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giovedì 30 settembre 2010
lunedì 27 settembre 2010
Occorre una rivolta lessicale
| di Ferruccio Sansa
Occorre una rivolta lessicale
27 settembre 2010
Occorre una rivolta lessicale
Non c’è soltanto lo smog. Esiste anche l’inquinamento delle parole. “Chi parla male, pensa male”, diceva Nanni Moretti. Vero, quanto è vero. Una frase che mi è tornata in mente tante volte negli ultimi mesi ogni volta che sentivo ripetere quelle due parole: buonismo e giustizialismo. Non le sopporto.
Non so che cosa ne pensiate voi (ditemelo), a me sembra che questa alluvione di “ismi” rifletta uno stato d’animo profondo. Un tentativo lucido, violento perfino, di distorcere due modi di sentire preziosi fino a immiserirli. Rendendoli innoffensivi. Depotenziandoli, insomma, della loro forza dirompente.
Quasi una strategia politico-lessicale che tenta di anestetizzare la nostra sensibilità.
Così l’eccezione e gli eccessi (il giustizialismo) vengono contrabbandati per la regola, e la norma (il desiderio di giustizia) è violentata, cancellata. La “bontà” assume un valore “ideologico”, un profumo di incenso e catechismo. Meglio aggiungere quel suffisso “–ismo” e svuotare la sostanza, puntare il dito sull’apparenza che può essere additata come forma di esaltazione o ipocrisia. Una tecnica quasi “mafiosa”: bollare così una persona, un’azione, così nelle orecchie di chi ascolta rimane l’eco dell’-ismo, il venticello leggero della calunnia.
No, gli uomini e le donne “giusti” esistono. Ci sono i “buoni”.
Rosario Livatino e Giorgio Ambrosoli con la loro sete di giustizia non erano giustizialisti, ma uomini giusti. Sarebbe troppo comodo, però, ricorrere soltanto ai morti. Pensiamo all’Italia di oggi. Alle persone che conosciamo. Una delle fortune di noi giornalisti è proprio questa: incontriamo centinaia di persone. Quanti uomini giusti ho avuto la sorte di incontrare… Leggevo ancora ieri sera la sofferta e appassionata biografia del magistrato Armando Spataro. Il racconto di quando, poco più che trentenne, si trovò a sostenere l’accusa nei processi di terrorismo, rischiando – lui giovane marito e padre – la propria vita. Spataro è il magistrato che si è battuto per il rispetto della legge anche da parte di governi e agenti segreti nel processo per il sequesto di Abu Omar. Un giustizialista? No, secondo me una persona giusta.
Non uomini perfetti. Non santi. Persone con le loro debolezze, capaci anche di errori, che però vedono nella giustizia – una parola che poi ne comprende tante altre, come uguaglianza – uno dei pochi criteri che possano guidarci nella vita individuale e sociale.
Oppure don Gino Rigoldi, il sacerdote milanese protagonista di tante battaglie per gli ultimi, anche quando vestono i panni scomodi di clandestini e rom. Non liquidiamo le sue scelte scomode, assolute (magari per qualcuno discutibili) riportandole nel mare del relativismo in cui ci siamo abituati a nuotare. Don Gino non è buonista, è buono.
Volti e nomi noti. Ma quante persone sconosciute e a noi vicine potremmo definire giuste e buone. Ancora tante.
Eppure queste due parole sono state distorte fino a designare delle caricature. Troppo scomode per chi guida questo Paese, nella politica, nell’economia o nel giornalismo. Uomini che temono forse di trovare un’alternativa al proprio modo di vedere il mondo. Che sperano di poter applicare lo stesso relativismo alla definizione del bene e del male. Ma se individuiamo la giustizia, potremo indicare con la stessa chiarezza la disonestà e la spregiudicatezza. L’ingiustizia, insomma.
Parole scomode, però, anche per noi persone comuni. Giustizia, bontà: concetti impegnativi che ci costringono a un esame di coscienza, a un confronto in fondo con noi stessi.
