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domenica 25 dicembre 2011

Addio, partigiano Giorgio

Il ricordo

 di Roberto Saviano

La sua Resistenza è iniziata sulle montagne del Piemonte. Ed è continuata per i 66 anni successivi, con la penna e l'inchiostro al posto del fucile. L'omaggio dello scrittore Roberto Saviano al grande giornalista scomparso
(25 dicembre 2011)
Giorgio Bocca Giorgio BoccaHo capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati... Quelli che parlavano erano due piemontesi e discutevano delle radici profonde del male meridionale, loro lo avevano capito e l'analisi che si scambiavano come un testimone che l'uno affidava all'altro non era disprezzo colonialista verso un popolo schiavo che non aveva la forza di riscattare i suoi diritti. No, il loro era amore per il Sud, da italiani che sapevano di essere parte di quella stessa terra così lontana dai portici delle città sabaude, costruiti per proteggere da un clima europeo che il sole della Sicilia e della Campania non sa immaginare: un amore che andava oltre il senso del dovere o della professione e che per questo si trasformava in denuncia, nella metodica, sistematica analisi di quanto il male fosse profondo nella vita della gente che non sapeva, non voleva, non poteva ribellarsi.

Quel colloquio tra Carlo Alberto Dalla Chiesa e Giorgio Bocca è stato importante per me e per quelli della mia generazione che hanno sempre chiesto di capire. Noi che abbiamo cominciato a fare domande dopo la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per riscoprire così il sacrificio del carabiniere diventato prefetto che aveva rinunciato alle scorte e alle blindate per essere parte della vita di Palermo, l'altra capitale del Sud, e si era imposto di cominciare la sua missione proprio dalle scuole, dal consegnare ai giovani meridionali la speranza in un futuro di legalità.

Noi volevamo capire perché senza capire non si può cambiare; capire anche a costo di specchiarsi nell'orrore di una realtà che non poteva più restare nascosta dietro slogan logori e paesaggi da soap: guardarsi in faccia, scoprire il proprio volto a costo di rendersi conto di quanto fosse brutto.
Questo è quello che Giorgio Bocca mi ha insegnato, a raccontare senza avere scrupoli né sentirmi un traditore. Lo hanno accusato di essere razzista, antimeridionale, di odiare il Sud. Sono le stesse cose che hanno detto di me, contro di me, "il rinnegato". Ci hanno dato degli "avvoltoi" che si arricchiscono con il dolore altrui. Bocca invece ha fatto dell'essere "antitaliano" una virtù, il metodo per non arrendersi a luoghi comuni. Da lui ho capito che non bisognava mai lasciarsi ferire, né abbassare gli occhi: gli insulti sono spinte ad andare oltre, a entrare più in profondità nei problemi. La mia strada per l'inferno l'ha indicata lui, "Gomorra" si è nutrito della sua lezione: guardare le cose in faccia, respirarle, sbatterci contro fino a farsele entrare dentro e poi scrivere senza reticenze, smussature, compiacenze.
Bocca lo ha sempre fatto, da fuoriclasse, lo continua a fare oggi a novant'anni con la curiosità e la tenacia di un ventenne; sempre pronto a mettersi in discussione come quel ragazzo che nel 1943 salì in montagna superando il suo passato e scegliendo il suo futuro.

E quando lui e Dalla Chiesa parlavano di un popolo da liberare lo facevano con l'anima dei partigiani, di chi aveva combattuto lo stesso nemico in nome dello stesso popolo. Avevano rischiato la vita e ucciso anche per consegnare un domani diverso a chi accettava passivamente la dittatura fascista e la dominazione nazitedesca; sono stati partigiani anche per chi non aveva il coraggio, la forza, la volontà, la possibilità o la capacità di lottare per i propri diritti. La loro vittoria è stata la Costituzione, quel documento vivo che dovrebbe essere il pilastro della nostra democrazia, un monumento di libertà troppo spesso ignorato o bollato di vecchiaia. No, è un testo modernissimo, come ancora oggi lo sono gli interventi di Giorgio Bocca. Essere partigiano prima con il fucile e poi per altri 65 anni con l'inchiostro significa avere la misura della libertà, saperla riconoscere ovunque.
A sud di Roma è difficile ascoltare racconti partigiani. La guerra di liberazione è stata più a nord e anche questo ha contribuito a non risvegliare coscienze già rassegnate. Napoli con le sue quattro giornate è stata una fiammata d'eroismo, l'unica metropoli europea a cacciare i tedeschi, ma la sua levata d'orgoglio è bruciata in meno di una settimana. Sembrava quasi che ad animare i napoletani diventati guerriglieri ci fosse lo stesso sentimento del tassista che Bocca descrive nell'incipit del suo "Napoli siamo Noi": "Lui che è più intelligente del forestiero. La maledetta presunzione individualista per la quale un napoletano è pronto a dannarsi".

giovedì 22 dicembre 2011

AUGURI DAL TRENO!!


