiltà italiana, si sono trovate, in mano ai pirati di essere umani, nel deserto, in attesa, per molti senza speranza, di un riscatto impossibile. Tacciono i governi, che mandano (anche l’Italia) navi da guerra nel Corno d’Africa per difendere le merci dalla pirateria di mare. Ma la marcia nel deserto, la prigionia, le catene e la fine degli esseri umani non interessa nessuno.
Forse c’è una ragione. La ferrea e sbandierata alleanza fra l’Italia di Berlusconi e la Libia di Gheddafi, che procura ai leader contraenti vantaggi ignoti, ma è una strettissima alleanza politica e militare agli occhi delle diplomazie mondiali, è un potentissimo alibi. Nulla osta alla morte senza diritti di profughi che hanno commesso l’errore di non sapere come è cambiata l’Italia, ex Paese civile.
Il Fatto Quotidiano, 24 dicembre 2010
domenica 26 dicembre 2010
sabato 25 dicembre 2010
mercoledì 22 dicembre 2010
La rivoluzione gentile, donne unite per cambiare la rappresentanza in Parlamento
di Chiara Avesani
Il fatto Quotidiano 22 dicembre 2010
Il movimento, nato su Facebook, si prefigge l'obiettivo di cambiare la selezione della rappresentanza e indicare un programma di governo. I temi sono: lavoro e politiche sociali, ambiente, donne violenza e pratiche non violente
Sarà forse “gentile”, ma è sempre una rivoluzione e con la capacità di propagazione virale della Rete. E’ partita da Facebook, dopo il sostegno alle primarie in Puglia. Un grande numero di adesioni ha chiesto poi di ripetere l’esperienza a livello nazionale ed è nata la “Rete delle donne per la rivoluzione gentile”. Si rivolgono a tutta la sinistra, non solo al Pd, ma anche all’Idv, con lo scopo di unire tutte le donne dell’area e coinvolgere anche quelle dell’astensionismo.
Sono oltre quattrocento operative sul territorio e vogliono rigenerare il Paese: cambiare la selezione della rappresentanza e indicare un programma di governo. Anche quello si sta formando in Rete. “Abbiamo individuato sei tematiche sulle quali stanno lavorando sei gruppi a livello nazionale, anche grazie ai contributi che arrivano sul sito”, spiega Rita Saraò, coordinatrice del gruppo. “I temi sono: Democrazia incompiuta, Lavoro e politiche sociali, Ambiente, Donne violenza e pratiche non violente, Cultura e agenzie educative, Legalità giustizia e laicità. Su questi punti stiamo formando un programma per il candidato premier. Supporteremo chi acquisirà nel suo, il nostro programma”. A coordinare i vari gruppi cercano nomi di personalità competenti nei settori specifici.
Tana de Zulueta, giornalista internazionale, ex deputata dell’Ulivo, è la portavoce del gruppo “Democrazia incompiuta”. La prima iniziativa è tra pochi giorni, il 15 gennaio 2011. Una raccolta firme nelle principali piazze italiane per chiedere ai partiti le primarie di collegio per la formazione delle liste, e le primarie di coalizione per scegliere il candidato premier.
“L’iniziativa è nata per mettere in atto un’esigenza di democrazia. Interessante che questa esigenza sia stata sentita trasversalmente dalle donne”, dice Tana de Zulueta. “Il sistema delle liste bloccate è impopolare, ma si può correggere con le primarie di collegio e di coalizione. Inoltre, se si impone la presenza delle donne nelle liste bloccate, queste si trasformano in un fattore di democrazia”, spiega. Il movimento chiede di usare il sistema attuale in modo democratico: con le primarie di collegio sarebbero i cittadini a formare le liste e con il sistema delle liste bloccate si possono fissare agevolmente delle quote femminili.
Sarebbe una scelta di meritocrazia? “Non sempre la democrazia è meritocrazia, ma ha le sue regole”, risponde Tana de Zulueta. “Le oligarchie nei partiti sono compatte nel rifiutare il contributo femminile, perché sanno che: ‘Per far posto a una donna bisogna che un uomo si alzi’. Nel 2003, la legge della Prestigiacomo venne affossata con entusiasmo bi-partisan. Uno spettacolo indegno alla Camera. Per avere le mani libere, venne anche richiesto il voto segreto. Il sistema delle liste bloccate, con un numero minimo di donne, invece, attua l’art. 51 della Costituzione che dice: ‘Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini’. Se oggi si stabilisse che nelle liste bloccate ci devono essere un certo numero di donne, le liste che non rispettassero questo principio sarebbero, a mio avviso, incostituzionali”.
La Rete delle donne per la rivoluzione gentile, nel rivendicare diritti femminili, propone un’idea complessiva della società nella convinzione che la soluzione dei problemi del Paese e del lavoro, passi anche attraverso l’attuazione di quei diritti.
“E’ sotto gli occhi di tutti che il problema del lavoro lo sentono prima di tutto le donne, sono state penalizzate maggiormente dalla crisi”, afferma De Zulueta. “Ma il problema riguarda soprattutto la selezione: le donne da noi investono di più nella formazione e sono meno riconosciute nel mercato del lavoro. Si sta creando una forbice, una distanza crescente tra il talento delle donne e le loro opportunità che è insostenibile per noi, ma soprattutto per il Paese. E’ un impoverimento che non possiamo consentire. Il problema del lavoro comincia lì”.
Secondo Tana de Zulueta è importante che queste esigenze sociali non siano vissute come uno specifico femminile, ma si traducano in proposte positive per la collettività. “E’ necessario spingere la discussione intorno a obiettivi comuni, che originariamente possono essere individuati dalle donne, ma che devono poi tradursi in una proposta per la società nel suo insieme. Io vedo nell’autoreferenzialità quell’errore pregresso che non ha permesso in Italia di realizzare il potenziale di democrazia che si voleva ottenere negli anni ’70. Per ottenere risultati il movimento si deve incrociare con altri movimenti d’opinione, come quello lanciato da Concita de Gregorio, o come il Popolo Viola. Dobbiamo fare massa”.
Internet, in questo, gioca un ruolo fondamentale. “La Rete ha permesso la partecipazione di persone che si sono sempre sentite estranee alla politica e la Puglia, in ciò, è stata il miglior laboratorio. La democrazia è fatta di hardware una parte rigida, cioè le istituzioni, il corpo delle leggi, i tribunali. La Rete è come un software, che permette al resto del sistema di funzionare. La Rete è quello che può consentire ad antiche istituzioni costituite nel settecento, come il Parlamento, di lavorare democraticamente anche oggi. E’ l’opportunità di impedire la fossilizzazione di queste istituzioni. Ma soprattutto la Rete è un potenziale di controllo: si dovrebbe esigere la presenza continua in aula di internet”.
Il fatto Quotidiano 22 dicembre 2010
Il movimento, nato su Facebook, si prefigge l'obiettivo di cambiare la selezione della rappresentanza e indicare un programma di governo. I temi sono: lavoro e politiche sociali, ambiente, donne violenza e pratiche non violente
Sarà forse “gentile”, ma è sempre una rivoluzione e con la capacità di propagazione virale della Rete. E’ partita da Facebook, dopo il sostegno alle primarie in Puglia. Un grande numero di adesioni ha chiesto poi di ripetere l’esperienza a livello nazionale ed è nata la “Rete delle donne per la rivoluzione gentile”. Si rivolgono a tutta la sinistra, non solo al Pd, ma anche all’Idv, con lo scopo di unire tutte le donne dell’area e coinvolgere anche quelle dell’astensionismo.
Sono oltre quattrocento operative sul territorio e vogliono rigenerare il Paese: cambiare la selezione della rappresentanza e indicare un programma di governo. Anche quello si sta formando in Rete. “Abbiamo individuato sei tematiche sulle quali stanno lavorando sei gruppi a livello nazionale, anche grazie ai contributi che arrivano sul sito”, spiega Rita Saraò, coordinatrice del gruppo. “I temi sono: Democrazia incompiuta, Lavoro e politiche sociali, Ambiente, Donne violenza e pratiche non violente, Cultura e agenzie educative, Legalità giustizia e laicità. Su questi punti stiamo formando un programma per il candidato premier. Supporteremo chi acquisirà nel suo, il nostro programma”. A coordinare i vari gruppi cercano nomi di personalità competenti nei settori specifici.
Tana de Zulueta, giornalista internazionale, ex deputata dell’Ulivo, è la portavoce del gruppo “Democrazia incompiuta”. La prima iniziativa è tra pochi giorni, il 15 gennaio 2011. Una raccolta firme nelle principali piazze italiane per chiedere ai partiti le primarie di collegio per la formazione delle liste, e le primarie di coalizione per scegliere il candidato premier.
“L’iniziativa è nata per mettere in atto un’esigenza di democrazia. Interessante che questa esigenza sia stata sentita trasversalmente dalle donne”, dice Tana de Zulueta. “Il sistema delle liste bloccate è impopolare, ma si può correggere con le primarie di collegio e di coalizione. Inoltre, se si impone la presenza delle donne nelle liste bloccate, queste si trasformano in un fattore di democrazia”, spiega. Il movimento chiede di usare il sistema attuale in modo democratico: con le primarie di collegio sarebbero i cittadini a formare le liste e con il sistema delle liste bloccate si possono fissare agevolmente delle quote femminili.
Sarebbe una scelta di meritocrazia? “Non sempre la democrazia è meritocrazia, ma ha le sue regole”, risponde Tana de Zulueta. “Le oligarchie nei partiti sono compatte nel rifiutare il contributo femminile, perché sanno che: ‘Per far posto a una donna bisogna che un uomo si alzi’. Nel 2003, la legge della Prestigiacomo venne affossata con entusiasmo bi-partisan. Uno spettacolo indegno alla Camera. Per avere le mani libere, venne anche richiesto il voto segreto. Il sistema delle liste bloccate, con un numero minimo di donne, invece, attua l’art. 51 della Costituzione che dice: ‘Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini’. Se oggi si stabilisse che nelle liste bloccate ci devono essere un certo numero di donne, le liste che non rispettassero questo principio sarebbero, a mio avviso, incostituzionali”.
La Rete delle donne per la rivoluzione gentile, nel rivendicare diritti femminili, propone un’idea complessiva della società nella convinzione che la soluzione dei problemi del Paese e del lavoro, passi anche attraverso l’attuazione di quei diritti.
“E’ sotto gli occhi di tutti che il problema del lavoro lo sentono prima di tutto le donne, sono state penalizzate maggiormente dalla crisi”, afferma De Zulueta. “Ma il problema riguarda soprattutto la selezione: le donne da noi investono di più nella formazione e sono meno riconosciute nel mercato del lavoro. Si sta creando una forbice, una distanza crescente tra il talento delle donne e le loro opportunità che è insostenibile per noi, ma soprattutto per il Paese. E’ un impoverimento che non possiamo consentire. Il problema del lavoro comincia lì”.
Secondo Tana de Zulueta è importante che queste esigenze sociali non siano vissute come uno specifico femminile, ma si traducano in proposte positive per la collettività. “E’ necessario spingere la discussione intorno a obiettivi comuni, che originariamente possono essere individuati dalle donne, ma che devono poi tradursi in una proposta per la società nel suo insieme. Io vedo nell’autoreferenzialità quell’errore pregresso che non ha permesso in Italia di realizzare il potenziale di democrazia che si voleva ottenere negli anni ’70. Per ottenere risultati il movimento si deve incrociare con altri movimenti d’opinione, come quello lanciato da Concita de Gregorio, o come il Popolo Viola. Dobbiamo fare massa”.
Internet, in questo, gioca un ruolo fondamentale. “La Rete ha permesso la partecipazione di persone che si sono sempre sentite estranee alla politica e la Puglia, in ciò, è stata il miglior laboratorio. La democrazia è fatta di hardware una parte rigida, cioè le istituzioni, il corpo delle leggi, i tribunali. La Rete è come un software, che permette al resto del sistema di funzionare. La Rete è quello che può consentire ad antiche istituzioni costituite nel settecento, come il Parlamento, di lavorare democraticamente anche oggi. E’ l’opportunità di impedire la fossilizzazione di queste istituzioni. Ma soprattutto la Rete è un potenziale di controllo: si dovrebbe esigere la presenza continua in aula di internet”.
lunedì 20 dicembre 2010
domenica 19 dicembre 2010
Rimini vieta le pubblicità sessiste
Stop alle offese alle donne
Rimini mette al bando le pubblicità sessiste. Il Consiglio Provinciale di Rimini ha approvato il bilancio previsionale 2011 e il piano triennale degli investimenti fino al 2013. E nel mezzo della discussione ha approvato all'unanimità un ordine del giorno per «la moratoria delle pubblicità lesive della dignità della donna e contro l'uso di stereotipi femminili», presentato da Leonina Grossi, Pd, consigliera delegata alle Pari Opportunità.
Un punto a capo ai manifesti offensivi e volgari di aziende e commercianti che per vendere magari condizionatori d'aria o impianti di irrigazione automatica ci infilano comunque una provocante fanciulla o un garbatissimo doppio senso. In questo senso basta scorrere la fotogallery sul sito dell'Unità mandata dai lettori di tutta Italia.
GUARDA LA FOTO GALLERY
Adesso Rimini si candida a emanciparsi da cosce lunghe, scollature smodate, slogan insensati. Va detto infatti che identico ordine del giorno era già stato approvato dai consigli comunali di Rimini, Novafeltria, Coriano e Riccione. Adesso il divieto scatta per l'intera provincia. Un segnale non da poco, nella riviera famosa per le notti brave, i DJ trendy, l'estate low cost, i flirt patinati.
16 dicembre 2010
Rimini mette al bando le pubblicità sessiste. Il Consiglio Provinciale di Rimini ha approvato il bilancio previsionale 2011 e il piano triennale degli investimenti fino al 2013. E nel mezzo della discussione ha approvato all'unanimità un ordine del giorno per «la moratoria delle pubblicità lesive della dignità della donna e contro l'uso di stereotipi femminili», presentato da Leonina Grossi, Pd, consigliera delegata alle Pari Opportunità.
Un punto a capo ai manifesti offensivi e volgari di aziende e commercianti che per vendere magari condizionatori d'aria o impianti di irrigazione automatica ci infilano comunque una provocante fanciulla o un garbatissimo doppio senso. In questo senso basta scorrere la fotogallery sul sito dell'Unità mandata dai lettori di tutta Italia.
GUARDA LA FOTO GALLERY
Adesso Rimini si candida a emanciparsi da cosce lunghe, scollature smodate, slogan insensati. Va detto infatti che identico ordine del giorno era già stato approvato dai consigli comunali di Rimini, Novafeltria, Coriano e Riccione. Adesso il divieto scatta per l'intera provincia. Un segnale non da poco, nella riviera famosa per le notti brave, i DJ trendy, l'estate low cost, i flirt patinati.
16 dicembre 2010
sabato 18 dicembre 2010
Il piombo è solo nelle orecchie di chi non ascolta
.
Spinelli: "Non sono gli anni '70, questi ragazzi lasciati fuori dalla politica". Sulle cause della rivolta: "L'errore è imporre sacrifici solo a chi già emarginato, perché alla fine la bolla scoppia"
Anni di piombo è diventato un tormentone: inutile, e al tempo stesso banale e provocatorio. Ma il metallo sembra essere nelle orecchie di chi non sa ascoltare: parola di Barbara Spinelli.
Giovedì ad Annozero Santoro ha detto ai politici in studio: noi domandiamo ai ragazzi se si vogliono dissociare dagli episodi di violenza, ma se loro non ci rispondono quello che vogliamo sentirci dire – come poi è accaduto – dobbiamo essere in grado di parlare con loro. D’accordo?
Completamente. È più che legittimo chiedere ai giovani di riflettere suoi pericoli che i gesti violenti possono ingenerare. Ma la questione qui non è il dissociarsi dei ragazzi, ma il dissociarsi dei politici da una discussione su una manifestazione di cittadini. Bisogna dare uno spazio di dialogo: i giovani che erano in piazza non hanno compiuto un attentato, non sono gente con il sangue nelle mani.
La Russa ha dato dei vigliacchi ai ragazzi. Se ne voleva andare, ma è rimasto.