Difficile cambiare, ma forse si può cominciare dalle parole, poi verranno i pensieri: aboliamo il giustizialismo e il buonismo. Tutti insieme.
Non so che cosa ne pensiate voi (ditemelo), a me sembra che questa alluvione di “ismi” rifletta uno stato d’animo profondo. Un tentativo lucido, violento perfino, di distorcere due modi di sentire preziosi fino a immiserirli. Rendendoli innoffensivi. Depotenziandoli, insomma, della loro forza dirompente.
Quasi una strategia politico-lessicale che tenta di anestetizzare la nostra sensibilità.
Così l’eccezione e gli eccessi (il giustizialismo) vengono contrabbandati per la regola, e la norma (il desiderio di giustizia) è violentata, cancellata. La “bontà” assume un valore “ideologico”, un profumo di incenso e catechismo. Meglio aggiungere quel suffisso “–ismo” e svuotare la sostanza, puntare il dito sull’apparenza che può essere additata come forma di esaltazione o ipocrisia. Una tecnica quasi “mafiosa”: bollare così una persona, un’azione, così nelle orecchie di chi ascolta rimane l’eco dell’-ismo, il venticello leggero della calunnia.
No, gli uomini e le donne “giusti” esistono. Ci sono i “buoni”.
Rosario Livatino e Giorgio Ambrosoli con la loro sete di giustizia non erano giustizialisti, ma uomini giusti. Sarebbe troppo comodo, però, ricorrere soltanto ai morti. Pensiamo all’Italia di oggi. Alle persone che conosciamo. Una delle fortune di noi giornalisti è proprio questa: incontriamo centinaia di persone. Quanti uomini giusti ho avuto la sorte di incontrare… Leggevo ancora ieri sera la sofferta e appassionata biografia del magistrato Armando Spataro. Il racconto di quando, poco più che trentenne, si trovò a sostenere l’accusa nei processi di terrorismo, rischiando – lui giovane marito e padre – la propria vita. Spataro è il magistrato che si è battuto per il rispetto della legge anche da parte di governi e agenti segreti nel processo per il sequesto di Abu Omar. Un giustizialista? No, secondo me una persona giusta.
Non uomini perfetti. Non santi. Persone con le loro debolezze, capaci anche di errori, che però vedono nella giustizia – una parola che poi ne comprende tante altre, come uguaglianza – uno dei pochi criteri che possano guidarci nella vita individuale e sociale.
Oppure don Gino Rigoldi, il sacerdote milanese protagonista di tante battaglie per gli ultimi, anche quando vestono i panni scomodi di clandestini e rom. Non liquidiamo le sue scelte scomode, assolute (magari per qualcuno discutibili) riportandole nel mare del relativismo in cui ci siamo abituati a nuotare. Don Gino non è buonista, è buono.
Volti e nomi noti. Ma quante persone sconosciute e a noi vicine potremmo definire giuste e buone. Ancora tante.
Eppure queste due parole sono state distorte fino a designare delle caricature. Troppo scomode per chi guida questo Paese, nella politica, nell’economia o nel giornalismo. Uomini che temono forse di trovare un’alternativa al proprio modo di vedere il mondo. Che sperano di poter applicare lo stesso relativismo alla definizione del bene e del male. Ma se individuiamo la giustizia, potremo indicare con la stessa chiarezza la disonestà e la spregiudicatezza. L’ingiustizia, insomma.
Parole scomode, però, anche per noi persone comuni. Giustizia, bontà: concetti impegnativi che ci costringono a un esame di coscienza, a un confronto in fondo con noi stessi.
Difficile cambiare, ma forse si può cominciare dalle parole, poi verranno i pensieri: aboliamo il giustizialismo e il buonismo. Tutti insieme.
domenica 19 settembre 2010
La sinistra che vorrei!
pubblicata da Nella Toscano il giorno domenica 19 settembre 2010 alle ore 19.28
I fatti accaduti in questi ultimi giorni hanno messo in evidenza la crisi profonda che attraversa la politica Italiana di destra e dinistra.