  
Cari Amici del Treno, 
Il Treno delle Donne Per La Costituzione continua la sua corsa, molto presto sarà sui binari della rete con un nuovo sito ed un progetto.

Il treno vuole essere un presidio attivo in difesa della Costituzione, elaboratore ed attrattore di idee sulla proposizione e sulla didattica in materia. A tale scopo il Treno aprirà relazioni con università, con il mondo della scuola, con giuristi e con tutte le realtà del corpo sociale coinvolte nella tutela dei diritti dei cittadini.

Vogliamo costruire forme nuove ed efficaci di divulgazione dei principi e dello spirito della Carta Costituzionale, coinvolgendo esponenti dello spettacolo, della letteratura, della magistratura, della scuola, del sindacato, dei giornalismo, del lavoro, ecc.
Vogliamo creare una comunità progettuale ed interdisciplinare raccolta attorno alla nostra Costituzione, attraverso la quale intraprendere iniziative utili in difesa dei cittadini e per una loro più completa e libera informazione.

Ci occuperemo di giustizia e criminalità, anche finanziaria, a livello nazionale ed europeo, oltre che di economia e di lavoro; stiamo elaborando progetti specifici che presto verranno presentati alla cittadinanza per aprire un dibattito su aspetti fondamentali della vita economica e civile del nostro Paese.

Il sito che stiamo realizzando sarà la finestra in rete del Treno, attivo –tra l’altro- con una attenta rassegna stampa che riporti le notizie dalle testate più virtuose e libere, conterrà anche un forum, la rassegna progetti e molto altro ancora.

La nostra associazione, il nostro Treno, corre sulla strada del movimento antagonista e libertario, attivo ed amico di tutte le realtà che in questo momento levano la loro voce in difesa dei cittadini e della loro libertà, anche economica.

Ora dobbiamo creare una squadra amici...
Serve la collaborazione di tutti e c’è davvero spazio per tutti coloro che condividono questo impegno, questa gioiosa macchina di lotta che sta preparandosi alla corsa.

Chiediamo a tutti, ma soprattutto alle donne, di stringersi attorno al nostro simbolo : conosciamoci, diamo tutte, se possibile, un po’ del nostro tempo e della nostra disponibilità;  questa mail è perciò anche un richiesta, una chiamata a raccolta di tutti / tutte noi.

Scrivete alla redazione del Treno, parlateci di voi! soprattutto:

•  diteci di cosa vi occupate, qual’è la vostra professione,

•  in cosa vi sentite ferrate sia come competenza sia come passione (nella scrittura, nel disegno, nell’organizzazione, nell’amministrazione, nell’informatica, nelle relazioni, nell’insegnamento, ecc ecc), il Treno è un organismo versatile ed aperto, interdisciplinare, qualunque professionalità è non solo bene accolta ma può rivelarsi utile e preziosa per l’Associazione.

•  che lingue conoscete ed a che livello (importante), come presto vedrete il Treno ha una vocazione europea, e non solo...

•  quanto tempo libero potete e volete dedicare alle attività del Treno (a seconda della vostra disponibilità e delle vostre competenze il Treno potrebbe chiedervi un po’ del vostro impegno, agendo come una sorta di “banca del tempo interna”).

•  diteci se siete disponibili ad assumere incarichi operativi, lavorando in team, in rete, per lo sviluppo delle progettualità che il treno promuoverà, sosterrà e gestirà e per tutto ciò che concerne le attività, i collegamenti e la gestione della Associazione.
Un grande impegno il nostro, gioioso ma serissimo, che riteniamo necessario per cambiare le sorti del nostro Paese, per recuperare livelli di convivenza civile e di passione civica che si stanno perdendo; obbiettivi che solo con la forza, l’entusiasmo e la volontà delle donne sarà possibile concretizzare.

Questo è l’auspicio, ma anche l’esortazione a tutti noi, per l’anno che verrà; anno che, dalle premesse odierne, si preannuncia difficilissimo per moltissime persone che vedranno dissolversi od appannarsi progetto di vita, ma le cui sorti potranno invece essere mutate, e radicalmente, se agiremo, come vogliamo fare, con unità di intenti, volontà e caparbietà... mirando, come è proprio della natura femminile, al bene comune ed al benessere che nasce da solidarietà e giustizia.

Con questo auspicio il Treno Delle Donne per La Costituzione augura a tutti un sereno Natale ed un 2012 altrettanto sereno!!!!

lunedì 19 dicembre 2011

Un governo tecnico che sta stravolgendo l’Italia!