So che va molto di moda la parola canagliesca, detta d’istinto, ma un ministro non dà queste risposte. Non minaccia d’andarsene, appena uno comincia a parlare. Forse sarebbe meglio se se ne andasse davvero, se non sa fare il suo mestiere. Nel curriculum di ogni terrorista c’è il non riconoscimento delle istituzioni, della politica stessa che è risoluzione dei conflitti tramite ricorso alla parola della ragione. La Russa fa come i terroristi: dice ai ragazzi e implicitamente alla politica: “Io non vi riconosco”.
Ma loro sono cittadini. Vuol dire che lo Stato non riconosce gli elettori?Certo, questo Stato si mette fuori, perché è in guerra, tra l’altro non si capisce con chi, e sfrutta le paure della gente.
Casini da Santoro ha detto: i poliziotti erano lì per tutelare la culla della democrazia. E uno dei manifestanti ha avuto il coraggio di far osservare come quella culla fosse la bara di una democrazia “mercantile”.I politici che lanciano l’appello a tutelare le istituzioni, le pensano in buona salute. La culla della democrazia parlamentare è vuota. Non dico che quindi bisogna tirare i sassi, ma ha ragione lo studente quando dice che questa non è la democrazia di Pericle.
Quella culla è anche un posto da cui si evoca con una certa frequenza il partito dell’odio.
Ogni dissenso, anche pacifico, ormai è criminalizzato, oltre che inascoltato. Plutarco scrive che nei paesi asiatici si diceva sempre sì, mentre in Europa, dove c’erano democrazie, si diceva no. Sto con Plutarco.
Un luogo comune logoro vuole che la società civile si sia progressivamente staccata dalla politica. In analisi logica, un moto da luogo della società. Non sarà che è la politica ad aver aumentato in maniera abissale la distanza che la separa da ciò che i cittadini chiedono?
Sì, è una responsabilità della politica, e se il divario diventa molto profondo vuol dire che la società non ha altri luoghi e modi di manifestare se stessa e i propri disagi diversi dalla piazza. I moti violenti sono pericolosissimi. Ma sono anche un monito che la classe politica deve ascoltare, pena la propria sconfitta. Lo si è visto nella rivolta dei ghetti neri a Los Angeles nel ’92: fu allora che venne coniata una parola nuova: sottoveglianza, cioè l’inverso della sorveglianza denunciata da Foucault. La società cominciava a sorvegliare il potere dal basso verso l’alto, era soggetto e non più solo oggetto d’un controllo. La novità in Italia è che questa sottoveglianza ormai esiste. E la politica deve tenerne conto, sapere che è sotto controllo costante.
Quindi la ricetta è una società aperta. Ma quali sono gli spazi di un dialogo finora non possibile?
I luoghi cui accedono i politici devono accogliere anche i giovani, gli stessi che avranno come pensione 360 euro al mese. Penso alla tv, per esempio. E poi non ci devono essere restrizioni di manifestazione del pensiero sul web. I politici devono cominciare ad ascoltare, perché non sono di fronte a terroristi. Penso alle dichiarazioni dei giovani nella rivolta delle banlieue parigine. Dicevano in tv: “Noi non riusciamo a parlare”. La domanda è di essere ascoltati, di entrare nell’agorà. Oggi c’è una forma di ghettizzazione: è come se una generazione intera fosse chiamata negra. Quando ho visto l’immagine di quel ragazzo picchiato in piazza del Popolo, l’altro giorno, mi è tornato alla mente il filmino sul pestaggio di Rodney King nel ‘91. Ripreso da persone che stavano lì – e qui torna la sottoveglianza – nel momento in cui la polizia picchiava il giovane nero. La rivolta dei ghetti nacque da lì.
Saviano ha scritto: “Gli infiltrati ci sono sempre, da quando il primo operaio ha deciso di sfilare. E da sempre possono avere gioco solo se hanno seguito. È su questo che vorrei dare l’allarme. Non deve mai più accadere. Così inizia la nuova strategia della tensione, che è sempre la stessa: com’è possibile non riconoscerla? Com’è possibile non riconoscerne le premesse, sempre uguali? Quegli incappucciati sono i primi nemici da isolare”. Non sarà un po’ limitata la sua analisi?Come lui condanno la violenza anche perché controproducente rispetto a ciò che si vuole ottenere. È vero anche che un movimento, anche di tipo diverso da quello degli anni di piombo, può essere accompagnato da una strategia della tensione e avere quindi gli stessi risultati. Approvo dunque la messa in guardia di Saviano. Al tempo stesso, la messa in guardia non può essere l’unica premessa, a mio parere, del discorso con questi giovani, perché in loro non c’è un disegno politico di tipo classico. C’è un disegno di chi è relegato fuori in maniera radicale dalla politica e vuole entrarci. Questo è un atto politico di persone che sono fuori dalla gestione pacifica dei conflitti.
Si fa il paragone con gli anni di piombo. Ma queste proteste non hanno nulla di ideologico. In piazza c’erano precari senza futuro, terremotati senza case, ricercatori che rischiano di sparire, napoletani sommersi dai rifiuti. Alemanno – uno che a qualche manifestazione non pacifica ha partecipato – ha detto: ”Non dobbiamo tornare agli anni ’70. Tutte le istituzioni facciano muro contro questa azione violenta perché non è più tollerabile”.Sono un po’ stanca di sentire ricordati gli anni 70 e anche della frase “bisogna stare in guardia”. Dire “tutte le istituzioni facciano muro” significa solo che salta la pluralità delle istituzioni. Che tutte devono rispondere al comando di un unico capo. È la logica di un paese in guerra. Fare muro è un giudizio negativo sulla magistratura che ha appena scarcerato i giovani.
C’è poi un dato: il rapporto Stato-cittadini. Lo Stato non può chiamarsi fuori perché il rapporto non è paritetico.Le analisi migliori le ho viste nei pezzi di Bonini e Bianconi. In quelle dei politici ho visto solo il desiderio di compiacere quella che loro immaginano sia la maggioranza silenziosa. Non vogliono risolvere i problemi, vogliono solo che la vetrina non sia rotta. Questo non è governare, è la risposta per ottenere una buona reazione da un eventuale sondaggio. Anche quella dei politici che si sottraggono al confronto è violenza.
Il direttore del Giornale, Sallusti, ha detto: “Se un uomo a 37 anni non può pagarsi il mutuo è colpa sua: vuol dire che è un fallito”.Nemmeno gli avversari del ’68 usavano aggettivi simili. Dici a un’intera generazione che è fallita: tanto vale farla fuori.
Maggioranza e opposizione, salvo qualche eccezione, sembrano aver dismesso il mandato di rappresentanza dei cittadini. Vero?Vedo anch’io una dismissione del mandato politico. In questi anni c’è stata una svendita: nessuno si occupa dei cittadini. Ogni giorno sentiamo politici appellarsi alla sovranità di un popolo per legittimare il loro agire politico. Ma come si permettono? C’è un enclave di persone che comandano e un muro che le separa dai barbari. Ma i barbari, attenzione, sono gli italiani.
Miopia o dolo?
L’errore maggiore è non saper prevedere, non ascoltare domande e non dare risposte . L’errore non è fare politiche austere, come dimostrano i casi di Grecia e Irlanda. L’errore è far fare i sacrifici solo a chi è già emarginato. Bisognava riconoscere la crisi, il nostro governo l’ha sempre negata, sostenendo che è un’invenzione dei media. Ma quando si vive nella menzogna, la bolla scoppia. Chi semina miseria senza spiegare perché raccoglie collera. E questo è vero da migliaia di anni.
da Il fatto quotidiano del 18 dicembre 2010
Anni di piombo è diventato un tormentone: inutile, e al tempo stesso banale e provocatorio. Ma il metallo sembra essere nelle orecchie di chi non sa ascoltare: parola di Barbara Spinelli.
Giovedì ad Annozero Santoro ha detto ai politici in studio: noi domandiamo ai ragazzi se si vogliono dissociare dagli episodi di violenza, ma se loro non ci rispondono quello che vogliamo sentirci dire – come poi è accaduto – dobbiamo essere in grado di parlare con loro. D’accordo?
Completamente. È più che legittimo chiedere ai giovani di riflettere suoi pericoli che i gesti violenti possono ingenerare. Ma la questione qui non è il dissociarsi dei ragazzi, ma il dissociarsi dei politici da una discussione su una manifestazione di cittadini. Bisogna dare uno spazio di dialogo: i giovani che erano in piazza non hanno compiuto un attentato, non sono gente con il sangue nelle mani.
La Russa ha dato dei vigliacchi ai ragazzi. Se ne voleva andare, ma è rimasto.
So che va molto di moda la parola canagliesca, detta d’istinto, ma un ministro non dà queste risposte. Non minaccia d’andarsene, appena uno comincia a parlare. Forse sarebbe meglio se se ne andasse davvero, se non sa fare il suo mestiere. Nel curriculum di ogni terrorista c’è il non riconoscimento delle istituzioni, della politica stessa che è risoluzione dei conflitti tramite ricorso alla parola della ragione. La Russa fa come i terroristi: dice ai ragazzi e implicitamente alla politica: “Io non vi riconosco”.
Ma loro sono cittadini. Vuol dire che lo Stato non riconosce gli elettori?Certo, questo Stato si mette fuori, perché è in guerra, tra l’altro non si capisce con chi, e sfrutta le paure della gente.
Casini da Santoro ha detto: i poliziotti erano lì per tutelare la culla della democrazia. E uno dei manifestanti ha avuto il coraggio di far osservare come quella culla fosse la bara di una democrazia “mercantile”.I politici che lanciano l’appello a tutelare le istituzioni, le pensano in buona salute. La culla della democrazia parlamentare è vuota. Non dico che quindi bisogna tirare i sassi, ma ha ragione lo studente quando dice che questa non è la democrazia di Pericle.
Quella culla è anche un posto da cui si evoca con una certa frequenza il partito dell’odio.
Ogni dissenso, anche pacifico, ormai è criminalizzato, oltre che inascoltato. Plutarco scrive che nei paesi asiatici si diceva sempre sì, mentre in Europa, dove c’erano democrazie, si diceva no. Sto con Plutarco.
Un luogo comune logoro vuole che la società civile si sia progressivamente staccata dalla politica. In analisi logica, un moto da luogo della società. Non sarà che è la politica ad aver aumentato in maniera abissale la distanza che la separa da ciò che i cittadini chiedono?
Sì, è una responsabilità della politica, e se il divario diventa molto profondo vuol dire che la società non ha altri luoghi e modi di manifestare se stessa e i propri disagi diversi dalla piazza. I moti violenti sono pericolosissimi. Ma sono anche un monito che la classe politica deve ascoltare, pena la propria sconfitta. Lo si è visto nella rivolta dei ghetti neri a Los Angeles nel ’92: fu allora che venne coniata una parola nuova: sottoveglianza, cioè l’inverso della sorveglianza denunciata da Foucault. La società cominciava a sorvegliare il potere dal basso verso l’alto, era soggetto e non più solo oggetto d’un controllo. La novità in Italia è che questa sottoveglianza ormai esiste. E la politica deve tenerne conto, sapere che è sotto controllo costante.
Quindi la ricetta è una società aperta. Ma quali sono gli spazi di un dialogo finora non possibile?
I luoghi cui accedono i politici devono accogliere anche i giovani, gli stessi che avranno come pensione 360 euro al mese. Penso alla tv, per esempio. E poi non ci devono essere restrizioni di manifestazione del pensiero sul web. I politici devono cominciare ad ascoltare, perché non sono di fronte a terroristi. Penso alle dichiarazioni dei giovani nella rivolta delle banlieue parigine. Dicevano in tv: “Noi non riusciamo a parlare”. La domanda è di essere ascoltati, di entrare nell’agorà. Oggi c’è una forma di ghettizzazione: è come se una generazione intera fosse chiamata negra. Quando ho visto l’immagine di quel ragazzo picchiato in piazza del Popolo, l’altro giorno, mi è tornato alla mente il filmino sul pestaggio di Rodney King nel ‘91. Ripreso da persone che stavano lì – e qui torna la sottoveglianza – nel momento in cui la polizia picchiava il giovane nero. La rivolta dei ghetti nacque da lì.
Saviano ha scritto: “Gli infiltrati ci sono sempre, da quando il primo operaio ha deciso di sfilare. E da sempre possono avere gioco solo se hanno seguito. È su questo che vorrei dare l’allarme. Non deve mai più accadere. Così inizia la nuova strategia della tensione, che è sempre la stessa: com’è possibile non riconoscerla? Com’è possibile non riconoscerne le premesse, sempre uguali? Quegli incappucciati sono i primi nemici da isolare”. Non sarà un po’ limitata la sua analisi?Come lui condanno la violenza anche perché controproducente rispetto a ciò che si vuole ottenere. È vero anche che un movimento, anche di tipo diverso da quello degli anni di piombo, può essere accompagnato da una strategia della tensione e avere quindi gli stessi risultati. Approvo dunque la messa in guardia di Saviano. Al tempo stesso, la messa in guardia non può essere l’unica premessa, a mio parere, del discorso con questi giovani, perché in loro non c’è un disegno politico di tipo classico. C’è un disegno di chi è relegato fuori in maniera radicale dalla politica e vuole entrarci. Questo è un atto politico di persone che sono fuori dalla gestione pacifica dei conflitti.
Si fa il paragone con gli anni di piombo. Ma queste proteste non hanno nulla di ideologico. In piazza c’erano precari senza futuro, terremotati senza case, ricercatori che rischiano di sparire, napoletani sommersi dai rifiuti. Alemanno – uno che a qualche manifestazione non pacifica ha partecipato – ha detto: ”Non dobbiamo tornare agli anni ’70. Tutte le istituzioni facciano muro contro questa azione violenta perché non è più tollerabile”.Sono un po’ stanca di sentire ricordati gli anni 70 e anche della frase “bisogna stare in guardia”. Dire “tutte le istituzioni facciano muro” significa solo che salta la pluralità delle istituzioni. Che tutte devono rispondere al comando di un unico capo. È la logica di un paese in guerra. Fare muro è un giudizio negativo sulla magistratura che ha appena scarcerato i giovani.
C’è poi un dato: il rapporto Stato-cittadini. Lo Stato non può chiamarsi fuori perché il rapporto non è paritetico.Le analisi migliori le ho viste nei pezzi di Bonini e Bianconi. In quelle dei politici ho visto solo il desiderio di compiacere quella che loro immaginano sia la maggioranza silenziosa. Non vogliono risolvere i problemi, vogliono solo che la vetrina non sia rotta. Questo non è governare, è la risposta per ottenere una buona reazione da un eventuale sondaggio. Anche quella dei politici che si sottraggono al confronto è violenza.
Il direttore del Giornale, Sallusti, ha detto: “Se un uomo a 37 anni non può pagarsi il mutuo è colpa sua: vuol dire che è un fallito”.Nemmeno gli avversari del ’68 usavano aggettivi simili. Dici a un’intera generazione che è fallita: tanto vale farla fuori.
Maggioranza e opposizione, salvo qualche eccezione, sembrano aver dismesso il mandato di rappresentanza dei cittadini. Vero?Vedo anch’io una dismissione del mandato politico. In questi anni c’è stata una svendita: nessuno si occupa dei cittadini. Ogni giorno sentiamo politici appellarsi alla sovranità di un popolo per legittimare il loro agire politico. Ma come si permettono? C’è un enclave di persone che comandano e un muro che le separa dai barbari. Ma i barbari, attenzione, sono gli italiani.
Miopia o dolo?
L’errore maggiore è non saper prevedere, non ascoltare domande e non dare risposte . L’errore non è fare politiche austere, come dimostrano i casi di Grecia e Irlanda. L’errore è far fare i sacrifici solo a chi è già emarginato. Bisognava riconoscere la crisi, il nostro governo l’ha sempre negata, sostenendo che è un’invenzione dei media. Ma quando si vive nella menzogna, la bolla scoppia. Chi semina miseria senza spiegare perché raccoglie collera. E questo è vero da migliaia di anni.
da Il fatto quotidiano del 18 dicembre 2010
giovedì 16 dicembre 2010
A proposito del dare retta a un cretino
11:40 am in News da Giuseppe Civati
Lei dice questo – con la consueta grazia, Presidente, e in numerosa compagnia – dopo aver sostenuto per mesi che in Parlamento esisteva una maggioranza alternativa, che era necessario un governo di responsabilità nazionale, che il Pd non poteva chiedere le elezioni perché prima andava cambiata la legge elettorale.