Se da un lato si è contenti che finalmente siano emerse le contraddizioni della destra, altrettanto non si può dire nell'assistere allo sgretolamento di quello che, almeno fino ad adesso, è stato il maggiore partito dell'opposizione.
Il Pd, nato da una fusione a freddo di due partiti diversissimi tra loro, quali erano DS e Margherita, senza un'idea, senza un progetto chiaro e definito, senza un'anima ed un sentire comune è arrivato al copolinea. Le contraddizioni e le divergenze che sono emerse in maniera devatsante non appaiono sanabili proprio perchè non c'è un collante interno che possa tenere insieme le diverse anime del partito.
Tutti i vecchi leader si contendono il potere e pur di mantenerlo sono capaci persino di creare movimenti, addirittura all'interno del medesimo partito, come ha fatto Veltroni!
Come se questo non bastasse, sono emerse in questi giorni due linee di pensiero:
quella di Bersani, che dà via libera al PD Siciliano di appoggiare il governo Lombardo, che cancella in un colpo solo la sinistra in Sicilia, o meglio quella che molti si illudevono fosse la sinistra, e quella Di Veltroni che sostiene che non si debbono fare alleanze con la destra.
Di fronte a tutto questo marasma è chiaro a tutti lo smarrimento di molti degli elettori del PD, ma non solo di loro, ma di tutta la sinistra, perchè non si sa più se ci si trova davanti un partito di destra o di sinistra o solo e semplicemente un partito di leader incollati alla poltrona.
Di fronte a questa situazione drammatica, non certo per le sorti di un partito, ma per l'intera nazione, si pone la necessità di ritrovare l'unità a sinistra!!!
Io penso che per arrivare ad unire tutta la sinistra è necessario che i capi ed i capetti delle varie formazioni, ormai scatole vuole, si debbono fare da parte, perchè c'è assoluto bisogno di un totale rinnovamento, prima di tutto, della classe dirigente!!!
Penso anche per ricostruire la sinistra e trovare la necessaria unità occorre partire da un progetto condiviso che affronti, finalmente, le emergenze del paese e che si faccia carico dei grandi e gravi problemi della parte più debole del paese.
Ricostruire la sinistra prendendo come valore fondante la nostra Costituzione!!!
E' necessario ritrovarsi attorno alla nostra Costituzione per attuarla, finalmente !!!!
Il gruppo che abbiamo costituito " Un progetto per Cambiare l'Italia" va proprio in questa direzione; abbiamo elaborato un programma come base di discussione su cui misurarci e confrontarci per arrivare ad una sintesi attorno a cui ricostruire la nuova sinistra!!!
Saremo capaci di arrivare a questo?
Auspico di si, perchè non riuscirci sarebbe davvero un disastro per tutti!!!
Nella Toscano
venerdì 17 settembre 2010
"Lezione sulla democrazia" che Gustavo Zagrebelsky ha tenuto sabato alla Festa del Partito Democratico a Torino
Nella lezione tenuta alla Festa del Pd i rischi che sono di fronte alle democrazie di oggi. I pericoli maggiori vengono dalle derive populistiche e dalle chiusure di casta Pubblichiamo ampi stralci della " >Con le parole di Hannah Arendt (Was ist Politik? - inediti del 1950, pubblicati nel 1993, trad. it. Che cosa è la politica? Torino, Comunità 2001, pp. 5 ss.), ciò che è proprio di questa concezione della politica è l´essere collocata infra, in mezzo, tra le persone. La virtù politica è propria di coloro che amano stare "con" le altre persone, non "sopra", nemmeno "accanto" o, peggio, "altrove"; di coloro che conducono la loro vita insieme a quella degli uomini e delle donne comuni, stando dentro le relazioni personali e di gruppo, quelle relazioni che, nel loro insieme, fanno, di una semplice somma d´individui, una società. Chi disdegna stare con le persone comuni, credendosi diverso, e il suo cuore batte piuttosto per i salotti, le accademie, le fondazioni culturali, le tavole rotonde, gli studi televisivi, potrà certo essere un´ottima persona. Ma non è adatto alla politica in questo senso. Ciò è così vero che, proprio gli uomini politici più distanti dalla vita della gente comune, che disprezzano, fanno a gara nel dar prova di atteggiamenti populistici e volgari, per far mostra d´essere uguali agli altri, "uno di loro"; in realtà offendendoli e insultandoli, nel momento in cui le trattano non come cittadini ma come plebe.