 
Un governo tecnico, nominato per fare le cose necessarie per risolvere la crisi, si sta rivelando un governo che tutto fa tranne quello che serve per risolvere la crisi. Mi domando  perché riformare il mercato del lavoro quando il problema è il lavoro che non c’è e che si perde continuamente, un’emorragia che pare non arrestarsi, se è vero, come preannunciato da confindustria, che il prossimo anno si perderanno altri 800.000 posti di lavoro.
Eppure il ministro Passera ha dichiarato di avere dato alle imprese con  questa manovra la bellezza di 3 miliardi di euro. Ci si domanda allora com’è possibile che il governo regala tre miliardi per la crescita e si ottiene l’esatto contrario.
E’ evidente che c’è qualcosa che non quadra, qui si ha la sensazione che ci stanno prendendo in giro.
E’ stata fatta una manovra lacrime e sangue, che pagheranno sempre i soliti noti, mentre quel dieci per cento di Italiani che detengono il 50% della ricchezza nazionale  la faranno franca ancora una volta.
Nonostante le promesse non abbiamo visto una sola misura che andasse ad intaccare i grandi patrimoni: non la patrimoniale, non l’asta  per le frequenze televisive, prima annunciata e poi ritirata, non la ratifica del trattato europeo  per andare a tassare i depositi nei paradisi fiscali, che da sola avrebbe consentito di recuperare più dei 30 miliardi che stanno mettendo sul lastrico i meno abbienti. E, come se non bastasse, adesso vogliono pure tagliare otto miliardi, mi pare, nella sanità e vogliono addirittura levare tutte le tutele ai lavoratori cancellando l’art.18!
La riforma del mercato del lavoro va affrontata con molta serietà, pragmatismo e senza ideologia" dice il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia che anche al sindacato chiede "grande spirito di collaborazione e atteggiamento costruttivo", mentre il ministro Fornero dichiara  di essere “ dispiaciuta e sorpresa per un linguaggio che pensavo appartenesse a un passato del quale non possiamo certo andare orgogliosi. La personalizzazione dell'attacco che non fa merito a chi lo ha condotto".
Quindi dobbiamo dedurre che per questo Ministro l’art. 18 appartiene ad un passato di cui vergognarci?
C’è davvero di che essere preoccupati: stanno cancellando tutti i nostri diritti, dalle pensioni, alla sanità. Stanno tartassando i redditi bassi e salvaguardando chi ha di più, stanno favorendo le corporazioni e stanno cercando di regalare le frequenze ai soliti noti.
Mi pare che stiano esagerando  un po !
Un governo tecnico non può davvero arrivare a tanto: è  ora di dire basta!

mercoledì 14 dicembre 2011

Inviate tutti una mail a Passera

Incredibile! Oltre 100.000 email inviate in meno di una settimana! Arriviamo urgentemente a 150.000 prima del nostro sit-in di protesta davanti agli uffici del Ministro questo venerdì: inoltra questo messaggio a tutti --

Cari amici,



E' scandaloso: noi dovremo pagare una manovra lacrime e sangue per salvare l'Italia, e Berlusconi e altri operatori avranno le frequenze della tv digitale gratis! Il Ministro Passera può fermarlo e noi possiamo convincerlo a farlo: manda il messaggio!
E' vergognoso: mentre noi dovremo salvare l'Italia con una manovra lacrime e sangue, Berlusconi e altri operatori si arricchiranno appropriandosi delle frequenze della tv digitale gratis! Sta a noi fermare questo scandalo e costringere il Ministro Passera ad agire ora.

Prima di lasciare il potere Berlusconi ha regalato le frequenze della tv digitale a Mediaset e alla Rai rubando miliardi di euro dalle casse dello stato! La protesta sta montando e in molti chiedono al Ministro Passera di cancellare questa misura oltraggiosa e di avviare subito un'asta pubblica.

Il nuovo Ministro è sensibile all'opinione pubblica - in molti dicono che ha mire da futuro Premier - e noi possiamo fare la differenza: convinciamolo a intervenire ora per difendere il pluralismo dei media e restituire così miliardi di euro alle casse dello stato. Clicca sotto per mandare il tuo messaggio e fai il passaparola:

http://www.avaaz.org/it/no_tv_gratis/?vl

Silvio Berlusconi ci ha lasciato con una delle misure più pericolose: ha garantito a Mediaset, la tv di sua proprietà, il quasi monopolio della tv commerciale, con conseguenze nefaste per il pluralismo dell'informazione per molti anni a venire. Invece di organizzare un'asta competitiva come ci ha chiesto l'Europa, il governo di Berlusconi ha regalato le frequenze della tv digitale attraverso un sistema a punti, chiamato beauty contest, che premia le aziende con più risorse... E Mediaset ha vinto!