Lo dice prendendo la parola al posto del segretario Bersani, che forse in questo momento sarebbe più titolato a parlare. Specie dopo aver portato il popolo del Pd in piazza a sostegno di una tesi che è stata smentita tre giorni dopo.
Lo dice in seguito al voto che ha confermato la fiducia a Berlusconi, che lei e altri presentate come un successo. E se la fiducia a Berlusconi è un successo allora forse davvero siamo cretini, perché nella nostra ingenuità pensavamo che successo fosse sconfiggere Berlusconi, e non venirne sconfitti.
Noi, pensi che cretini, credevamo invece che dopo la batosta del voto di fiducia finalmente non si parlasse più di alleanze contro natura e di effimere alchimie di Palazzo. Doppiamente cretini, perché visto come è andata ci illudevamo ci venisse almeno riconosciuto di aver avuto ragione sin dall’inizio, quando dicevamo che Berlusconi va battuto alle elezioni, e che questo è l’unico messaggio che i nostri elettori vogliono sentire. Cretini anche in questo, ci perdoni se può, Presidente.
Del resto, avevamo anche capito che lei, Presidente, aveva tanto da fare con la sua fondazione, e che non si sarebbe più occupato di queste cose. Di nuovo, cretini.
Ma ci stiamo provando, Presidente, ci stiamo provando. E se, al contrario di quel che dice, di queste faccende continuerà ad occuparsi – è il caso di dire che lo capirebbe anche un cretino – abbiamo compreso che dovremo essere noi a non occuparci più di lei, o almeno ci proveremo.
Di sicuro ci piacerebbe.
martedì 14 dicembre 2010
DOCUMENTO FINALE APPROVATO DALLA TERZA SSEMBLEA NAZIONALE DELL’ASSOCIAZIONE ‘SALVIAMO LA COSTITUZIONE: AGGIORNARLA NON DEMOLIRLA’
Il 13 dicembre 2010, sotto la presidenza di Oscar Luigi Scalfaro, l’assemblea annuale dell’associazione “Salviamo la Costituzione” ha sottolineato l’attualità dei propri scopi statutari: difesa della Costituzione, diffusione della conoscenza dei suoi principi e valori, promozione della sua attuazione, tutela del risultato referendario del 25-26 giugno 2006. Nel momento attuale, infatti, molti si riempiono la bocca di sovranità popolare dimenticando che proprio il popolo sovrano, con ben sei milioni di voti di scarto, ha bocciato solo quattro anni fa la modifica costituzionale che dava al presidente del Consiglio il potere di sciogliere il Parlamento.
L’assemblea riafferma quindi l’importanza della diffusione della cultura costituzionale e, mentre saluta con favore la messa in discussione di una legge elettorale che è in contrasto aperto con lo stesso concetto di democrazia, poiché tra l’altro impedisce ai cittadini di scegliersi i propri rappresentanti, auspica che ogni futura modifica abbia come primo scopo quello di rimettere la legge elettorale nei binari della Costituzione; e che sia accompagnata dalla messa in sicurezza della Costituzione (revisione dell’articolo 138) che l’Associazione ha fin dalla nascita auspicato.
Roma, 13 dicembre 2010.
L’assemblea riafferma quindi l’importanza della diffusione della cultura costituzionale e, mentre saluta con favore la messa in discussione di una legge elettorale che è in contrasto aperto con lo stesso concetto di democrazia, poiché tra l’altro impedisce ai cittadini di scegliersi i propri rappresentanti, auspica che ogni futura modifica abbia come primo scopo quello di rimettere la legge elettorale nei binari della Costituzione; e che sia accompagnata dalla messa in sicurezza della Costituzione (revisione dell’articolo 138) che l’Associazione ha fin dalla nascita auspicato.
Roma, 13 dicembre 2010.
lunedì 13 dicembre 2010
Le donne e la necessità di un radicale cambiamento.
Pubblicata da Nella Toscano il giorno domenica 12 dicembre 2010 alle ore 21.02
Che in Italia ci sia la necessità di un radicale cambiamento credo ci trovi tutti d'accordo, ma perchè questo cambiamento si realizzi è chiaro a tutti/e che è necessario e determinante il contributo delle donne, fino ad oggi tenute lontane dai luoghi dove si decide, completamente in mano agli uomini.
E' sotto gli occhi di tutti come la gestione maschile del potere a tutti i livelli ha prodotto guasti enormi nella nostra società: guasti che investono la politica, le Istituzioni tutte, l'economia, la famiglia e l'etica pubblica.
E' altrettanto evidente però che per invertire questo degrado inarrestabile c'è bisogno del contributo delle donne. "Perchè in una società costretta a rivedere i propri valori, e giunta ai limiti dello sviluppo e dell'individualismo, in una società dimentica delle necessità dell'altro, la cultura che viene dalla storia delle donne è necessaria, anzi indispensabile". Questo affermava Papa Wojtyla, già nel lontano 1995, parole ancora oggi quanto mai attuali. Ed ancora " "Per quale motivo le donne devono essere uguali all'uomo? Perchè non possono essere di più? C'è stato un Rinascimento che ha avuto al proprio centro la figura dell'uomo: aspettiamo un nuovo Rinascimento che metta al proprio centro la Donna", ma il limite più alto al quale le donne possono aspirare, il confine ai propri desideri, non può e non deve essere ciò che gli uomini hanno raggiunto.
Se cambiamento vi deve essere le donne devono avere la capacità e la volontà di lavorare per invertire la rotta, che ci ha portato all'odierno disastro e questo penso lo si possa realizzare soltanto se le donne non faranno propri tutti i vizi, le tattiche, i sotterfugi, i compromessi ed i meccanismi perversi del potere maschile.
Soltanto se avranno la pazienza dell'ascolto e l'umiltà di mettersi in discussione senza inseguire traguardi che non siano propri quelli che si possono raggiungere con il proprio impegno, con il proprio sapere, con la propria passione.
Sono convinta che solo così potremo salvarci, non esistono altre scorciatoie!
Le donne sapranno e /o vorranno seguire questa strada?
Vedremo!
Nella Toscano
E' sotto gli occhi di tutti come la gestione maschile del potere a tutti i livelli ha prodotto guasti enormi nella nostra società: guasti che investono la politica, le Istituzioni tutte, l'economia, la famiglia e l'etica pubblica.
E' altrettanto evidente però che per invertire questo degrado inarrestabile c'è bisogno del contributo delle donne. "Perchè in una società costretta a rivedere i propri valori, e giunta ai limiti dello sviluppo e dell'individualismo, in una società dimentica delle necessità dell'altro, la cultura che viene dalla storia delle donne è necessaria, anzi indispensabile". Questo affermava Papa Wojtyla, già nel lontano 1995, parole ancora oggi quanto mai attuali. Ed ancora " "Per quale motivo le donne devono essere uguali all'uomo? Perchè non possono essere di più? C'è stato un Rinascimento che ha avuto al proprio centro la figura dell'uomo: aspettiamo un nuovo Rinascimento che metta al proprio centro la Donna", ma il limite più alto al quale le donne possono aspirare, il confine ai propri desideri, non può e non deve essere ciò che gli uomini hanno raggiunto.
Se cambiamento vi deve essere le donne devono avere la capacità e la volontà di lavorare per invertire la rotta, che ci ha portato all'odierno disastro e questo penso lo si possa realizzare soltanto se le donne non faranno propri tutti i vizi, le tattiche, i sotterfugi, i compromessi ed i meccanismi perversi del potere maschile.
Soltanto se avranno la pazienza dell'ascolto e l'umiltà di mettersi in discussione senza inseguire traguardi che non siano propri quelli che si possono raggiungere con il proprio impegno, con il proprio sapere, con la propria passione.
Sono convinta che solo così potremo salvarci, non esistono altre scorciatoie!
Le donne sapranno e /o vorranno seguire questa strada?
Vedremo!
Nella Toscano
sabato 11 dicembre 2010
giovedì 9 dicembre 2010
L'Italia che affonda
pubblicata da Nella Toscano il giorno giovedì 9 dicembre 2010 alle ore 20.09
Oggi è una di quelle giornate in cui ti assale la stanchezza e la voglia di fermarti, di non sapere, di non capire, tante sono le cose divenute ormai insopportabili e che non lasciano spazio alla speranza.
Una delle cose che ti fa perdere completamente la fiducia negli uomini e soprattutto in quei rappresentanti nominati dai partiti e messi lì a rappresentare e governare l'Italia. Nei Tg vedi scorrere le facce di quei deputati che hanno abbandonato il proprio partito per cedere alle lusinghe del b. che ha rovinato l'Italia ed a guardarli sembra quasi impossibile che questi figuri siano stati scelti per stare lì!
Guardandoli mi sono tornate in mente le parole di un ragazzo bolognese, che ho conosciuto su una nave durante un mio viaggio, con il quale ebbi a scambiare qualche parole e che parlando a proposito di come si fa a capire se una persona è perbene o meno se la si conosce solo da pochi minuti, quel ragazzo mi rispose che dalla faccia si può capire, mi disse infatti La faccia non è tutto, ma è tanto!
Ecco io stasera a guardare queste facce di voltagabbana mi è sembrato proprio di vedere quel che sono impresso sulle loro facce e di sicuro io guardandoli per bene non li avrei mai scelto per candidarli!
Purtroppo Di Pietro e Veltroni li hanno candidati guardando non so che di queste persone, ma di sicuro non le loro facce!
Ed ora eccoci qua con la quasi certezza che per la fortuna di questi signori B. rimarrà in sella.
Certo b. è ricco e può permettersi di comprare chi vuole, ci sono tanti figuri in vendita pure per 100.000 euro. Direte sono tanti e vale la pena.
Certo sono tanti per chi non ne ha, ma un deputato che qualcosina guadagna potrebbe magari accontentarsi del suo ed invece no, ha e vuole avere di più, anche a costo di mettersi in vendita, alla faccia degli Italiani che li hanno votati!!!!
La cosa che più mette tristezza è che gli Italiani sopportano anche questo e l'opposizione pensa che dovrebbe essere un reato non solo un malcostume ed invoca l'intervento della magistratura.
Di fronte a tutto questo squallore si rimane senza parole ed il senso di impotenza ci lascia esausti.
Ma una domanda me la faccio e credo che insieme a me se la facciano molti Italiani, almeno quelli che riflettono un po.
Perchè aspettare il 14 per sfiduciare b, quando si poteva fare subito invece di chiudere il Parlamento per mancanza di lavoro?
Perchè nessuno si è posto il problema che queste ferie parlamentari servono solo a b. per fare il mercato delle vacche?
Adesso si aspetta che arrivi la magistratura a fare che?
Mettiamo il caso che la Magistratura ravvisa gli estremi di reato e chiede al Parlamento di procedere nei confronti di b. e degli altri che si sono venduti, il Parlamento a maggioranza di b. di sicuro non autorizzerà, ne abbiamo avuto la prova nel recente passato, allora si sarà perso tanto tempo e tanto denaro ed i nostri continueranno a farsi i comodi loro.
Quello che mi sento di dire a questi politici tutti è:per favore evitate di prenderci in giro ne abbiamo già abbastanza di voi e di tutti i vostri intrighi. L'unica cosa che potete e dovete fare e di tornarvene a coltivare l'orticello come Cincinnato.
Naturalmente se ciò avvenisse non possiamo neanche illuderci, perchè dopo non sarà certo rose e fiori, soprattutto con questa legge elettorale, tutti gli ex qualcosa si stanno già posizionando dove pensano si possa salire sul carro e così tutto tornerà come prima e l'Italia potrà affondare senza problema, a meno che la parte migliore del Paese non si unirà per evitare un'altro scempio!!!!
Nella Toscano
Una delle cose che ti fa perdere completamente la fiducia negli uomini e soprattutto in quei rappresentanti nominati dai partiti e messi lì a rappresentare e governare l'Italia. Nei Tg vedi scorrere le facce di quei deputati che hanno abbandonato il proprio partito per cedere alle lusinghe del b. che ha rovinato l'Italia ed a guardarli sembra quasi impossibile che questi figuri siano stati scelti per stare lì!
Guardandoli mi sono tornate in mente le parole di un ragazzo bolognese, che ho conosciuto su una nave durante un mio viaggio, con il quale ebbi a scambiare qualche parole e che parlando a proposito di come si fa a capire se una persona è perbene o meno se la si conosce solo da pochi minuti, quel ragazzo mi rispose che dalla faccia si può capire, mi disse infatti La faccia non è tutto, ma è tanto!
Ecco io stasera a guardare queste facce di voltagabbana mi è sembrato proprio di vedere quel che sono impresso sulle loro facce e di sicuro io guardandoli per bene non li avrei mai scelto per candidarli!
Purtroppo Di Pietro e Veltroni li hanno candidati guardando non so che di queste persone, ma di sicuro non le loro facce!
Ed ora eccoci qua con la quasi certezza che per la fortuna di questi signori B. rimarrà in sella.
Certo b. è ricco e può permettersi di comprare chi vuole, ci sono tanti figuri in vendita pure per 100.000 euro. Direte sono tanti e vale la pena.
Certo sono tanti per chi non ne ha, ma un deputato che qualcosina guadagna potrebbe magari accontentarsi del suo ed invece no, ha e vuole avere di più, anche a costo di mettersi in vendita, alla faccia degli Italiani che li hanno votati!!!!
La cosa che più mette tristezza è che gli Italiani sopportano anche questo e l'opposizione pensa che dovrebbe essere un reato non solo un malcostume ed invoca l'intervento della magistratura.
Di fronte a tutto questo squallore si rimane senza parole ed il senso di impotenza ci lascia esausti.
Ma una domanda me la faccio e credo che insieme a me se la facciano molti Italiani, almeno quelli che riflettono un po.
Perchè aspettare il 14 per sfiduciare b, quando si poteva fare subito invece di chiudere il Parlamento per mancanza di lavoro?
Perchè nessuno si è posto il problema che queste ferie parlamentari servono solo a b. per fare il mercato delle vacche?
Adesso si aspetta che arrivi la magistratura a fare che?
Mettiamo il caso che la Magistratura ravvisa gli estremi di reato e chiede al Parlamento di procedere nei confronti di b. e degli altri che si sono venduti, il Parlamento a maggioranza di b. di sicuro non autorizzerà, ne abbiamo avuto la prova nel recente passato, allora si sarà perso tanto tempo e tanto denaro ed i nostri continueranno a farsi i comodi loro.
Quello che mi sento di dire a questi politici tutti è:per favore evitate di prenderci in giro ne abbiamo già abbastanza di voi e di tutti i vostri intrighi. L'unica cosa che potete e dovete fare e di tornarvene a coltivare l'orticello come Cincinnato.
Naturalmente se ciò avvenisse non possiamo neanche illuderci, perchè dopo non sarà certo rose e fiori, soprattutto con questa legge elettorale, tutti gli ex qualcosa si stanno già posizionando dove pensano si possa salire sul carro e così tutto tornerà come prima e l'Italia potrà affondare senza problema, a meno che la parte migliore del Paese non si unirà per evitare un'altro scempio!!!!
Nella Toscano
mercoledì 8 dicembre 2010
L'indulto occulto
L'indulto occulto è il titolo dell'articolo di Marco Travaglio, non solo titolo di un articolo, ma quello che è effettivamente successo nel silenzio più totale di tutte le forze politiche e quindi anche di quel che impropriamente continuiamo a chiamare opposizione.
Si perchè la maggioranza di centro destra ha appena approvato un indultino "mascherato" , che entrerà in vigore il 16 dicembre prossimo e che permetterà a migliaia di delinquenti di tornare liberi anzitempo, alla faccia della certezza della pena e della tolleranza zero.
Con questo ddl Alfano si prevede che i detenuti possono trascorrere l'ultimo anno di detenzione fuori dal carcere, disponendo così per le le pene detentive non superiori ad un anno e degli "analoghi residui di maggior pena" .
Già oggi i detenuti possono scontare gli ultimi due anni di pena agli arresti domiciliari e gli ultimi tre in affidamento ai servizi sociali, cioè liberi.