Forse non abbiamo mai pensato che tra tutti i regimi politici, la democrazia è l´unico che presuppone amicizia tra governanti e governati. I regimi autocratici o oligarchici, comportano separazione che, nel caso migliore, si traduce in indifferenza, in quello peggiore, in inimicizia e avversione. Solo la democrazia vive e si alimenta di un circuito di reciproca fiducia che può esistere solo a condizione che i governanti non si costituiscano in classe separata, solo a condizione che i cittadini comuni non li vedano come cosa diversa da sé.
Che significa classe separata? Innanzitutto che, una volta entrati in uno dei luoghi della politica, si sia acquisito il diritto di non uscirne mai più, fino a quando provveda la natura. I ceti o le caste delle società premoderne erano stratificazioni sociali alle quali si apparteneva dalla nascita alla morte. Oggi, al ceto politico di regola non si appartiene per diritto di nascita, anche se non manca, anzi si moltiplicano i casi di nepotismo, di familismo e di trasmissione ereditaria delle cariche politiche. In politica oggi, di norma, "si entra", o, come si dice autorevolmente, "si scende" (una volta si sarebbe detto "si sale" o si "ascende"), ma, una volta entrati non se ne vuole più uscire. Se proprio occorre lasciare un posto, ce n´è sempre un altro cui aspirare e che ci attende. Oggi quello che importa è entrare in un giro di potere. A che "giro" appartiene? ci chiediamo, vedendo qualcuno che "gira", per l´appunto, da un posto all´altro. Quando entri in un giro, non ne esci più, a meno che tu abbia tradito le aspettative di chi ti ci ha messo.
Questa è la separazione: tra chi, in un giro del potere, c´è e chi non c´è. E volete che chi non c´è non si senta mille miglia lontano da chi vi è dentro? Che non si consideri appartenere a un altro mondo? E, all´opposto, possiamo credere che chi è dentro non consideri chi è fuori un potenziale pericolo, un´insidia per la propria posizione acquisita, e non faccia di tutto per restarci aggrappato, impedendo accessi non graditi al proprio giro chiuso o, almeno, per gestirli secondo propri criteri, in modo che gli equilibri acquisiti non siano scossi? Ma questa è la sclerosi della politica. Quando si sente dire che occorre promuovere il rinnovamento della classe dirigente e, per questo, bisogna "allevare" nuove leve politiche, il linguaggio – l´allevamento - tradisce perfettamente l´orizzonte culturale in cui si pensa debba avvenire il cosiddetto "ricambio", quel ricambio che tutti a parole dicono necessario ma che, secondo l´idea dell´allevamento, è perpetuazione dello status quo che produce cloni.
Di quest´atteggiamento di separatezza e, in definitiva, di inimicizia, testimonianza eloquente è l´atteggiamento del mondo politico nei confronti della cosiddetta "società civile", un´espressione e un concetto che non ha mai goduto di buona fama, soprattutto a sinistra. Questa è una lunga storia che sarebbe da ricostruire interamente, a partire da quando, dopo la Liberazione, effettivamente la pretesa dei partiti di rappresentare tutto ciò che di "politico" vi era da rappresentare, era giustificata. Ma oggi?
Oggi, una società civile è difficile negare che esista. Dobbiamo capirci. Assai spesso – per squalificarne il concetto stesso – la si intende come "i salotti" dove s´incontrano persone disparate che presumono d´essere élite del Paese e si auto-investono di chissà quale compito salvifico, o come lobby più o meno segrete o gruppi d´interesse settoriale che curano i propri affari, legalmente e talora anche illegalmente tramite corruzione o collusione. Da tutto ciò, che ha niente a che fare con la democrazia, la politica dovrebbe guardarsi. Da questa "società civile", piuttosto "incivile", chi si occupa di politica dovrebbe cercare di stare lontano, il più possibile.