Sky ha denunciato questo sistema e se ne è chiamata fuori, chiedendo al nuovo governo d'intervenire. Le tv locali stanno procedendo per vie legali e molti giornali e partiti politici stanno chiedendo al Ministro Passera, responsabile per le comunicazioni, di cancellare questa misura vergognosa e di organizzare un'asta pubblica che garantisca il pluralismo e la competizione includendo così tutte le tv. Le casse dello stato ci guadagnerebbero tantissimo: per la Gran Bretagna si stima un incasso di 24 miliardi di sterline l'anno, e noi potremmo arrivare fino a 16 miliardi di euro!

Il governo sta chiedendo agli italiani enormi sacrifici per superare questa crisi, e un'asta pubblica delle frequenze tv potrebbe risparmiare quelli più in difficoltà: dimostriamo al Ministro Passera che l'opinione pubblica esige equità e pluralismo. Manda ora il tuo messaggio e dillo a tutti!

http://www.avaaz.org/it/no_tv_gratis/?vl

La nostra comunità ha combattuto con tutte le sue forze contro le leggi e i bavagli liberticidi di Berlusconi. Ora che non è più al potere potremmo soffrire la sua eredità per molti anni a venire, con conseguenze pericolose per il mercato della tv e per il pluralismo e il nostro diritto a essere informati. Vinciamo anche questa battaglia e facciamo sì che la nostra democrazia abbia un sistema televisivo giusto ed equilibrato.

Con speranza e determinazione,

Giulia, Luis, Emma, Pascal, Ricken, Alice, Gianluca e tutto il resto del team di Avaaz

Più informazioni

La Repubblica: "Lo scandalo delle frequenze"
http://www.repubblica.it/politica/2011/12/07/news/lo_scandalo_delle_frequenze-26206984/index.html?ref=search

Il Fatto quotidiano: "Frequenze tv: il governo fermi il beauty contest"
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/07/frequenze-governo-fermi-beauty-contest/175792/

La Repubblica: "Tv, quel regalo da 16 miliardi"
http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=17P3I8

Corriere della Sera: "Frequenze tv, lo strappo di Sky: tempi incerti, niente gara"
http://archiviostorico.corriere.it/2011/dicembre/01/Frequenze_strappo_Sky_Tempi_incerti_co_9_111201092.shtml

La Repubblica: "Frequenze tv, monta la protesta trasversale"
http://www.repubblica.it/politica/2011/12/06/news/frequenze_tv_gratuite_monta_la_protesta_trasversale-26195158/

Corriere dell'Informazione: "Possibili risvolti politici: Monti al Quirinale e Passera premier"
http://www.corriereinformazione.it/2011120715816/politica/governo-possibili-risvolti-politici-monti-al-quirinale-e-passera-premier.html

Monti delega le camere al taglio stipendi parlamentari: l'ennesima presa in giro. Qui vi spiego come e perchè


martedì 13 dicembre 2011

Monti delega le camere al taglio stipendi parlamentari: l'ennesima presa in giro. Qui vi spiego come e perchè