Coloro che hanno commesso reati entro il maggio 2006 per effetto del precedente indulto non fanno un giorno di carcere, nemmeno se condannati a 6 anni, infatti con l'indulto c'è uno sconto automatico di tre anni.
Con questo ddl Alfano la franchigia sale a 4 anni e addirittura a 7 per i reati coperti da indulto!
La cosa più preoccupante di questa legge è però che chi ha commesso reati può tornare a casa senza l'obbligo di abbandonare il domicilio della persona offesa. Quindi, chi ha commesso reati di maltrattamenti e di molestie verso il coniuge o di altre persone ivi residenti può tornare comodamente a delinquere. Non è difficile immaginare che, essendo migliaia le persone che verranno rilasciate, ci sarà un nuovo incremento di reati e di insicurezza sociale.
Come spesso accade con le leggi del c.d. anche questa è incostituzionale, perchè non approvata con la maggioranza del 2/3 prevista dalla Costituzione, infatti l'hanno votata solo lega e PDL e quindi sarà bocciata dalla consulta, almeno così auspichiamo.
C'è però da rilevare l'incoerenza della Lega che predica e parla di sicurezza e poi approva questo tipo di provvedimenti che vanno nella direzione diametralmente opposta!!!
Nella Toscano( referente della regione Sicilia)
Si perchè la maggioranza di centro destra ha appena approvato un indultino "mascherato" , che entrerà in vigore il 16 dicembre prossimo e che permetterà a migliaia di delinquenti di tornare liberi anzitempo, alla faccia della certezza della pena e della tolleranza zero.
Con questo ddl Alfano si prevede che i detenuti possono trascorrere l'ultimo anno di detenzione fuori dal carcere, disponendo così per le le pene detentive non superiori ad un anno e degli "analoghi residui di maggior pena" .
Già oggi i detenuti possono scontare gli ultimi due anni di pena agli arresti domiciliari e gli ultimi tre in affidamento ai servizi sociali, cioè liberi.
Coloro che hanno commesso reati entro il maggio 2006 per effetto del precedente indulto non fanno un giorno di carcere, nemmeno se condannati a 6 anni, infatti con l'indulto c'è uno sconto automatico di tre anni.
Con questo ddl Alfano la franchigia sale a 4 anni e addirittura a 7 per i reati coperti da indulto!
La cosa più preoccupante di questa legge è però che chi ha commesso reati può tornare a casa senza l'obbligo di abbandonare il domicilio della persona offesa. Quindi, chi ha commesso reati di maltrattamenti e di molestie verso il coniuge o di altre persone ivi residenti può tornare comodamente a delinquere. Non è difficile immaginare che, essendo migliaia le persone che verranno rilasciate, ci sarà un nuovo incremento di reati e di insicurezza sociale.
Come spesso accade con le leggi del c.d. anche questa è incostituzionale, perchè non approvata con la maggioranza del 2/3 prevista dalla Costituzione, infatti l'hanno votata solo lega e PDL e quindi sarà bocciata dalla consulta, almeno così auspichiamo.
C'è però da rilevare l'incoerenza della Lega che predica e parla di sicurezza e poi approva questo tipo di provvedimenti che vanno nella direzione diametralmente opposta!!!
Nella Toscano( referente della regione Sicilia)
martedì 7 dicembre 2010
sabato 4 dicembre 2010
Bondi, il sesso e il suicidio energetico
4 dicembre 2010
Un giornalista, col cartellino appuntato sul risvolto del giaccone si affaccia: “E’ qui il rinfresco?” La funzionaria del settore Musei e Mostre del Ministero, arruolata nella force de frappe, lo identifica e lo intercetta, dissuadendolo come da istruzioni: “No, qui non c’è nessun rinfresco, è tutto finito, stiamo smontando.”
Infatti è essenziale che non ci siano giornalisti. O meglio, che ci siano, ma embedded come al fronte, in Iraq. E c’è anche una squadra di fotografi. Ma solo un paio sono veri, gli altri sono dodici fattorini del Ministero. Arrivano i ministri, Galan, la Carfagna, ed è tutto uno svolazzare di depliant e presentazioni. Neanche i ministri devono capire, che se scoprono che sono lì con la funzione del lubrificante in una storia di sesso del presidente, magari si sentono un po’ usati malamente, peggio che lacchè…
E’ la beffa delle commedie più incredibili, situazioni da film muto. Arrivano anche i deputati, italiani ed europei, non ci si fa mancare niente. Si dice che qualcuno abbia ordinato: “Il presidente è stato chiaro: deve essere come un premio vero con le autorità e tutto!” E via con le autorità. E il pubblico? Mica si poteva rischiare. Li hanno fatti venire con otto pullman da Isernia, li hanno rivestiti alla meglio, correggendo alcuni casi umani disperati (gli avevano detto: “Venite vestiti bene”, ma non si prevedeva che qualcuno arrivasse con un gessato rosa su fondo giallo).
Hanno poi aggiunto un minimo di riqualificazione del parterre con una manciata di vip e vippini ingaggiati da una nota agenzia specializzata in ospitate a matrimoni dei seguaci del Grande Fratello, una spruzzata di signore e signori distinti, ingaggiati in un circolo del bridge da un’anziana bibliotecaria membro del complotto ministeriale. Li ha convinti dicendo che c’era una bomba nel locale del circolo e che invece al Lido premiavano la piùgrande attrice cristiana di tutti i tempi, perseguitata dal comunismo. Ci sono state delle urla di approvazione.
Insomma, avrei voluto esserci al premio di Bondi. E pure quando, pochi giorni fa, la Carfagna ha scoperto di aver fatto da testimonial dentro il pacchetto premio per una sveltina. Credo che la Carfagna abbia urlato. E non erano urla di approvazione… Che scena! Secondo me è per quello che le è scattata la cosa delle dimissioni. La camorra è il motivo di fondo, ma la molla che ha tirato il grilletto è il premio Bondi. E sarebbe veramente divertente avere una classe politica che si dedica su scala industriale a imbrogliare giovani seducenti allo scopo di rendere più agevole la penetrazione al loro leader… In fondo essere la nazione Amici Miei non è male… in Birmania stanno peggio. Ma il problema è che in questo delirio, poi, quando devono scrivere una legge, gli dà di volta il cervello, che ce l’hanno già troppo pieno di controfigure e targhe finte.
Così siamo alla schizofrenia e, con tutto il teatrino dell’assurdo che ci crolla addosso, i media manco se ne occupano più, e i politici tanto meno. Te ne racconto due, tanto per darti la misura.
In novembre il governo ha deciso di lanciare una campagna confusionaria: ha prima cancellato e poi reintrodotto la detrazione fiscale del 55%, per chi migliora l’efficienza energetica della sua casa. Lo ha fatto per sbalordire. E’ la loro strategia: continuano ad annunciare che cambiano questo e quello e poi cambiano di nuovo e non hanno cambiato niente ma sembrano molto attivi.
Tre giorni fa una nuova disposizione stabiliva il divieto totale di costruire grandi impianti fotovoltaici a terra. Pare che l’unico ad accorgersene e a dare l’allarme sia stato un imprenditore del settore. Ne è scoppiato un putiferio di cui i giornali non hanno dato notizia. Qualcuno ha telefonato a qualcun altro con minacce selvagge di ritorsioni fisiche, sessuali ed economiche. La legge poi veniva modificata permettendo la costruzione di impianti fino a mille kilowatt. Effetto immediato: migliaia di lavoratori licenziati perché i lavori già in corso dovrebbero interrompersi immediatamente. Bloccata la realizzazione di una quantità di impianti già progettati, contrattualizzati e autorizzati che entro dodici mesi avrebbero iniziato a produrre quanto una centrale nucleare inizierebbe a produrre tra 11 anni.
E, colmo dell’incredibile, alcuni ecologisti si dichiarano contenti: perché gira la voce che, se su un campo ci fai un impianto solare, poi resterà sterile per 200 anni. Mistero come ciò avvenga, visto che i pannelli stanno a due metri di altezza e sotto si coltivano senza problemi cespugli perenni. Tra l’altro, si tratta di un metodo ottimo per rigenerare terreni esausti a causa delle coltivazioni chimiche. Il parziale riposo dei terreni e la protezione parziale dalla pioggia diretta, offerta dai pannelli, favoriscono il ricrearsi dell’humus. Perché vietare i grandi impianti? Non si può neanche accusare i grandi gruppi finanziari di aver determinato questo divieto, per ora sono solo i grandi gruppi che realizzano i grandi impianti… Mistero senza senso. Tagliano le spese? Tagliarsi via i genitali non è il modo più economico per evitare gravidanze indesiderate. Già è idiota tagliare la ricerca scientifica, perché vuol dire piangere fra pochi anni, ma come si fa a tagliare lo sviluppo delle fonti rinnovabili, che ci servono ora, e che finalmente avevano iniziato a svilupparsi in modo potente? Una follia psicotica!
Contemporaneamente la diffusione degli ultimi dati sulle ferrovie è sconcertante: negli ultimi quattro anni il traffico di merci sui binari si è dimezzato. E si è deciso di smantellare buona parte di tutto il sistema degli scali merci ferroviari, che verranno ridotti da più di 200 a meno di 80. Buttata al cesso tutta la storia dell’efficienza del sistema Italia e della razionalizzazione dei trasporti, della diminuzione dei consumi di carburante e dei prezzi delle spedizioni (i più alti d’Europa, un chiodo nel fianco della possibilità di fare concorrenza internazionale). Ho sentito l’intervento di un imprenditore del settore trasporti ferroviari di merci in Commissione parlamentare, dove spiegava perché l’impresa privata non decolla nelle ferrovie. Diceva di avere 6 locomotive e di fare un fatturato di 8 milioni di euro: e ora le Ferrovie gli chiedono di posteggiare vicino a 12 stazioni una locomotiva di riserva in caso di guasti delle locomotive viaggianti. Costo 28 milioni di euro…
Ma allora ditelo che fate solo finta.
porcellum di Calderoli viola i diritti dell’uomo”
di Stefano Caselli
4 dicembre 2010
La battaglia di un avvocato torinese: tutti dicono di volerla cambiare ma nessun politico ci ha mai appoggiato
Tra pochi giorni sarà di nuovo a Strasburgo per convincere la Corte europea dei Diritti dell’uomo che il ricorso che porta la sua firma necessita di essere discusso con urgenza. Mauro Anetrini, 52 anni, avvocato torinese, ci aveva già provato (invano) nel 2008, ma oggi, con la possibilità di nuove elezioni a breve, è opportuno tornare alla carica. Anetrini, infatti, che rappresenta due cittadini torinesi, chiede che i giudici di Strasburgo intervengano affinché in Italia “sia ristabilita la democrazia”.
Non è l’estemporanea iniziativa di un temerario, sebbene a Strasburgo siano abituati ai ricorsi strambi, ma una riflessione sulla natura della legge elettorale italiana. La legge “porcata”, come graziosamente la chiamò il primo firmatario, violerebbe in maniera palese l’art. 3 del Protocollo addizionale della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo che recita: “Le Alte Parti Contraenti si impegnano ad organizzare (…) libere elezioni (…) tali da assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo”. Eccolo lì il punto, la “scelta del corpo legislativo”, cioè dei membri del Parlamento. Con questa legge elettorale, si legge nel ricorso, “le elezioni (…) si svolgono mediante procedure che svuotano di ogni contenuto il principio secondo il quale ad ogni cittadino è assicurata libertà di scelta nella designazione dei rappresentanti del popolo, essendo esclusa ogni possibilità di indicazione della preferenza”, dunque un provvedimento che “sovverte radicalmente il principio della sovranità popolare”. In che altro modo potrebbe infatti definirsi una legge che “pena la nullità del voto” proibisce sulla scheda ogni indicazione diversa da “un segno nel rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta”? Il risultato, com’è noto a tutti, è un Parlamento di designati, scelti da quattro o cinque leader di partito, la cui elezione è garantita o resa impossibile dal posizionamento in lista. C’è n’è abbastanza, secondo Anetrini, per chiedere alla Corte di dichiarare la legge elettorale italiana “contraria all’art 3 del Protocollo addizionale della Convenzione europea sui Diritti dell’uomo e sanzionare la Repubblica italiana intimandole di adottare una legge conforme alla Convenzione stessa”.
A ulteriore sostegno, il ricorso cita una sentenza della Corte costituzionale del 1975 in cui la Consulta si esprimeva su un tema analogo, optando per la “non rilevanza costituzionale” della libertà riconosciuta alle forze politiche di indicare un ordine discrezionale nella presentazione delle candidature in lista, proprio perché la legge riconosceva comunque la libertà di votare “questo o quel candidato prescelto attraverso il voto di preferenza”. In pratica, se anche un candidato veniva messo in basso in lista, la libertà di scelta – costituzionalmente tutelata dall’art. 49 della Carta – era garantita dal voto di preferenza, ora scippato ai cittadini.
“Il ricorso alla Corte di Strasburgo – spiega Anetrini – era l’unico possibile, poiché le leggi elettorali in Italia non sono assoggettate ad alcun ricorso giudiziario; soltanto le Camere possono giudicare sulla legittimità dell’elezione dei loro membri”. C’è da aspettarsi una decisione in tempi rapidi? “La causa – prosegue l’avvocato – ha terminato la sua fase preliminare. Abbiamo depositato le nostre memorie e il governo italiano, che nel giudizio è controparte, ha fatto altrettanto attraverso un prefetto del ministero dell’Interno, che ha difeso la legge elettorale sostenendo che la normativa sia simile, se non uguale, a quella di molti altri Paesi firmatari della Convenzione, che favorisca le coalizioni e permetta risparmio di denaro, che favorisca la libertà dei parlamentari garantendo stabilità di governo. Argomentazioni un po’ zoppicanti, io credo”. Difficile, però, ignorare che le sentenze della Corte europea dei Diritti dell’uomo (a differenza delle decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea) hanno un’efficacia consultiva e non vincolante, al massimo possono obbligare gli Stati a sanzioni pecuniarie.
Ma Anetrini non si scoraggia: “Se la Corte ci dà ragione, l’Italia deve adeguarsi. E qualora si tornasse a votare – garantisce l’avvocato – esiste la possibilità di ottenere un provvedimento di annullamento delle elezioni”. Quale sia questa possibilità, Anetrini preferisce, in questo momento, non svelarla: “Mi limito ad osservare – conclude – che questa legge la vogliono cestinare tutti, eppure la nostra iniziativa non ha ottenuto la minima attenzione da parte delle forze politiche”. In compenso, già 6.500 persone hanno aderito al profilo Facebook creato per sostenere il ricorso.
Dal Fatto Quotidiano del 4 dicembre 2010
Non è l’estemporanea iniziativa di un temerario, sebbene a Strasburgo siano abituati ai ricorsi strambi, ma una riflessione sulla natura della legge elettorale italiana. La legge “porcata”, come graziosamente la chiamò il primo firmatario, violerebbe in maniera palese l’art. 3 del Protocollo addizionale della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo che recita: “Le Alte Parti Contraenti si impegnano ad organizzare (…) libere elezioni (…) tali da assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo”. Eccolo lì il punto, la “scelta del corpo legislativo”, cioè dei membri del Parlamento. Con questa legge elettorale, si legge nel ricorso, “le elezioni (…) si svolgono mediante procedure che svuotano di ogni contenuto il principio secondo il quale ad ogni cittadino è assicurata libertà di scelta nella designazione dei rappresentanti del popolo, essendo esclusa ogni possibilità di indicazione della preferenza”, dunque un provvedimento che “sovverte radicalmente il principio della sovranità popolare”. In che altro modo potrebbe infatti definirsi una legge che “pena la nullità del voto” proibisce sulla scheda ogni indicazione diversa da “un segno nel rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta”? Il risultato, com’è noto a tutti, è un Parlamento di designati, scelti da quattro o cinque leader di partito, la cui elezione è garantita o resa impossibile dal posizionamento in lista. C’è n’è abbastanza, secondo Anetrini, per chiedere alla Corte di dichiarare la legge elettorale italiana “contraria all’art 3 del Protocollo addizionale della Convenzione europea sui Diritti dell’uomo e sanzionare la Repubblica italiana intimandole di adottare una legge conforme alla Convenzione stessa”.