Ora, chi vuole difendere il circolo chiuso della politica e i suoi sistemi di cooptazione demonizza la società civile identificandola con questi ambienti. Ma è un´operazione che sa di diversivo, cioè di tentativo di spostare l´attenzione su un falso obiettivo, effettivamente indifendibile.
La società civile esiste, ma è un´altra cosa: è l´insieme delle persone, delle associazioni, dei gruppi di coloro che dedicano o sarebbero disposti, se solo ne intravedessero l´utilità e la possibilità, se i canali di partecipazione politica non fossero secchi o inospitali, a dedicare spontaneamente e gratuitamente passione, competenze e risorse a ciò che chiamiamo il bene comune. Quante sono le persone, singole e insieme ad altre, che a partire dalle tante e diverse esperienze, in tutti gli ambiti della vita sociale, a iniziare dai più umili e a diretto contatto con i suoi drammi e le sue tragedie, sarebbero disposte a dare qualcosa di sé, non per un proprio utile immediato, ma per opere di più ampio impegno che riguardano la qualità, per l´appunto civile, della società in cui noi, i nostri figli e nipoti si trovano e troveranno a vivere?
Da quel che mi par di vedere, tantissime. Quando si parla di politica e di sua crisi, perché l´attenzione non si rivolge a questo potenziale serbatoio di energie? Non per colonizzarle, ma per trarne, rispettandone la libertà, gli impulsi vitali. In fin dei conti, sono questi "servitori civili", quelli che più di altri conoscono i problemi e le difficoltà reali della vita nella nostra società. C´è più sapienza pratica lì che in tanti studi accademici, libri, dossier che spesso si pagano fior di quattrini per rimanere a giacere impilati.
Perché c´è così poca attenzione e apertura, anzi spesso disprezzo, verso questo mondo?
La risposta alla domanda formulata sopra è semplice: la scarsa attenzione, se non l´ostilità, dipende dalla difesa di rendite di posizione politica che sarebbero insidiate dall´apertura. Non c´è da fare tanti giri di parole: è la sempiterna tendenza oligarchica del potere costituito. Viene in mente la frase dell´abate Siéyès con la quale inizia il celebre libello "Che cos´è il terzo stato", un testo che contribuì a creare autocoscienza in chi allora – la Francia pre-rivoluzionaria – chiedeva riforme: "Che cos´è il terzo stato? Tutto. Che cos´è stato finora nell´ordinamento politico? Niente. Che cosa domanda? Diventare qualcosa". Noi potremmo tradurre: "Che cos´è la società civile? Molto. Che cosa è nell´ordine politico? Quasi nulla. Che cosa occorre che diventi? Qualcosa".
Sotto questo punto di vista, c´è oggi in Italia una specifica situazione d´emergenza politica e democratica, rappresentata dalla legge elettorale vigente, con la quale rischiamo di essere chiamati alle urne, nel momento in cui – col favore dei sondaggi- piacerà a chi di dovere. Questa legge sembra, anzi è, fatta apposta per garantire l´impermeabilità del ceto politico, la sua auto-referenzialità, per munire la sua separatezza. È una legge, nella sua essenza, dello stesso tipo di quelle vigenti nelle dittature di partito. Il fatto che non vi sia "il" partito, ma vi siano "i" partiti, non cambia il giudizio. La sua ratio, come direbbero i giuristi, può esprimersi così: dall´alto discende il potere e dal basso sale, o si fa salire, il consenso. Ma questa non è democrazia. E´, se si vuole," democratura", secondo la felice e, al tempo stesso orrenda, espressione dell´esule bosniaco Predrag Matvejevic. Col sistema elettorale attuale, i vertici dei partiti – tutti quanti – dispongono dell´intero potere di definire chi formerà la rispettiva corte in Parlamento. Non è poca cosa per loro e questo spiega il fatto che, a suo tempo, quando fu approvato, non ci sia stata una reazione adeguata. Il potere si è capovolto e cominciamo ad accorgercene. E ci accorgiamo di quanto ciò finisca per alimentare sentimenti, risentimenti e atteggiamenti anti-politici, da cui tutti, meno i demagoghi, hanno molto da perdere.