Sarà il Parlamento a provvedere al taglio degli stipendi di deputati e senatori adeguandoli alla media europea. E' quanto prevede l'emendamento del governo alla manovra. Il testo del decreto approvato dal Consiglio dei ministri stabiliva che dovesse essere il governo, con un  decreto, ad adeguare gli stipendi dei parlamentari in base ai risultati della commissione Giovannini, al lavoro da settembre per individuare la media dei trattamenti economici dei parlamentari europei. Poiché questa norma ha creato polemiche sul rischio sul rischio che potesse essere intaccata l'autonomia delle camere, l'emendamento del governo ora prevede, senza alcun termine prefissato, che "il Parlamento e il governo, ciascuno nell'ambito delle proprie attribuzioni, assumono immediate iniziative idonee a conseguire gli obiettivi". 
Seppure ci fosse, non taglierebbero nulla e forse addirittura si autoaumenterebbero il proprio stipendio. La norma infatti prevede non il taglio semplice dello stipendio, ma il  livellamento contributivo alla media europea.
Per mettersi al riparo però da eventuali rischi di tagli ai privilegi parlamentari, l'apposita commissione governativa costituita ad hoc con il semplice scopo di fare una media tra gli stipendi europei (la COMLIVCommissione per il livellamento retributivo Italia-Europa), ha tirato fuori dal cilindro, dopo tre mesi di intensissimo lavoro (due riunioni di poche ore ciascuna), due particolari escamotage.
Il primo è il restringimento della comparazione non ai 17 paesi dell'Euro o ai 27 dell'Unione Europea, ma solo ai sei paesi europei più ricchi, dove i livelli retributivi per le cariche elettive sono molto più alte degli altri paesi. 
Il secondo è l'adozione del parametro del "trattamento economico omnicomprensivo": essendo una parte consistente dello stipendio parlamentare italiano "mascherato" nella tipologia di rimborsi forfettari per il soggiorno a Roma (3.500 euro mensili), delle spese per il rapporto eletto ed elettori (3.600 euro mensili) e nella gratuità di qualsiasi mezzo di trasporto aereo o ferroviario, la Commissione ha stabilito la contabilizzazione dei servizi che vengono offerti negli altri paesi dallo stato per l'espletamento del mandato parlamentare.
L'Italia infatti è l'unico paese nel quale ai deputati vengono consegnati migliaia di euro al mese per il reclutamento del personale di segreteria, mentre negli altri paesi le persone di fiducia e di supporto del parlamentare vengono regolarmente assunte direttamente dalle camere con un contratto a termine. 
Lo stesso avviene in merito alle spese di viaggio per lo svolgimento del proprio mandato parlamentare che negli altri paesi europei vengono regolarmente rimborsati attraverso la consegna di una apposita e dettagliata rendicontazione. 
Il parametro del trattamento economico omnicomprensivo permette quindi di inserire le spese di personale nel computo dei paesi esteri, facendo in questo modo schizzare verso l'alto l'indice "salariale" dei deputati stranieri. Allo stesso modo le spese di viaggio non vengono contabilizzate nel calcolo degli stipendi parlamentari nostrani, mentre contribuiscono ad innalzare la media negli altri paesi.
Insomma, gira e rigira, vedrete che alla fine dei conti i
 nostri "poveri" parlamentari si aumenteranno lo stipendio, non per ingordigia, ma per adeguarsi alla media europea.

venerdì 9 dicembre 2011

Disilluso Padano, il metallurgico classe ’52 | Luca Telese | Il Fatto Quotidiano

Disilluso Padano, il metallurgico classe ’52 | Luca Telese | Il Fatto Quotidiano

IL CASO ISLANDA: LA CRISI FINANZIARIA E’ FINITA E LA DEMOCRAZIA HA VINTO

 I dati dell’agenzia parigina OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo, parlano chiaro: la grave crisi finanziaria dell’Islanda è praticamente alle spalle e la democrazia difesa con forza dal popolo islandese ha vinto sulle oligarchie finanziarie mondiali.
Mentre l’OCSE prevede ancora un biennio 2012-2013 di profonda crisi economica, stagnazione e recessione (Italia, Grecia, Portogallo) per tutti i paesi dell’area euro, l’Islanda proprio nei prossimi due anni comincerà a virare in positivo dopo avere superato la fase più difficile della crisi finanziaria negli ultimi due anni.

L’OCSE ha previsto per il 2012 una crescita del PIL dell’Islanda del +2,4% (contro -3,2% del Portogallo, -3% della Grecia, -0,5% dell’Italia) e un calo della disoccupazione fino al 6,1% (contro 22,9% della Spagna, il 18,5% della Grecia e l’8,5% dell’Italia), confermando che la cura islandese ha stravinto contro il suicidio assistito proposto dalla trojka finanziaria FMI, BCE, UE per i paesi dell’area euro in odore di salvataggio.
La crisi finanziaria dell’Islanda era iniziata nel 2008, perchè le tre principali banche private sfruttando un periodo di interessi alti in Islanda avevano attirato enormi capitali dall’estero, investendo in titoli subprime americani e altri derivati e aprendo depositi ad alto rendimento (i cosidetti Icesave) in Gran Bretagna e Olanda, che avevano accumulato in pochi anni un debito di circa 4 miliardi di euro.
Quando è iniziata la bolla speculativa dei subprime americani, l’Islanda si è trovata all’improvviso sul bordo del baratro perchè le sue banche non avevano più soldi per pagare i correntisti inglesi e olandesi ed è proprio in questo momento che con un tempismo da becchino è spuntata dal nulla l’FMI che ha proposto all’Islanda un prestito di 3 miliardi di euro, da rimborsare con un programma pluriennale di sacrifici e tagli alle tasche del popolo islandese e un piano progressivo di espropriazione del patrimonio ambientale, della democrazia e dei diritti della gente d’Islanda.
A questo punto con un moto di orgoglio di nazionale il popolo dell’Islanda ha cominciato a ribellarsi, perchè in effetti non erano stati i cittadini ad accumulare quell’enorme debito, ma i banchieri privati che intanto dopo essersi arricchiti truffando i clienti erano fuggiti all’estero per non farsi arrestare.