A ulteriore sostegno, il ricorso cita una sentenza della Corte costituzionale del 1975 in cui la Consulta si esprimeva su un tema analogo, optando per la “non rilevanza costituzionale” della libertà riconosciuta alle forze politiche di indicare un ordine discrezionale nella presentazione delle candidature in lista, proprio perché la legge riconosceva comunque la libertà di votare “questo o quel candidato prescelto attraverso il voto di preferenza”. In pratica, se anche un candidato veniva messo in basso in lista, la libertà di scelta – costituzionalmente tutelata dall’art. 49 della Carta – era garantita dal voto di preferenza, ora scippato ai cittadini.
“Il ricorso alla Corte di Strasburgo – spiega Anetrini – era l’unico possibile, poiché le leggi elettorali in Italia non sono assoggettate ad alcun ricorso giudiziario; soltanto le Camere possono giudicare sulla legittimità dell’elezione dei loro membri”. C’è da aspettarsi una decisione in tempi rapidi? “La causa – prosegue l’avvocato – ha terminato la sua fase preliminare. Abbiamo depositato le nostre memorie e il governo italiano, che nel giudizio è controparte, ha fatto altrettanto attraverso un prefetto del ministero dell’Interno, che ha difeso la legge elettorale sostenendo che la normativa sia simile, se non uguale, a quella di molti altri Paesi firmatari della Convenzione, che favorisca le coalizioni e permetta risparmio di denaro, che favorisca la libertà dei parlamentari garantendo stabilità di governo. Argomentazioni un po’ zoppicanti, io credo”. Difficile, però, ignorare che le sentenze della Corte europea dei Diritti dell’uomo (a differenza delle decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea) hanno un’efficacia consultiva e non vincolante, al massimo possono obbligare gli Stati a sanzioni pecuniarie.
Ma Anetrini non si scoraggia: “Se la Corte ci dà ragione, l’Italia deve adeguarsi. E qualora si tornasse a votare – garantisce l’avvocato – esiste la possibilità di ottenere un provvedimento di annullamento delle elezioni”. Quale sia questa possibilità, Anetrini preferisce, in questo momento, non svelarla: “Mi limito ad osservare – conclude – che questa legge la vogliono cestinare tutti, eppure la nostra iniziativa non ha ottenuto la minima attenzione da parte delle forze politiche”. In compenso, già 6.500 persone hanno aderito al profilo Facebook creato per sostenere il ricorso.
Dal Fatto Quotidiano del 4 dicembre 2010
A proposito di Vita!
MicroMega propone di istituire per il 9 febbraio
la “Giornata della libertà di scelta sulla propria vita”
Per il prossimo 9 febbraio il Governo ha istituito la Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi. Decisione moralmente mostruosa, poiché offende la memoria di Eluana Englaro, che in quel giorno finalmente vedeva un anno fa rispettata la sua volontà sul proprio corpo. Decisione istituzionalmente irricevibile, poiché ufficializza come “delitto” una sacrosanta sentenza della magistratura. Decisione che infanga la Costituzione, poiché con essa il governo intende addirittura solennizzare la pretesa invereconda che la vita di ogni cittadino, anziché appartenere a chi la vive, sia alla mercé di una maggioranza parlamentare.
Di fronte a questa vergognosa provocazione diventa inevitabile e doveroso che tutta l’Italia democratica e laica, senza eccezioni, proclami il 9 febbraio Giornata nazionale della libera scelta sulla propria vita, onorando così la memoria di Eluana, di Piergiorgio Welby, di Luca Coscioni, e dei tanti altri che oltre alla tragedia della condanna a morte per malattia hanno dovuto affrontare anche la violenza di governi che vogliono costringere i malati alla tortura delle sofferenze terminali.
MicroMega chiede a tutte le associazioni laiche, a tutte le testate giornalistiche e i siti web che si riconoscono nei valori della Costituzione, a tutte le personalità del mondo della cultura e dello spettacolo che sentono il dovere elementare di rispettare e far rispettare la decisione di ciascuno sul proprio fine-vita, di mettersi immediatamente in contatto per organizzare insieme la giornata del 9 febbraio come giornata di libertà e di dignità, attraverso iniziative che si svolgano almeno in tutti i capoluoghi di regione.
Maggiori informazioni su
newsletter@micromega.net
la “Giornata della libertà di scelta sulla propria vita”
Per il prossimo 9 febbraio il Governo ha istituito la Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi. Decisione moralmente mostruosa, poiché offende la memoria di Eluana Englaro, che in quel giorno finalmente vedeva un anno fa rispettata la sua volontà sul proprio corpo. Decisione istituzionalmente irricevibile, poiché ufficializza come “delitto” una sacrosanta sentenza della magistratura. Decisione che infanga la Costituzione, poiché con essa il governo intende addirittura solennizzare la pretesa invereconda che la vita di ogni cittadino, anziché appartenere a chi la vive, sia alla mercé di una maggioranza parlamentare.
Di fronte a questa vergognosa provocazione diventa inevitabile e doveroso che tutta l’Italia democratica e laica, senza eccezioni, proclami il 9 febbraio Giornata nazionale della libera scelta sulla propria vita, onorando così la memoria di Eluana, di Piergiorgio Welby, di Luca Coscioni, e dei tanti altri che oltre alla tragedia della condanna a morte per malattia hanno dovuto affrontare anche la violenza di governi che vogliono costringere i malati alla tortura delle sofferenze terminali.
MicroMega chiede a tutte le associazioni laiche, a tutte le testate giornalistiche e i siti web che si riconoscono nei valori della Costituzione, a tutte le personalità del mondo della cultura e dello spettacolo che sentono il dovere elementare di rispettare e far rispettare la decisione di ciascuno sul proprio fine-vita, di mettersi immediatamente in contatto per organizzare insieme la giornata del 9 febbraio come giornata di libertà e di dignità, attraverso iniziative che si svolgano almeno in tutti i capoluoghi di regione.
Maggiori informazioni su
newsletter@micromega.net
giovedì 2 dicembre 2010
WikiLeaks e il bluff della diplomazia
di Paolo Farinella
Sentenzia Solone, presidente del Consiglio di una piantagione di banane chiamata Italietta: “C’è una strategia per colpire l’Italia” e si riferisce ai documenti dell’ambasciata romana degli Usa che lo definiscono “vanitoso, incapace, festaiolo e affarista” e amico di campioni di democrazia come Gheddafi e Putin. L’ambasciata è stata molto tenera a non sbilanciarsi, ma il vuoto pieno di nulla, mentre visita Gheddafi sentenzia: “Complotto!” Poverino, ancora Bondi non gli ha detto che il nome in codice della strategia è “Berlusconi”, nome puramente di fantasia inventato dagli americani. Quando lo saprà chiamerà la Carfagna perché chiami la Mussolini che chiami la Santanché, facciano un consulto da vajasse come si definiscono nel partito dell’amore e diano garanzia che la femminilità austera e aggraziata siede davanti allo stratega. Nota del cerimoniere: la seduta è aperta.
Più cauta la reazione di Gianni Letta: “Se questi sono i costumi dell’epoca in cui viviamo c’è da restare atterriti e sconfortati” e il nobiluomo del papa prosegue imperterrito senza nemmeno accorgersi che gli manca la sintassi della logica e della morale: “La coincidenza ha voluto che questa cerimonia [la consegna dei premi Coni-Ussi, ndr] che ci invita a leggere cose belle, pulite, utili, avvenisse nel giorno in cui i giornali squadernano una quantità di presunti segreti che riguardano l’universo mondo e anche il nostro paese. Queste cose inducono allo sconforto e allo sconcerto perché se questi sono i costumi della vita politica c’è da essere atterriti”.
O è ubriaco o l’hanno drogato a Guantanamo e poi l’hanno rispedito al Coni: “Se questi sono i costumi in cui viviamo“, dice lui che apre e chiude le porte alle minorenni che entrano ed escono dalla cene pulite e signorili del capo bastardo e capo-puttaniere. Parla di costumi in cui viviamo, lui che ha fatto avere contratti a parentucci suoi anche all’Aquila; lui che è il fulcro di ogni nefandezza del governo, che firma ogni atto di governo e di corruzione, che è al centro della compravendita di senatori e deputati per mantenere la flebo al governo almeno fino al 15 di dicembre; lui che è peggio del suo padrone
.
Al peggio non c’è fine. L’Osservatore Romano, il giornale del papa, in riferimento ai documenti pubblicati da WikiLeaks non ha altro da commentare che le seguenti nobili parole da conservare per un epitaffio tombale: le pubblicazioni non sembrano “in grado di modificare sostanzialmente i rapporti tra gli Usa e le diverse diplomazie mondiali”. Tutto qui. Nulla di nulla. E dire che si presenta come il giornale della verità, quello che pubblica l’enciclica sulla verità, quello cioè che peggio di un giornale pornografico dice solo menzogne. La menzogna non è dire la bugia, ma manipolare la verità così lievemente (v. l’avverbio di modo “sostanzialmente”) da impedire che sia riconosciuta. Non una parola sul giudizio americano sul presidente del consiglio: “Vanitoso, incapace, affarista e festaiolo”. Non una riflessione sulla figura che l’Italia fa coram mundo perché gli italioti hanno mandato al governo un pazzo malato che si gonfia da solo perché è il vuoto pneumatico per definizione. Ancora una volta, il messaggio che arriva dal Vaticano è: non infieriamo sul governo perché ci torna utile. Alla faccia della morale, alla peppa l’etica, all’inferno la verità. W il papa, W la banana repubblichina.
I documenti di Wikileaks dimostrano solo che la diplomazia è un bluff, una facciata dietro la quale si nasconde il nulla. Noi ridevamo dei palazzi di Ceausescu che avevano sontuose facciate di cartone e dietro il nulla, come in un set cinematografico; la diplomazia mondiale è peggio perché tutti lo sanno e tutti fanno finta di non saperlo, perché tutti recitano e mentono. Sotto il vestito niente. Sono questi qua che governano il mondo; costoro non sanno nemmeno dire apertamente quello che pensano e credono di potere governare con la finzione: sfido io che il mondo va in crisi, che l’economia va rotoli, che la disoccupazione aumenta a vista d’occhio, che il precariato è lo stato permanente di un coma civile, perché costoro passano il tempo a fare i “vanitosi e i finti seri”. E’ meglio mandarli nella monnezza di Napoli: tanto tonnellata più, tonnellata meno non fa differenza.
Sentenzia Solone, presidente del Consiglio di una piantagione di banane chiamata Italietta: “C’è una strategia per colpire l’Italia” e si riferisce ai documenti dell’ambasciata romana degli Usa che lo definiscono “vanitoso, incapace, festaiolo e affarista” e amico di campioni di democrazia come Gheddafi e Putin. L’ambasciata è stata molto tenera a non sbilanciarsi, ma il vuoto pieno di nulla, mentre visita Gheddafi sentenzia: “Complotto!” Poverino, ancora Bondi non gli ha detto che il nome in codice della strategia è “Berlusconi”, nome puramente di fantasia inventato dagli americani. Quando lo saprà chiamerà la Carfagna perché chiami la Mussolini che chiami la Santanché, facciano un consulto da vajasse come si definiscono nel partito dell’amore e diano garanzia che la femminilità austera e aggraziata siede davanti allo stratega. Nota del cerimoniere: la seduta è aperta.
Più cauta la reazione di Gianni Letta: “Se questi sono i costumi dell’epoca in cui viviamo c’è da restare atterriti e sconfortati” e il nobiluomo del papa prosegue imperterrito senza nemmeno accorgersi che gli manca la sintassi della logica e della morale: “La coincidenza ha voluto che questa cerimonia [la consegna dei premi Coni-Ussi, ndr] che ci invita a leggere cose belle, pulite, utili, avvenisse nel giorno in cui i giornali squadernano una quantità di presunti segreti che riguardano l’universo mondo e anche il nostro paese. Queste cose inducono allo sconforto e allo sconcerto perché se questi sono i costumi della vita politica c’è da essere atterriti”.
O è ubriaco o l’hanno drogato a Guantanamo e poi l’hanno rispedito al Coni: “Se questi sono i costumi in cui viviamo“, dice lui che apre e chiude le porte alle minorenni che entrano ed escono dalla cene pulite e signorili del capo bastardo e capo-puttaniere. Parla di costumi in cui viviamo, lui che ha fatto avere contratti a parentucci suoi anche all’Aquila; lui che è il fulcro di ogni nefandezza del governo, che firma ogni atto di governo e di corruzione, che è al centro della compravendita di senatori e deputati per mantenere la flebo al governo almeno fino al 15 di dicembre; lui che è peggio del suo padrone
.
Al peggio non c’è fine. L’Osservatore Romano, il giornale del papa, in riferimento ai documenti pubblicati da WikiLeaks non ha altro da commentare che le seguenti nobili parole da conservare per un epitaffio tombale: le pubblicazioni non sembrano “in grado di modificare sostanzialmente i rapporti tra gli Usa e le diverse diplomazie mondiali”. Tutto qui. Nulla di nulla. E dire che si presenta come il giornale della verità, quello che pubblica l’enciclica sulla verità, quello cioè che peggio di un giornale pornografico dice solo menzogne. La menzogna non è dire la bugia, ma manipolare la verità così lievemente (v. l’avverbio di modo “sostanzialmente”) da impedire che sia riconosciuta. Non una parola sul giudizio americano sul presidente del consiglio: “Vanitoso, incapace, affarista e festaiolo”. Non una riflessione sulla figura che l’Italia fa coram mundo perché gli italioti hanno mandato al governo un pazzo malato che si gonfia da solo perché è il vuoto pneumatico per definizione. Ancora una volta, il messaggio che arriva dal Vaticano è: non infieriamo sul governo perché ci torna utile. Alla faccia della morale, alla peppa l’etica, all’inferno la verità. W il papa, W la banana repubblichina.
I documenti di Wikileaks dimostrano solo che la diplomazia è un bluff, una facciata dietro la quale si nasconde il nulla. Noi ridevamo dei palazzi di Ceausescu che avevano sontuose facciate di cartone e dietro il nulla, come in un set cinematografico; la diplomazia mondiale è peggio perché tutti lo sanno e tutti fanno finta di non saperlo, perché tutti recitano e mentono. Sotto il vestito niente. Sono questi qua che governano il mondo; costoro non sanno nemmeno dire apertamente quello che pensano e credono di potere governare con la finzione: sfido io che il mondo va in crisi, che l’economia va rotoli, che la disoccupazione aumenta a vista d’occhio, che il precariato è lo stato permanente di un coma civile, perché costoro passano il tempo a fare i “vanitosi e i finti seri”. E’ meglio mandarli nella monnezza di Napoli: tanto tonnellata più, tonnellata meno non fa differenza.
martedì 30 novembre 2010
venerdì 26 novembre 2010
Conferenza Stampa di presentazione Manidfesto della Rete delle Donne Italiane per la Rivoluzione Gentile!
La Rete delle Donne presenta il Manifesto per la rivoluzione gentile Lunedì 29 novembre alle 11,30 presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati, Via della Missione n. 4, Conferenza Stampa della Rete nazionale delle Donne: "La rivoluzione gentile nella politica, nell'economia, nella società".
mercoledì 24 novembre 2010
L'osceno normalizzato
di BARBARA SPINELLI Ci fu un tempo, non lontano, in cui era vero scandalo, per un politico, dare a un uomo di mafia il bacio della complicità. Il solo sospetto frenò l'ascesa al Quirinale di Andreotti, riabilitato poi dal ceto politico ma non necessariamente dagli italiani né dalla magistratura, che estinse per prescrizione il reato di concorso in associazione mafiosa ma ne certificò la sussistenza fino al 1980. Quel sospetto brucia, dopo anni, e anche se non è provato ha aperto uno spiraglio sulla verità di un lungo sodalizio con la Cupola. Chi legga oggi le motivazioni della condanna in secondo grado di Dell'Utri avrà una strana impressione: lo scandalo è divenuto normalità, il tremendo s'è fatto banale e scuote poco gli animi.
Nella villa di Arcore e negli uffici di Edilnord che Berlusconi - futuro Premier - aveva a Milano, entravano e uscivano con massima disinvoltura Stefano Bontate, Gaetano Cinà, Mimmo Teresi, Vittorio Mangano, mafiosi di primo piano: per quasi vent'anni, almeno fino al '92. Dell'Utri, suo braccio destro, era non solo il garante di tutti costoro ma il luogotenente-ambasciatore. Fu nell'incontro a Milano della primavera '74 che venne deciso di mandare ad Arcore Mangano: che dovremmo smettere di chiamare stalliere perché fu il custode mafioso e il ricattatore del Cavaliere. Quest'ultimo lo sapeva, se è vero che fu Bontate in persona, nel vertice milanese, a promettergli il distaccamento a Arcore d'un "uomo di garanzia".
La sentenza
attesta che Berlusconi era legato a quel mondo parallelo, oscuro: ogni anno versava 50 milioni di lire, fatti pervenire a Bontate (nell'87 Riina chiederà il doppio). A questo pizzo s'aggiunga il "regalo" a Riina (5 milioni) per "aggiustare la situazione delle antenne televisive" in Sicilia. Fu Dell'Utri, ancor oggi senatore di cui nessuno chiede l'allontanamento, a consigliare nel 1993 la discesa in politica. Fedele Confalonieri, presidente Mediaset, dirà che altrimenti il Cavaliere sarebbe "finito sotto i ponti o in galera per mafia" (la Repubblica, 25-6-2000). Il 10 febbraio 2010 Dell'Utri, in un'intervista a Beatrice Borromeo sul Fatto, spiega: "A me della politica non frega niente, io mi sono candidato per non finire in galera".
C'è dell'osceno in questo mondo parallelo, che non è nuovo ma oggi non è più relegato fuori scena, per prudenza o gusto. Oggi, il bacio lo si dà in Parlamento, come Alessandra Mussolini che bacia Cosentino indagato per camorra. Dacci oggi il nostro osceno quotidiano. Questo il paternoster che regna - nella Mafia le preghiere contano, spiega il teologo Augusto Cavadi - presso il Premier: vittima di ricatti, uomo non libero, incapace di liberarsi di personaggi loschi come Dell'Utri o il coordinatore Pdl in Campania Cosentino. Ai tempi di Andreotti non ci sarebbe stato un autorevole commentatore che afferma, come Giuliano Ferrara nel 2002 su Micromega: "Il punto fondamentale non è che tu devi essere capace di ricattare, è che tu devi essere ricattabile (...) Per fare politica devi stare dentro un sistema che ti accetta perché sei disponibile a fare fronte, a essere compartecipe di un meccanismo comunitario e associativo attraverso cui si selezionano le classi dirigenti. (...) Il giudice che decide il livello e la soglia di tollerabilità di questi comportamenti è il corpo elettorale".
Il corpo elettorale non ha autonoma dignità, ma è sprezzato nel momento stesso in cui lo si esalta: è usato, umiliato, tramutato in palo di politici infettati dalla mafia. Gli stranieri che si stupiscono degli italiani più che di Berlusconi trascurano spesso l'influenza che tutto ciò ha avuto sui cervelli: quanto pensiero prigioniero, ma anche quanta insicurezza e vergogna di fondo possa nascere da questo sprezzo metodico, esibito.Ai tempi di Andreotti non conoscemmo la perversione odierna: vali se ti pagano. La mazzetta ti dà valore, potere, prestigio. Non sei nessuno se non ti ricattano. L'1 agosto 1998, Montanelli scrisse sul Corriere una lettera a Franco Modigliani, premio Nobel dell'economia: "Dopo tanti secoli che la pratichiamo, sotto il magistero di nostra Santa Madre Chiesa, ineguagliabile maestra d'indulgenze, perdoni e condoni, noi italiani siamo riusciti a corrompere anche la corruzione e a stabilire con essa il rapporto di pacifica convivenza che alcuni popoli africani hanno stabilito con la sifilide, ormai diventata nel loro sangue un'afflizioncella di ordine genetico senza più gravi controindicazioni".
In realtà le controindicazioni ci sono: gli italiani intuiscono i danni non solo etici dell'illegalità. Da settimane Berlusconi agita lo spettro di una guerra civile se lo spodestano: guerra che nella crisi attuale - fa capire - potrebbe degenerare in collasso greco. È l'atomica che il Cavaliere brandisce contro Napolitano, Fini, Casini, il Pd, i media. I mercati diventano arma: "Se non vi adeguate ve li scateno contro". Sono lo spauracchio che ieri fu il terrorismo: un dispositivo della politica della paura. Poco importa se l'ordigno infine non funzionerà: l'atomica dissuade intimidendo, non agendo. Il mistero è la condiscendenza degli italiani, i consensi ancora dati a Berlusconi. Ma è anche un mistero la loro ansia di cambiare, di esser diversi. Il loro giudizio è netto: affondano il Pdl come il Pd. Premiano i piccoli ribelli: Italia dei Valori, Futuro e Libertà. Se interrogati, applaudirebbero probabilmente le due donne - Veronica Lario, Mara Carfagna - che hanno denunciato il "ciarpame senza pudore" del Cavaliere, e le "guerre per bande" orchestrate da Cosentino. Se interrogati, immagino approverebbero Saviano, indifferenti all'astio che suscita per il solo fatto che impersona un'Italia che ama molto le persone oneste, l'antimafia di Don Ciotti, il parlar vero.
Questa normalizzazione dell'osceno è la vita che viviamo, nella quale politica e occulto sono separati in casa e non è chiaro, quale sia il mondo reale e quale l'apparente. Chi ha visto Essi Vivono, il film di John Carpenter, può immaginare tale condizione anfibia. La doppia vita italiana non nasce con Berlusconi, e uscirne vuol dire ammettere che destra e sinistra hanno più volte accettato patti mafiosi. C'è molto da chiarire, a distanza di anni, su quel che avvenne dopo l'assassinio di Falcone e Borsellino. In particolare, sulla decisione che il ministro della giustizia Conso prese nel novembre '92 - condividendo le opinioni del ministro dell'Interno Mancino e del capo della polizia Parisi - di abolire il carcere duro (41bis) a 140 mafiosi, con la scusa che esisteva nella Mafia una corrente anti-stragi favorevole a trattative. Congetturare è azzardato, ma si può supporre che da allora viviamo all'ombra di un patto.
Il patto non è obbligatoriamente formale. L'universo parallelo ha le sue opache prudenze, ma esiste e contamina la sinistra. In Sicilia, anch'essa sembra costretta a muoversi nel perimetro dell'osceno. Osceno è l'accordo con la giunta Lombardo, presidente della Regione, indagato per "concorso esterno in associazione mafiosa". Osceno e tragico, perché avviene nella ricerca di un voto di sfiducia a Berlusconi.
Non si può non avere un linguaggio inequivocabile, sulla legalità. Non ci si può comportare impunemente come quando gli americani s'intesero con la Mafia per liberare l'Italia. L'accordo, scrive il magistrato Ingroia, fu liberatore ma ebbe l'effetto di rendere "antifascisti i mafiosi, assicurando loro un duraturo potere d'influenza". Non è chiaro quel che occorra fare, ma qualcosa bisogna dire, promettere. Non qualcosa "di sinistra", ma di ben più essenziale: l'era in cui la Mafia infiltrava la politica finirà, la legalità sarà la nuova cultura italiana.Fino a che non dirà questo il Pd è votato a fallire. Proclamerà di essere riformista, con "vocazione maggioritaria", ma l'essenza la mancherà. Non sarà il parlare onesto che i cittadini in fondo amano. Si tratta di salvare non l'anima, ma l'Italia da un lungo torbido. Sarebbe la sua seconda liberazione, dopo il '45 e la Costituzione. Sennò avrà avuto ragione Herbert Matthew, il giornalista Usa che nel novembre '44, sul mensile Mercurio, scrisse parole indimenticabili sul fascismo: "È un mostro col capo d'idra. Non crediate d'averlo ucciso". (24 novembre 2010)
Nella villa di Arcore e negli uffici di Edilnord che Berlusconi - futuro Premier - aveva a Milano, entravano e uscivano con massima disinvoltura Stefano Bontate, Gaetano Cinà, Mimmo Teresi, Vittorio Mangano, mafiosi di primo piano: per quasi vent'anni, almeno fino al '92. Dell'Utri, suo braccio destro, era non solo il garante di tutti costoro ma il luogotenente-ambasciatore. Fu nell'incontro a Milano della primavera '74 che venne deciso di mandare ad Arcore Mangano: che dovremmo smettere di chiamare stalliere perché fu il custode mafioso e il ricattatore del Cavaliere. Quest'ultimo lo sapeva, se è vero che fu Bontate in persona, nel vertice milanese, a promettergli il distaccamento a Arcore d'un "uomo di garanzia".
La sentenza
attesta che Berlusconi era legato a quel mondo parallelo, oscuro: ogni anno versava 50 milioni di lire, fatti pervenire a Bontate (nell'87 Riina chiederà il doppio). A questo pizzo s'aggiunga il "regalo" a Riina (5 milioni) per "aggiustare la situazione delle antenne televisive" in Sicilia. Fu Dell'Utri, ancor oggi senatore di cui nessuno chiede l'allontanamento, a consigliare nel 1993 la discesa in politica. Fedele Confalonieri, presidente Mediaset, dirà che altrimenti il Cavaliere sarebbe "finito sotto i ponti o in galera per mafia" (la Repubblica, 25-6-2000). Il 10 febbraio 2010 Dell'Utri, in un'intervista a Beatrice Borromeo sul Fatto, spiega: "A me della politica non frega niente, io mi sono candidato per non finire in galera".
C'è dell'osceno in questo mondo parallelo, che non è nuovo ma oggi non è più relegato fuori scena, per prudenza o gusto. Oggi, il bacio lo si dà in Parlamento, come Alessandra Mussolini che bacia Cosentino indagato per camorra. Dacci oggi il nostro osceno quotidiano. Questo il paternoster che regna - nella Mafia le preghiere contano, spiega il teologo Augusto Cavadi - presso il Premier: vittima di ricatti, uomo non libero, incapace di liberarsi di personaggi loschi come Dell'Utri o il coordinatore Pdl in Campania Cosentino. Ai tempi di Andreotti non ci sarebbe stato un autorevole commentatore che afferma, come Giuliano Ferrara nel 2002 su Micromega: "Il punto fondamentale non è che tu devi essere capace di ricattare, è che tu devi essere ricattabile (...) Per fare politica devi stare dentro un sistema che ti accetta perché sei disponibile a fare fronte, a essere compartecipe di un meccanismo comunitario e associativo attraverso cui si selezionano le classi dirigenti. (...) Il giudice che decide il livello e la soglia di tollerabilità di questi comportamenti è il corpo elettorale".
Il corpo elettorale non ha autonoma dignità, ma è sprezzato nel momento stesso in cui lo si esalta: è usato, umiliato, tramutato in palo di politici infettati dalla mafia. Gli stranieri che si stupiscono degli italiani più che di Berlusconi trascurano spesso l'influenza che tutto ciò ha avuto sui cervelli: quanto pensiero prigioniero, ma anche quanta insicurezza e vergogna di fondo possa nascere da questo sprezzo metodico, esibito.Ai tempi di Andreotti non conoscemmo la perversione odierna: vali se ti pagano. La mazzetta ti dà valore, potere, prestigio. Non sei nessuno se non ti ricattano. L'1 agosto 1998, Montanelli scrisse sul Corriere una lettera a Franco Modigliani, premio Nobel dell'economia: "Dopo tanti secoli che la pratichiamo, sotto il magistero di nostra Santa Madre Chiesa, ineguagliabile maestra d'indulgenze, perdoni e condoni, noi italiani siamo riusciti a corrompere anche la corruzione e a stabilire con essa il rapporto di pacifica convivenza che alcuni popoli africani hanno stabilito con la sifilide, ormai diventata nel loro sangue un'afflizioncella di ordine genetico senza più gravi controindicazioni".
In realtà le controindicazioni ci sono: gli italiani intuiscono i danni non solo etici dell'illegalità. Da settimane Berlusconi agita lo spettro di una guerra civile se lo spodestano: guerra che nella crisi attuale - fa capire - potrebbe degenerare in collasso greco. È l'atomica che il Cavaliere brandisce contro Napolitano, Fini, Casini, il Pd, i media. I mercati diventano arma: "Se non vi adeguate ve li scateno contro". Sono lo spauracchio che ieri fu il terrorismo: un dispositivo della politica della paura. Poco importa se l'ordigno infine non funzionerà: l'atomica dissuade intimidendo, non agendo. Il mistero è la condiscendenza degli italiani, i consensi ancora dati a Berlusconi. Ma è anche un mistero la loro ansia di cambiare, di esser diversi. Il loro giudizio è netto: affondano il Pdl come il Pd. Premiano i piccoli ribelli: Italia dei Valori, Futuro e Libertà. Se interrogati, applaudirebbero probabilmente le due donne - Veronica Lario, Mara Carfagna - che hanno denunciato il "ciarpame senza pudore" del Cavaliere, e le "guerre per bande" orchestrate da Cosentino. Se interrogati, immagino approverebbero Saviano, indifferenti all'astio che suscita per il solo fatto che impersona un'Italia che ama molto le persone oneste, l'antimafia di Don Ciotti, il parlar vero.
Questa normalizzazione dell'osceno è la vita che viviamo, nella quale politica e occulto sono separati in casa e non è chiaro, quale sia il mondo reale e quale l'apparente. Chi ha visto Essi Vivono, il film di John Carpenter, può immaginare tale condizione anfibia. La doppia vita italiana non nasce con Berlusconi, e uscirne vuol dire ammettere che destra e sinistra hanno più volte accettato patti mafiosi. C'è molto da chiarire, a distanza di anni, su quel che avvenne dopo l'assassinio di Falcone e Borsellino. In particolare, sulla decisione che il ministro della giustizia Conso prese nel novembre '92 - condividendo le opinioni del ministro dell'Interno Mancino e del capo della polizia Parisi - di abolire il carcere duro (41bis) a 140 mafiosi, con la scusa che esisteva nella Mafia una corrente anti-stragi favorevole a trattative. Congetturare è azzardato, ma si può supporre che da allora viviamo all'ombra di un patto.
Il patto non è obbligatoriamente formale. L'universo parallelo ha le sue opache prudenze, ma esiste e contamina la sinistra. In Sicilia, anch'essa sembra costretta a muoversi nel perimetro dell'osceno. Osceno è l'accordo con la giunta Lombardo, presidente della Regione, indagato per "concorso esterno in associazione mafiosa". Osceno e tragico, perché avviene nella ricerca di un voto di sfiducia a Berlusconi.
Non si può non avere un linguaggio inequivocabile, sulla legalità. Non ci si può comportare impunemente come quando gli americani s'intesero con la Mafia per liberare l'Italia. L'accordo, scrive il magistrato Ingroia, fu liberatore ma ebbe l'effetto di rendere "antifascisti i mafiosi, assicurando loro un duraturo potere d'influenza". Non è chiaro quel che occorra fare, ma qualcosa bisogna dire, promettere. Non qualcosa "di sinistra", ma di ben più essenziale: l'era in cui la Mafia infiltrava la politica finirà, la legalità sarà la nuova cultura italiana.Fino a che non dirà questo il Pd è votato a fallire. Proclamerà di essere riformista, con "vocazione maggioritaria", ma l'essenza la mancherà. Non sarà il parlare onesto che i cittadini in fondo amano. Si tratta di salvare non l'anima, ma l'Italia da un lungo torbido. Sarebbe la sua seconda liberazione, dopo il '45 e la Costituzione. Sennò avrà avuto ragione Herbert Matthew, il giornalista Usa che nel novembre '44, sul mensile Mercurio, scrisse parole indimenticabili sul fascismo: "È un mostro col capo d'idra. Non crediate d'averlo ucciso". (24 novembre 2010)
martedì 23 novembre 2010
Se Tremonti si prende i soldi degli ultimi
pubblicata da Nella Toscano il giorno martedì 23 novembre 2010 alle ore 19.51
Dopo averci raccontato per anni che loro – al contrario dei perfidi bolscevichi dell’Unione – non avrebbero messo le mani nelle tasche degli italiani, il ministro Giulio Tremonti e i compassionevoli difensori delle libertà economiche, hanno fatto di meglio. Hanno tagliato direttamente la tasca con il rasoio, per fregarci i soldi del 5 per mille dalla dichiarazione dei redditi. O meglio: si sono presi, in un colpo solo, il 75 per cento del gruzzoletto che ogni anno i contribuenti, con una croce, dedicano alle associazioni non governative e di utilità sociale. Ammontare della rapina legalizzata? 300 milioni di euro. Dai 400 milioni in bilancio lo scorso anno, ai miseri 100 di oggi. Al confronto di questo simpatico ladrocinio, il prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti di Amato (1992) è un’opera pia. Se non altro perché quella era una tassa odiosa e indifferenziata praticata a tutti i correntisti con la scusa della salvezza del bilancio. Questa, invece, è una sottrazione di fondi mirata, che toglie risorse a chi in Italia si occupa degli ultimi, della sanità, degli anziani, dei disabili, degli ospedali, della ricerca, del volontariato. Il colpo viene messo a segno, non per rimettere in piedi dei conti virtuosi – come vorrebbe farci credere Tremonti con la scusa della crisi – ma piuttosto per raddoppiare (avete letto bene: da 130 a 245 milioni di euro) i soldi di cui il governo fa gentile omaggio alla scuole private. Oppure per concedere 25 milioni di euro alle università non statali. Gli ultimi 30 milioni del capitoletto di spesa che si intitola – non è uno scherzo – “Fondo esigenze indifferibili ed urgenti” – sono per la stampa di partito.