Il governo che aveva tentato di approvare il piano di depredazione del FMI fu costretto a dimettersi, il primo ministro fu portato davanti un giudice di tribunale dove è tuttora in corso un processo per corruzione e il popolo dell’Islanda ha ripreso rapidamente il controllo della situazione, bocciando due referendum contro il piano di salvataggio del FMI, istituendo un’assemblea costituente per riscrivere la nuova costituzione e nazionalizzando tutte le banche private presenti nell’isola, compresa la banca centrale di emissione della moneta nazionale (la corona islandese).
Mentre l’FMI si occupava di risarcire gli incolpevoli clienti inglesi e olandesi truffati dai loro affiliati banchieri, l’Islanda ha dimostrato a tutto il mondo che la democrazia, quando il popolo viene mobilitato in piazza e sui forum internet, funziona ed è più forte di tutte le astruse regole della finanza, che sono fatte apposta per arricchire una minoranza (1%) e affamare il resto della popolazione (99%).
Grazie alla ritrovata sovranità popolare dei suoi 320 mila abitanti, l’Islanda ha mantenuto salda la coesione sociale, ha svalutato la corona per rilanciare le esportazioni, ha messo regole più ferree ai nuovi tentativi di speculazione finanziaria e ha chiuso le porte a tutti quegli avvoltoi internazionali come l’FMI, che con la scusa di risanare un debito illegale e mai contratto dai cittadini, tentano in tutti i modi di togliere al popolo l’unica conquista che ha veramente importanza di questi tempi: la democrazia.
Written by Piero Valerio

Tratto da: IL CASO ISLANDA: LA CRISI FINANZIARIA E’ FINITA E LA DEMOCRAZIA HA VINTO | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2011/12/06/il-caso-islanda-la-crisi-finanziaria-e-finita-e-la-democrazia-ha-vinto/#ixzz1g48X2aUw
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!