C’è qualcosa di violento e odioso in questo. Se non altro perché anche se il 5 per mille quest’anno fruttasse un miliardo, la cifra resterebbe comunque 100 milioni. E poi perché, che Tremonti ci chieda di indicare chi aiutare con una parte delle tasse che gli paghiamo (negli anni in cui la pressione fiscale aumenta!) e poi faccia carta straccia delle nostre volontà (ma passando all’incasso) ha il sapore della beffa. Domenica mi ha chiamato una madre, in lacrime. Sua figlia è afflitta da una malattia rarissima, la fibrodisplasia ossificante. Morbo terribile, che rende il corpo, giorno dopo giorno, di pietra. Fino a ieri aveva una speranza per la sua bambina: la ricerca finanziata dal 5 per mille. Oggi nemmeno quella. La signora Simona chiede: “Perché ci fanno questo?”. Le rispondo la verità: perché, secondo loro, non portate voti né consenso.
Il Fatto Quotidiano, 23 novembre 2010
domenica 21 novembre 2010
Aiuto Voglio Scendere!!!!
pubblicata da Nella Toscano il giorno domenica 21 novembre 2010 alle ore 21.59
Davvero triste questa stagione che ci troviamo a dover vivere, non ci sono certezze, e tanto meno si riesce ad intravvedere una via che ci porti fuori dal tunnel in cui siamo precipitati non solo per colpe altrui, ma anche nostre, ahimè!
La cosa più drammatica è che questa situazione non è limitata al contesto politico nazionale, ma si riflette anche in tutte le realtà locali.
Palermo poi sembra davvero immersa in una situazione senza via d'uscita!
Se si guarda alla situazione politica regionale poi è davvero difficile capire quello che sta succedendo in Sicilia. Il Pd alla Regione è al governo con Lombardo e nonostante sia indagato per reati gravissimi, come lo è il concorso esterno per associazione mafiosa, il direttivo regionale di questo partito, di cui fa parte anche il Sen. Lumia componente della commissione antimafia(sic!), gli ha rinnovato la fiducia e quindi continuerà a governare con Lombardo, mentre gli ex alleati di Lombardo indicono manifestazioni per chiederne le dimissioni.
Difficile crederci e raccapezzarsi, ma questi sono i fatti!
Naturalmente al Comune di Palermo succede tutto il contrario, il PD è all'opposizione e chiede le dimissioni di Cammarata e c'è chi come Faraone vuole fare subito le primarie, perchè sta morendo dalla voglia di andare a fare il sindaco di Palermo, dopo appena due anni di permanenza all'Assemblea Regionale.
Si perchè ormai si usa che quando si conquista una poltrona, piuttosto che svolgere il proprio ruolo si comincia a pensare come organizzarsi per conquistarsi la poltrona successiva.
Come si vede non è solo b. che è sempre in campagna elettorale, ma la sindrome ha coinvolto anche quelli di sinistra (si fa per dire).
Chi non siede ne al Comune, ne all'assemblea regionale freme per entrarci e allora si unisce al coro di chi vuole subito le primarie e per farle si sperimentano alleanze inedite, che hanno in comune la pretesa di accreditarsi come movimenti civici nuovi di zecca, se non che di nuovo hanno ben poco.
Infatti, a spulciare le biografie di questi nuovi movimentisti ci sono tutti gli ex, che per forza di cose sono in panchina e fremono per entrare e poi ci sono gli aspiranti nuovi consiglieri e sindaci che scalpitano per entrare e via tutti insieme a chiedere le primarie, tutti ben attenti a non mescolarsi con chi non fa parte dei vari gruppi e gruppetti assolutamente impenetrabili, non sia mai che ci si possa contaminare.
Se uno però gli chiede uno straccio di programma sulla base del quale noi comuni cittadini dovremmo sobbarcarci l'onere di qualche euro per andarli a votare alle primarie, ti rispondono che il programma c'è, ma non si vede, quando va bene, oppure che il programma non è il momento di pensarci, che si facessero subito le primarie poi ci penserà chi risulterà il vincitore.
Se questo è il tanto agognato cambiamento, AIUTOOOOOOOOOOOOOOO
VOGLIO SCENDEREEEEEEEEEEEE, ma 'ndo vado????????
La cosa più drammatica è che questa situazione non è limitata al contesto politico nazionale, ma si riflette anche in tutte le realtà locali.
Palermo poi sembra davvero immersa in una situazione senza via d'uscita!
Se si guarda alla situazione politica regionale poi è davvero difficile capire quello che sta succedendo in Sicilia. Il Pd alla Regione è al governo con Lombardo e nonostante sia indagato per reati gravissimi, come lo è il concorso esterno per associazione mafiosa, il direttivo regionale di questo partito, di cui fa parte anche il Sen. Lumia componente della commissione antimafia(sic!), gli ha rinnovato la fiducia e quindi continuerà a governare con Lombardo, mentre gli ex alleati di Lombardo indicono manifestazioni per chiederne le dimissioni.
Difficile crederci e raccapezzarsi, ma questi sono i fatti!
Naturalmente al Comune di Palermo succede tutto il contrario, il PD è all'opposizione e chiede le dimissioni di Cammarata e c'è chi come Faraone vuole fare subito le primarie, perchè sta morendo dalla voglia di andare a fare il sindaco di Palermo, dopo appena due anni di permanenza all'Assemblea Regionale.
Si perchè ormai si usa che quando si conquista una poltrona, piuttosto che svolgere il proprio ruolo si comincia a pensare come organizzarsi per conquistarsi la poltrona successiva.
Come si vede non è solo b. che è sempre in campagna elettorale, ma la sindrome ha coinvolto anche quelli di sinistra (si fa per dire).
Chi non siede ne al Comune, ne all'assemblea regionale freme per entrarci e allora si unisce al coro di chi vuole subito le primarie e per farle si sperimentano alleanze inedite, che hanno in comune la pretesa di accreditarsi come movimenti civici nuovi di zecca, se non che di nuovo hanno ben poco.
Infatti, a spulciare le biografie di questi nuovi movimentisti ci sono tutti gli ex, che per forza di cose sono in panchina e fremono per entrare e poi ci sono gli aspiranti nuovi consiglieri e sindaci che scalpitano per entrare e via tutti insieme a chiedere le primarie, tutti ben attenti a non mescolarsi con chi non fa parte dei vari gruppi e gruppetti assolutamente impenetrabili, non sia mai che ci si possa contaminare.
Se uno però gli chiede uno straccio di programma sulla base del quale noi comuni cittadini dovremmo sobbarcarci l'onere di qualche euro per andarli a votare alle primarie, ti rispondono che il programma c'è, ma non si vede, quando va bene, oppure che il programma non è il momento di pensarci, che si facessero subito le primarie poi ci penserà chi risulterà il vincitore.
Se questo è il tanto agognato cambiamento, AIUTOOOOOOOOOOOOOOO
VOGLIO SCENDEREEEEEEEEEEEE, ma 'ndo vado????????
Apocaliss mo’, I quattro cavalieri dell’Apocalisse di questa settimana
pubblicata da Nella Toscano il giorno domenica 21 novembre 2010 alle ore 11.21
Nota creata.
Prandelli e gli oriundi risolveranno i problemi della Nazionale? Dopo la vittoria di Pisapia e la "figura dei fregnoni" del Pd, che strategia adotteranno i democrats? E poi: le esternazioni del ministro dell'Interno e la caldaia di piazza della Loggia
"La Tigre della Padania", di Portos
Cesare Prandelli Con le ultime convocazioni della Nazionale di calcio, il nostro C.T. Cesare Prandelli ha lanciato un’idea risolutiva per i problemi del Paese: utilizzare gli oriundi, cioè dei finti italiani fatti in Sudamerica, come la Fiat Palio. Saputa la cosa, i Cinesi si sono subito dichiarati disponibili a realizzare dei giocatori taroccati per la nostra Nazionale, quasi identici a quelli autentici ma a metà prezzo rispetto a quelli realizzati in Argentina. Per distinguerli dagli originali, garantiscono a Pechino, il solo modo è osservare con estrema attenzione le cuciture. Qualora si decidesse di allargare ad altri settori la naturalizzazione di personaggi d’origine italiana, i benefici potrebbero essere immediati ed evidenti: in questo momento, è vero, non abbiamo centrocampisti come Ledesma, ma non abbiamo neanche politici come Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York, o Sonia Gandhi, né attori come De Niro o musicisti come Frank Zappa, tutti con antenati italiani. L’Oriundo può essere davvero la grande soluzione per i nostri problemi. Oltre che dall’Argentina e dal Brasile, la nostra Federazione spera di poter convocare, col tempo, anche dei calciatori d’origine italiana nati in Padania: la diplomazia sportiva è già al lavoro.
Giuliano Pisapia Il nostro Centrosinistra riesce a perdere anche contro se stesso: ecco il vero senso della democrazia. Alle recenti primarie per scegliere il candidato alle comunali di Milano, quello che dovrà affrontare la cotonatissima Letizia Moratti, un raccapricciante film horror è stato proiettato di fronte ai vertici del Partito di Bersani: il pozzo e il Vendola. Invece del democrat Boeri, infatti, gli elettori hanno scelto l’ex deputato di Rifondazione Giuliano Pisapia, proposto dall’emergente Nichi. Con questo straordinario risultato, il Pd ha ottenuto un duplice scopo: presentare un candidato non condivisibile dall’Udc di Casini e fare quella che Karl Marx, nel fondamentale saggio Lavoro salariato e Capitale, definisce “la figura dei fregnoni”. Peccato che il Partito d’Azione e il Movimento civico per la rivalutazione della ceramica non abbiano presentato i loro uomini di punta in queste primarie, altrimenti lo scontro sarebbe stato ancora più avvincente. A questo punto, una sola strategia rimane da tentare ai brillanti dirigenti del nostro principale Partito d’opposizione: invitare con tutte le loro forze gli elettori a non votare per il candidato che presentano. Hai visto mai dovesse funzionare…
Roberto Maroni Pur essendo Ministro dell’Interno, esterna continuamente. L’ultima è contro lo scrittore Roberto Saviano, che in tv ha parlato d’infiltrazioni malavitose nella Lega, fenomeno peraltro confermato dall’Antimafia. “Impossibile che uomini della camorra operino nel Nord Italia – ha chiarito Maroni- dove, grazie all’azione del governo ed in particolare della Lega, è praticamente impossibile trovare i friarielli e la torta caprese”. Parole dure e inconfutabili, la risposta che i Lumbard si aspettavano dall’erede di Bossi. Maroni ha chiesto in maniera vibrante di poter intervenire nel programma di Fabio Fazio, per replicare alle calunnie e, con l’occasione, per interpretare almeno un paio di Canti del Po del Duo di Piadena. Qualora Rai 3 decida di non dare soddisfazione al leader leghista, questi s’è detto pronto a rivolgersi alle massime cariche del nostro Paese: il Presidente della Camera, il Presidente del Senato, il Presidente della Repubblica, su su fino a Bernardo Provenzano. Il Ministro Maroni ha ragione: il vero, grande pericolo che l’Italia corre non è che la criminalità organizzata s’infiltri nello Stato, ma piuttosto che lo Stato s’insinui nella Mafia. E’ l’unica Istituzione che ancora funziona, qui da noi, cerchiamo di salvaguardarla.
Corte d’Assise di Brescia Ormai è ufficiale: in piazza della Loggia a Brescia, 36 anni fa, esplose una caldaia. Del resto, all’epoca non c’erano ancora i controlli obbligatori che ci sono oggi. I giudici della Corte d’Assise hanno assolto tutti e cinque gli imputati, un vivace gruppetto di neofascisti: l’esito del processo è stato determinato dall’insufficienza di prove e, nella fase finale, dall’insufficienza di vergogna. Oltre alla strage di Brescia (8 morti e 102 feriti), anche quelle di Piazza Fontana, della Questura di Milano, dell’Italicus, della stazione di Bologna e del treno rapido 904 rimangono senza colpevoli: è giusto, perché in Italia, in fin dei conti, le stragi le facciamo, ma senza cattiveria. Molti cittadini, inspiegabilmente, si sono scandalizzati per l’applicazione, anche nel procedimento giudiziario in questione, del segreto di Stato, che vedono come qualcosa di losco e di misterioso, mentre invece si tratta di una procedura del tutto lineare, onesta e chiara: segreto di Stato, per quanto riguarda le tante stragi irrisolte, significa semplicemente mantenere a tutti i costi il segreto su chi è stato. Smettiamola con la dietrologia, a meno che non si tratti di commentare al bar il culo della cassiera.
"La Tigre della Padania", di Portos
Cesare Prandelli Con le ultime convocazioni della Nazionale di calcio, il nostro C.T. Cesare Prandelli ha lanciato un’idea risolutiva per i problemi del Paese: utilizzare gli oriundi, cioè dei finti italiani fatti in Sudamerica, come la Fiat Palio. Saputa la cosa, i Cinesi si sono subito dichiarati disponibili a realizzare dei giocatori taroccati per la nostra Nazionale, quasi identici a quelli autentici ma a metà prezzo rispetto a quelli realizzati in Argentina. Per distinguerli dagli originali, garantiscono a Pechino, il solo modo è osservare con estrema attenzione le cuciture. Qualora si decidesse di allargare ad altri settori la naturalizzazione di personaggi d’origine italiana, i benefici potrebbero essere immediati ed evidenti: in questo momento, è vero, non abbiamo centrocampisti come Ledesma, ma non abbiamo neanche politici come Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York, o Sonia Gandhi, né attori come De Niro o musicisti come Frank Zappa, tutti con antenati italiani. L’Oriundo può essere davvero la grande soluzione per i nostri problemi. Oltre che dall’Argentina e dal Brasile, la nostra Federazione spera di poter convocare, col tempo, anche dei calciatori d’origine italiana nati in Padania: la diplomazia sportiva è già al lavoro.