domenica 4 dicembre 2011

› Come conquistammo le pensioni


 
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Nota quotidiana
Il processo che portò al sistema retributivo, che sta per essere definitivamente abolito, alla fine degli anni 60 è interessante da ripercorrere per pensare a come impostare una stagione di nuovi diritti
Antonio Moscato
Testo integrale su http://antoniomoscato.altervista.org/
"Quaranta anni non si toccano… ripete la Camusso. “Quaranta è un numero magico e intoccabile”. In realtà per molti è semplicemente irraggiungibile. Quando mai i quarantenni di oggi, con anni di precariato e lavoro nero, soprattutto al sud, arriveranno a 40 o 41 anni di contributi?
Discutere solo su questo è ridicolo: si deve dire che non c’è nessun bisogno di toccare le pensioni perché al contrario l’INPS ha finanziato lo Stato da anni.
Oltre al continuo spostamento in là dell’età necessaria per ottenere la pensione, è l’introduzione del sistema contributivo per tutti che è un atto gravissimo che cancella l’impostazione generale del sistema pensionistico ottenuta nel 1969 grazie a una svolta radicale della CGIL, ma anche per merito del coraggio e la coerenza del ministro Giacomo Brodolini, che forzò la mano al governo su questo come sullo Statuto dei diritti dei lavoratori. Vale la pena di ricordare come fu conquistata, perché potrebbe essere la strada da seguire per spezzare anche questo attacco.
La svolta della CGIL era avvenuta dopo un primo cedimento: uno sciopero generale fissato dalle tre confederazioni per il 15 dicembre 1967 era stato revocato in seguito a generiche promesse del governo Moro, e una raffica di proteste da parte di militanti e strutture locali e di categoria aveva scosso la CGIL, che pure si era inizialmente accodata alle altre confederazioni. Pochi mesi dopo, il 27 febbraio 1968, CGIL, CISL e UIL avevano concordato col governo Moro una proposta di riforma che prevedeva che i futuri pensionati ottenessero un trattamento pari al 65% dell’ultimo stipendio, ma spostava a 60 anni l’età della pensione per le donne (già allora era un’idea fissa colpire i cosiddetti “privilegi” delle lavoratrici), ed escludeva il cumulo tra la pensione e qualche lavoretto per integrarla. Le tre confederazioni si erano impegnate a consultare i rispettivi massimi organismi nazionali, ma sembrava una pura formalità; invece la CGIL, tempestata di telegrammi di protesta, nella nottata ritirava il suo assenso con una dichiarazione di Luciano Lama. L’avvicinamento tra le tre confederazioni saltava, e la direzione della CGIL era costretta dalle strutture di base a proclamare da sola uno sciopero generale per il 7 marzo. Nonostante l’esecrazione di CISL e UIL, che gridarono al tradimento e insinuarono che ci fossero strumentalizzazioni politiche preelettorali, lo sciopero riuscì benissimo. E segnò una svolta: tutti sindacati capirono che c’era una crisi di rappresentanza, che costringeva a mutare linea.
Effettivamente l’irrigidimento della CGIL era il riflesso di un mutamento profondo del paese, che le altre confederazioni avevano tardato a percepire, e che ebbe anche una ricaduta elettorale. Alle elezioni politiche del 18 giugno 1968 il PCI passò dal 25,3% al 29,9%, e il PSIUP che lo fiancheggiava ma al tempo stesso lo incalzava e lo criticava da sinistra arrivò al 4,4%; l’unificazione socialista invece non fu premiata dal voto, e PSI e PSDI uniti persero quasi un quarto dei voti che avevano avuto presentandosi separatamente, mentre la DC restava statica.
Nel paese intanto continuavano a svilupparsi lotte aziendali, spesso avanzatissime nelle rivendicazioni e nelle forme di lotta. Furono soprattutto queste, che violavano la tregua di fatto sancita dal rinnovo contrattuale del 1966, ad imporre alle confederazioni un’attenzione maggiore alle richieste della base, e al governo di riprendere in mano la riforma pensionistica e anche il progetto dello Statuto dei lavoratori. Ma ci vollero altri due riuscitissimi scioperi generali, questa volta unitari, il 14 novembre 1968 e il 5 febbraio 1969, perché il governo, presieduto ora da Mariano Rumor, approvasse il 15 febbraio una riforma che portava al 74% il rapporto tra pensione e ultimo stipendio, da elevare all’80% entro il 1975. Era previsto anche un meccanismo di “scala mobile”, cioè di sia pur parziale adeguamento automatico all’inflazione; una pensione sociale per i vecchi senza contributi sufficienti, mentre veniva ripristinata la “pensione di anzianità” per chi pur non avendo raggiunti i 60 anni aveva 35 anni di contributi versati. Veniva anche ripristinata la possibilità di cumulo della pensione con i salari di chi aveva continuato a lavorare. Quanto alla proposta di posticipare per le donne l’età della pensione da 55 a 60 anni, era già stata ritirata dal governo dopo il successo del primo sciopero della sola CGIL…
Come per lo Statuto dei lavoratori, in discussione da tempo e a lungo osteggiato dai settori più miopi della società e della politica italiana, anche per le pensioni il ruolo di Giacomo Brodolini fu decisivo per forzare la mano al resto del governo. Brodolini era gravemente malato e sapeva di non aver molto tempo da vivere (morì in una clinica di Zurigo l’11 luglio 1969). Così impegnò i sei mesi che gli restavano per una tenace battaglia per far approvare dal governo Rumor la riforma pensionistica e poi lo Statuto, spiazzando gli elementi più conservatori. Coerente con la sua origine di socialista radicale proveniente dal partito d’azione, non esitò in quei mesi a compiere gesti inediti, come la partecipazione alla veglia di capodanno in via Veneto dei lavoratori dell’Apollon occupata, o il viaggio ad Avola per portare la sua solidarietà ai braccianti dopo l’uccisione di due di loro da parte della polizia.
Di fronte alle resistenze nel governo, accettò che per finanziare la riforma pensionistica si aumentasse il prezzo della benzina: “Se il ricorso al fisco fosse necessario per far fronte al dovere di meglio assistere i pensionati, non mi scandalizzerei”, scrisse in un articolo. Naturalmente “mi preoccuperei che non fossero colpiti i consumi maggiormente popolari. Non si deve infatti togliere con la destra parte di quanto si dà con la sinistra”. Peccato che nessuno oggi nel PD pensi a utilizzare questi argomenti semplici e convincenti…
Nella relazione sulla riforma presentata alla Camera il 19 febbraio 1969 Brodolini, dopo aver sottolineato che il “considerevole apporto della collettività nazionale agli oneri connessi alla riforma pensionistica (8.000 miliardi di lire nel periodo 1969-1975)” è prima di tutto “una grande opera di giustizia” e un contributo a una “più equa ridistribuzione del reddito”, aggiunse che avrebbe avuto anche ripercussioni positive sullo sviluppo dell’economia. Infatti, proseguiva Brodolini, “è da ritenere che il provvedimento, apportando un miglioramento delle prestazioni nei confronti di oltre 8 milioni di pensionati, sia destinato ad avere riflessi tonificanti sul mercato attraverso l’incremento della domanda di beni e servizi e, quindi, a ripercuotersi positivamente sull’economia nazionale”.
Aveva ragione: quella spesa non mandò in rovina la società italiana, ma assicurò invece parecchi anni di sviluppo impetuoso dell’economia.
È bene ricordare il ruolo del socialista Brodolini, per sottolineare quanto grande sia stata negli ultimi trent’anni l’involuzione di quel che resta della sinistra parlamentare, che quegli argomenti ha totalmente dimenticato. Ma Brodolini era stato solo un interprete onesto e coerente di una trasformazione che stava investendo i sindacati e che portò, pochi mesi dopo la sua morte, alla grande stagione di lotte dell’Autunno caldo…
Ed è questo va sottolineato: Il sistema pensionistico italiano diventò allora, grazie alla lotta, unitaria se possibile, ma anche della sola CGIL se le altre confederazioni arretravano, uno dei migliori in Europa, senza per questo mandare in rovina il paese: bisogna ricordare come è stato conquistato, e perché appena sparita la sinistra è diventato il bersaglio principale di tutte le sedicenti “riforme”, che riforme non sono affatto, nonostante le pensioni dei lavoratori non avessero nulla a che vedere con le cause della crisi strutturale del sistema capitalistico europeo.
Il sistema retributivo funzionava bene finché aumentava l’occupazione, e rastrellava anche i contributi dei lavoratori stranieri e italiani che non arrivavano a poter avere una pensione. Inoltre i contributi di lavoratori e aziende venivano fatti fruttare in vario modo. L’attacco cominciò con lo scopo di rendere insicuri i lavoratori sulla pensione futura costringendoli a investire il loro TFR in pensioni private (che in realtà non davano nessuna sicurezza e che per fortuna solo una minoranza ha sottoscritto, nonostante le pressioni bipartisan e le complicità confederali). Il contributivo “pro rata” (termine misterioso, quasi mai spiegato, e che dovrebbe corrispondere a un pro rata temporis) proposto da Berlusconi nel 1994 e poi, dopo la sua caduta, realizzato sia pure parzialmente dal suo ex ministro dell’economia Dini col consenso della “sinistra”, equivale a passare dalla funzione di banca a quella di salvadanaio. Infatti, se col retributivo i lavoratori al termine di una lunga e faticosa vita lavorativa iniziata in tempi bui con pochi e miseri contributi potevano avere una percentuale elevata dell’ultimo stipendio senza mandare in rovina l’INPS, ora col contributivo avranno diritto solo a quanto hanno versato, suddiviso per gli anni di presumibile “godimento” calcolati in base alla speranza di vita. Che spesso, per chi ha lavorato quarant’anni in una miniera o in una fabbrica chimica o al siderurgico di Taranto, è assai minore della media…
Non è vero quanto ci si ripete ogni giorno: “Noi italiani siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità”. È una bufala: l’Italia è esattamente allineata alla Germania e alla Francia, così come era stato riportato il 24 ottobre 2011 dal Corriere della Sera: l’età media effettiva di pensionamento in Italia è di 61,5 per gli uomini, 60 per le donne; in Germania di 61,6 e 59,9; in Francia per uomini e donne di 58,8 e 58,8; in Spagna di 62,6 e 59,5. Ma da anni i superburocrati inutili e strapagati dell’Unione Europea, e la troika Merkel-Sarkozy-BCE ci ripetono: “l’Europa chiede all’Italia tagli alle pensioni…”
Se l’Eurostat sostiene che l’attuale spesa pensionistica incide in misura anomala sul Pil, è perché fa confronti statisticamente disomogenei. Infatti il dato italiano è sovradimensionato dall’indebita inclusione dei trattamenti di fine rapporto TFR (pari a circa un punto e mezzo di Pil) e dalla valutazione delle prestazioni al lordo delle ritenute previdenziali (in Germania i soldi che escono dagli enti pensionistici sono esattamente quelli che entrano nelle tasche dei pensionati e la spesa pensionistica viene contabilizzata al netto di ciò che viene pagato; in Italia invece viene registrato come spesa pensionistica il lordo erogato, inclusa la ritenuta d'acconto). Questi due elementi di disomogeneità, se tolti dal computo, riducono l’incidenza sul Pil della nostra spesa pensionistica al di sotto o in linea con quelle francesi e tedesche. Il Tfr infatti non è una prestazione pensionistica, e neppure i prepensionamenti a seguito di crisi aziendali, che solo in Italia diventano spesa pensionistica, mentre in altri Paesi sono considerati interventi di politica industriale non contabilizzabili nella spesa pensionistica.
Casomai un problema reale è che la gestione Inps delle pensioni dei lavoratori dipendenti, è in attivo di 10 miliardi e non ha bisogno di aggiustamenti, mentre quelle di autonomi e dirigenti è in perdita. Anche quando paga un po’ meno di quel che si accaparrano i Guarguaglini e soci quando devono andarsene.
Altri dati in http://antoniomoscato.altervista.org/