Giuliano Pisapia Il nostro Centrosinistra riesce a perdere anche contro se stesso: ecco il vero senso della democrazia. Alle recenti primarie per scegliere il candidato alle comunali di Milano, quello che dovrà affrontare la cotonatissima Letizia Moratti, un raccapricciante film horror è stato proiettato di fronte ai vertici del Partito di Bersani: il pozzo e il Vendola. Invece del democrat Boeri, infatti, gli elettori hanno scelto l’ex deputato di Rifondazione Giuliano Pisapia, proposto dall’emergente Nichi. Con questo straordinario risultato, il Pd ha ottenuto un duplice scopo: presentare un candidato non condivisibile dall’Udc di Casini e fare quella che Karl Marx, nel fondamentale saggio Lavoro salariato e Capitale, definisce “la figura dei fregnoni”. Peccato che il Partito d’Azione e il Movimento civico per la rivalutazione della ceramica non abbiano presentato i loro uomini di punta in queste primarie, altrimenti lo scontro sarebbe stato ancora più avvincente. A questo punto, una sola strategia rimane da tentare ai brillanti dirigenti del nostro principale Partito d’opposizione: invitare con tutte le loro forze gli elettori a non votare per il candidato che presentano. Hai visto mai dovesse funzionare…
Roberto Maroni Pur essendo Ministro dell’Interno, esterna continuamente. L’ultima è contro lo scrittore Roberto Saviano, che in tv ha parlato d’infiltrazioni malavitose nella Lega, fenomeno peraltro confermato dall’Antimafia. “Impossibile che uomini della camorra operino nel Nord Italia – ha chiarito Maroni- dove, grazie all’azione del governo ed in particolare della Lega, è praticamente impossibile trovare i friarielli e la torta caprese”. Parole dure e inconfutabili, la risposta che i Lumbard si aspettavano dall’erede di Bossi. Maroni ha chiesto in maniera vibrante di poter intervenire nel programma di Fabio Fazio, per replicare alle calunnie e, con l’occasione, per interpretare almeno un paio di Canti del Po del Duo di Piadena. Qualora Rai 3 decida di non dare soddisfazione al leader leghista, questi s’è detto pronto a rivolgersi alle massime cariche del nostro Paese: il Presidente della Camera, il Presidente del Senato, il Presidente della Repubblica, su su fino a Bernardo Provenzano. Il Ministro Maroni ha ragione: il vero, grande pericolo che l’Italia corre non è che la criminalità organizzata s’infiltri nello Stato, ma piuttosto che lo Stato s’insinui nella Mafia. E’ l’unica Istituzione che ancora funziona, qui da noi, cerchiamo di salvaguardarla.
Corte d’Assise di Brescia Ormai è ufficiale: in piazza della Loggia a Brescia, 36 anni fa, esplose una caldaia. Del resto, all’epoca non c’erano ancora i controlli obbligatori che ci sono oggi. I giudici della Corte d’Assise hanno assolto tutti e cinque gli imputati, un vivace gruppetto di neofascisti: l’esito del processo è stato determinato dall’insufficienza di prove e, nella fase finale, dall’insufficienza di vergogna. Oltre alla strage di Brescia (8 morti e 102 feriti), anche quelle di Piazza Fontana, della Questura di Milano, dell’Italicus, della stazione di Bologna e del treno rapido 904 rimangono senza colpevoli: è giusto, perché in Italia, in fin dei conti, le stragi le facciamo, ma senza cattiveria. Molti cittadini, inspiegabilmente, si sono scandalizzati per l’applicazione, anche nel procedimento giudiziario in questione, del segreto di Stato, che vedono come qualcosa di losco e di misterioso, mentre invece si tratta di una procedura del tutto lineare, onesta e chiara: segreto di Stato, per quanto riguarda le tante stragi irrisolte, significa semplicemente mantenere a tutti i costi il segreto su chi è stato. Smettiamola con la dietrologia, a meno che non si tratti di commentare al bar il culo della cassiera.
mercoledì 17 novembre 2010
L'italia del sottosuolo
Sono settimane ormai che l'annuncio è nell'aria: il governo Berlusconi sta finendo, anzi è già finito. Il suo regno, la sua epoca, sono morti. È sempre lì sul palcoscenico, come nelle opere liriche dove le regine ci mettono un sacco di tempo a fare quel che cantano, ma il sipario dovrà pur cadere. Anche i giornali stranieri assistono al funerale, nei modi con cui da sempre osservano l'Italia: il feeling, scrive l'Economist, la sensazione, è che la commedia sia finita. Burlesquoni è un brutto scherzo di ieri.
In realtà c'è poco da ridere, e il ventennio che abbiamo alle spalle è infinitamente più serio. Non siamo all'epilogo dei Pagliacci, e non basta un feeling per spodestare chi è sul trono non grazie a sentimenti ma a una macchina di guerra ben oleata. Per uscire dalla storia lunga che abbiamo vissuto - non 16 anni, ma un quarto di secolo che ha visto poteri nati antipolitici assumere poi il comando - bisogna, di questo potere, averne capito la forza, la stoffa, gli ingredienti. Non è un clown che si congeda, né l'antropologia dell'uomo solitario aiuta a capire. I misteri di un'opera sono nell'opera, non nell'autore, Proust lo sapeva: "Un libro è il prodotto di un io diverso da quello che manifestiamo nelle nostre abitudini, nella società, nei nostri vizi". Sicché è l'opera che va guardata in faccia, per liberarsene senza rompersi ancora una volta le ossa.Chi vagheggia governi tecnici o elezioni subito, a sinistra, parla di regime ma ne sottovaluta le risorse, la penetrazione dei cervelli.
Un regime fondato sull'antipolitica - o meglio sulla sostituzione della politica con poteri estranei o ostili alla politica, anche malavitosi - può esser superato solo da chi è stato detronizzato. Nessun tecnico potrà resuscitare le istituzioni offese. Può farlo solo la politica, e solo se essa si dà del tempo prima del voto. Capire il regime vuol dire liberare quello che esso ha calpestato, e quindi non solo mutare la legge elettorale. Non è quest'ultima a rendere anomala l'Italia: se così fosse, basterebbe un gesto breve, secco. Quel che l'ha resa anomala è l'ascesa irresistibile di un uomo che fa politica come magnate mediatico. Berlusconi ha conquistato e retto il potere non malgrado il conflitto d'interessi, ma grazie ad esso. Il conflitto non è sabbia ma olio del suo ingranaggio, droga del suo carisma. La porcata più vera, anche se tabuizzata, è qui. La privatizzazione della politica e dei suoi simboli (non si governa più a Palazzo Chigi ma nel privato di Palazzo Grazioli) è divenuta la caratteristica dell'Italia.
Proviamo allora a esaminare i passati decenni, oltre l'avventura iniziata nel '94. L'avventura è il risultato di un'opera vasta, finanziata torbidamente e cominciata con l'idea di una nuova pòlis, un'altra civiltà. Un progetto - è Confalonieri a dirlo - che "ha contribuito a cambiare il clima grigio e penitenziale degli anni '70, ed è stato un elemento di liberazione. Ha portato più America e più consumi, più allegria e meno bigottismo". Più America, consumi, allegria: la civiltà-modello per l'Italia divenne Milano2, una gated community abitata da consumatori ansiosi di proteggersi dal brutto mondo esterno, di sentirsi più liberi che cittadini. E al suo centro una televisione a circuito chiuso, che intrattenendo distrae, occulta, manipola: nel '74 si chiama Milano-2, diverrà l'impero Mediaset. Quando andrà al potere, il Cavaliere controllerà tutte le reti: le personali e le pubbliche. Tutto questo non è senza conseguenze: cadendo, il Premier non lascia dietro di sé una società sbriciolata. Il paese in briciole è stato da principio sua forza, sua linfa. Non si tratta di profittare di subitanei sbriciolamenti, ma di far capire agli italiani che su questo sfaldamento Berlusconi ha edificato la sua politica. Che su questo ha costruito: sul maciullamento delle menti, non sull'individualismo. Su un'Italia che somiglia all'Uomo del sottosuolo di Dostojevski: un'Italia che rifiuta di vedere la realtà; che "segue i propri capricci prendendoli per interessi"; che giudica intollerabile che 2+2 faccia 4. Un'Italia che "vive un freddo e disperato stato di mezza disperazione e mezza fede, contenta di rintanarsi nel sottosuolo". Un'Italia arrabbiata contro chiunque vorrebbe illuminarla (la stampa, o Marchionne, o i magistrati) così come l'America arrabbiata del Tea Party il cui ossessivo bersaglio è la stampa indipendente.
Correggendo solo la legge elettorale si banalizza la patologia. Altre misure s'impongono, che permettano agli italiani di comprendere quanto sono stati intossicati. Esse riguardano il controllo di Berlusconi sull'informazione e il conflitto d'interessi. La profonda diffidenza verso una società bene informata (per Kant è l'essenza dei Lumi) caratterizza il suo regime. "Non leggete i giornali!" - "Non guardate certi programmi Tv!": ripete. Gli italiani devono restare nel sottosuolo, eternamente incattiviti. Altro che allegria. È sulla loro parte oscura, triste, che scommette. Qualsiasi governo che non si proponga di portar luce, di riequilibrare il mercato dell'informazione, fallirà.
Per questo è importante un governo di alleanza costituzionale che raggiusti le istituzioni prima del voto, e un ruolo prioritario è riservato non solo a Fini ma alle opposizioni. Fini farà cadere il Premier ma l'intransigenza sul conflitto d'interessi spetta alla sinistra, nonostante gli ostacoli esistenti nel suo stesso seno. Del regime, infatti, il Pd non è incolpevole. Fu lui a consolidarlo con un patto preciso: la conquista di suoi spazi nella Rai, in cambio del potere mediatico del Cavaliere. Tutti hanno rovinato la tv, pur sapendo che il 69,3 per cento degli italiani decide come votare guardandola (dati Censis).
A partire dal momento in cui fu data a Berlusconi l'assicurazione che l'impero non sarebbe stato toccato, si è rinunciato a considerare anomali la sua ascesa, il conflitto d'interessi. E i responsabili sono tanti, a sinistra, cominciando da D'Alema quando assicurò, visitando Mediaset nel '96: "Non ci sarà nessun Day After, avremo la serenità per trovare intese. Mediaset è un patrimonio di tutta l'Italia". La verità l'ha detta Luciano Violante, il giorno che si discusse la legge Frattini sul conflitto d'interessi alla Camera, il 28-2-02: "L'on. Berlusconi sa per certo che gli è stata data la garanzia piena - non adesso, nel '94 quando ci fu il cambio di governo - che non sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l'on. Letta... Voi ci avete accusato nonostante non avessimo fatto la legge sul conflitto d'interessi e dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni... Durante i governi di centrosinistra il fatturato Mediaset è aumentato di 25 volte!". Il programma dell'Ulivo promise di eliminare conflitto e duopolio tv, nel '96. Non successe nulla. Nel luglio '96, la legge Maccanico ignorò la sentenza della Consulta (Fininvest deve scendere da tre a due tv). Lo stesso dicasi per l'indipendenza Rai. È il centrosinistra che blocca, nell'ultimo governo Prodi, i piani che la sganciano dal potere partitico. A luglio Bersani ha presentato un disegno di legge che chiede alla politica di "fare un passo indietro". Non è detto che nel Pd tutti lo sostengano. Una BBC italiana è invisa a tanti.
Se davvero si vuol uscire dall'anomalia, è all'idea di Sylos Labini che urge tornare: all'ineleggibilità di chi è titolare di una concessione pubblica, secondo la legge del 30 marzo '57. D'altronde non fu Sylos a dire che l'ineleggibilità è la sola soluzione. Il primo fu Confalonieri, il 25-6-2000 in un'intervista a Curzio Maltese sulla Repubblica. Sostiene Confalonieri che l'Italia, non essendo l'Inghilterra della Magna Charta, non può permettersi di applicare le proprie leggi. Forse perché il paese è sprezzato molto. Forse perché c'è chi lo ritiene incapace di uscire dal sottosuolo, dopo una generazione.
Barbara Spinelli
domenica 14 novembre 2010
GRAMSCI: TEMA DI QUINTA ELEMENTARE DI ANTONIO GRAMSCI.
pubblicata da Biblioteca Gramsciana il giorno domenica 14 novembre 2010 alle ore 11.18
Il tema era questo:"Se un tuo compagno benestante e molto intelligente ti avesse espresso il proposito di abbandonare gli studi, che cosa gli risponderesti?"
Ghilarza, addì 15 luglio 1903 Carissimo amico,
Poco fa ricevetti la tua carissima lettera, e molto mi rallegra il sapere che tu stai bene di salute. Un punto solo mi fa stupire di te; dici che non ripren derai più gli studi, perché ti sono venuti a noia. Come, tu che sei tanto intelli gente, che, grazie a Dio, non ti manca il necessario, tu vuoi abbandonare gli studi? Dici a me di far lo stesso, perché è molto meglio scorrazzare per i campi, andare ai balli e ai pubblici ritrovi, anziché rinchiudersi per quattro ore al giorno in una camera, col maestro che ci predica sempre di studiare perché se no reste remo zucconi. Ma io, caro amico, non potrò mai abbandonare gli studi che sono la mia unica speranza di vivere onoratamente quando sarò adulto, perché come sai, la mia famiglia non è ricca di beni di fortuna.
Quanti ragazzi poveri ti invidiano, loro che avrebbero voglia di studiare, ma a cui Dio non ha dato il necessario, non solo per studiare, ma molte volte, neanche per sfamarsi.
Io li vedo dalla mia finestra, con che occhi guardano i ragazzi che passano con la cartella a tracolla, loro che non possono andare che alla scuola serale.
Tu dici che sei ricco, che non avrai bisogno degli studi per camparti, ma bada al proverbio "l'ozio è il padre dei vizi." Chi non studia in gioventù se ne pentirà amaramente nella vecchiaia. Un rovescio di fortuna, una lite perduta, possono portare alla miseria il più ricco degli uomini. Ricordati del signor Fran cesco; egli era figlio di una famiglia abbastanza ricca; passò una gioventù brillan tissima, andava ai teatri, alle bische, e finì per rovinarsi completamente, ed ora fa lo scrivano presso un avvocato che gli da sessanta lire al mese, tanto per vivacchiare.
Questi esempi dovrebbero bastare a farti dissuadere dal tuo proposito. Torna agli studi, caro Giovanni, e vi troverai tutti i beni possibili.
Non pigliarti a male se ti parlo col cuore alla mano, perché ti voglio bene, e uso dire tutto in faccia, e non adularti come molti.
Addio, saluta i tuoi genitori e ricevi un bacio dal
Tuo aff.mo amico Antonio
Il tema era questo:"Se un tuo compagno benestante e molto intelligente ti avesse espresso il proposito di abbandonare gli studi, che cosa gli risponderesti?"
Ghilarza, addì 15 luglio 1903 Carissimo amico,
Poco fa ricevetti la tua carissima lettera, e molto mi rallegra il sapere che tu stai bene di salute. Un punto solo mi fa stupire di te; dici che non ripren derai più gli studi, perché ti sono venuti a noia. Come, tu che sei tanto intelli gente, che, grazie a Dio, non ti manca il necessario, tu vuoi abbandonare gli studi? Dici a me di far lo stesso, perché è molto meglio scorrazzare per i campi, andare ai balli e ai pubblici ritrovi, anziché rinchiudersi per quattro ore al giorno in una camera, col maestro che ci predica sempre di studiare perché se no reste remo zucconi. Ma io, caro amico, non potrò mai abbandonare gli studi che sono la mia unica speranza di vivere onoratamente quando sarò adulto, perché come sai, la mia famiglia non è ricca di beni di fortuna.
Quanti ragazzi poveri ti invidiano, loro che avrebbero voglia di studiare, ma a cui Dio non ha dato il necessario, non solo per studiare, ma molte volte, neanche per sfamarsi.
Io li vedo dalla mia finestra, con che occhi guardano i ragazzi che passano con la cartella a tracolla, loro che non possono andare che alla scuola serale.
Tu dici che sei ricco, che non avrai bisogno degli studi per camparti, ma bada al proverbio "l'ozio è il padre dei vizi." Chi non studia in gioventù se ne pentirà amaramente nella vecchiaia. Un rovescio di fortuna, una lite perduta, possono portare alla miseria il più ricco degli uomini. Ricordati del signor Fran cesco; egli era figlio di una famiglia abbastanza ricca; passò una gioventù brillan tissima, andava ai teatri, alle bische, e finì per rovinarsi completamente, ed ora fa lo scrivano presso un avvocato che gli da sessanta lire al mese, tanto per vivacchiare.
Questi esempi dovrebbero bastare a farti dissuadere dal tuo proposito. Torna agli studi, caro Giovanni, e vi troverai tutti i beni possibili.
Non pigliarti a male se ti parlo col cuore alla mano, perché ti voglio bene, e uso dire tutto in faccia, e non adularti come molti.
Addio, saluta i tuoi genitori e ricevi un bacio dal
Tuo aff.mo amico Antonio
Iscriviti a:
Post (Atom)