La ragione per non andare più a votare con questa legge elettorale non si riduce alla pur rilevantissima stortura ch´essa comporta: il fatto cioè che deputati e senatori siano nominati dall´alto, senza alcuna possibilità d´influenza degli elettori, altro che nel distribuire il numero di "posti" che spettano all´uno e all´altro partito, assegnati poi a questo o quello per beneplacito altrui. La posta è assai più grande: per i partiti è il dilemma tra l´apertura alla società o la chiusura; per i cittadini tra la politica e l´antipolitica, tra la partecipazione e l´esclusione politica, tra la fiducia nella democrazia e il risentimento contro la democrazia.
Quando parliamo di democrazia, però, non pensiamo solo a partiti, elezioni, parlamenti, governi, e cose di questo genere. In una parola, non pensiamo solo a forme e istituzioni politiche, cioè a tecniche di governo. Pensiamo anche a una sostanza della società.
Ora, la domanda da porre è se ci può essere democrazia come forma in una società non democratica.
La risposta è sì. Ci può essere. Ma che genere di democrazia? La democrazia come tecnica di governo, innestata su una realtà sociale non democratica, non fa che amplificarne e moltiplicarne i caratteri non democratici o antidemocratici, rappresentandoli, generalizzandoli e, per così dire, rendendoli obbligatori per tutti. Per esempio, noi non diremmo certo che una società a maggioranza razzista e xenofoba è democratica. Questa società può senz´altro governarsi in forme democratiche, cioè la maggioranza può imporre per legge la sua visione del mondo razzista e xenofoba. Questo ci dice che la democrazia, intesa solo come forma di reggimento politico, non è affatto più tranquillizzante di altre. Sotto certi aspetti, anzi, fa più paura, perché ha dalla sua la forza del numero. Questo spiega il fatto che la democrazia può essere, o diventare, odiosa al pari e forse più di altre forme politiche. Ciò accade quando alla forma (democratica) del potere corrisponde una sostanza non democratica della società.
Ma che cosa è una società non democratica? In breve: una società in cui esistono discriminazioni e disuguaglianze, tali che una parte, per così dire, viva bene sopra un´altra che vive male e questa differenza alimenta odio e violenza. Usciamo dal generico: è una società dove qualcuno possa dire: "questa è casa mia" e tu sei un intruso ch´io posso escludere e respingere a mio piacimento; dove, se non ti "integri", cioè non ti rendi irriconoscibile nella tua identità, non hai diritto di cittadinanza; dove la povertà e il disagio sociale sono abbandonati a se stessi, nella solitudine; dove il lavoro non è considerato un diritto, ma solo un fattore dell´impresa subordinato alla sua logica e dove i disoccupati e i precari sono solo un accidente fastidioso di un "sistema" e non un problema per tutti; dove l´istruzione e la cultura sono riservati ai figli di coloro che possono; dove la salute è il privilegio di chi può permettersi d´affrontare le spese che la sua cura comporta. Noi avvertiamo queste discriminazioni in modo sempre più acuto. La povertà, l´insicurezza e la solitudine aumentano, anche se spesso hanno vergogna di mostrarsi, come bene sanno coloro che operano nei servizi sociali, pubblici e privati. Il divario tra chi può curare la propria formazione culturale e chi non può aumenta, e spesso si manifesta in questa forma odiosa e umiliante per il nostro Paese: chi può manda i suoi figli fuori dell´Italia. La disuguaglianza giunge a segnare i corpi, divide quelli bene curati e quelli degradati: addirittura lo stato dei denti è diventato, anzi ri-diventato qual era un tempo, segno di condizione sociale.
E noi vorremmo che tutto ciò non ingeneri inimicizia sociale? Sarebbe ingenuo sperarlo. E vorremmo che chi sta dall´altra parte della società, quella che dal basso guarda a quella che sta in alto, non nutra diffidenza, per non dire di più, verso una democrazia che accetta questa loro condizione? Una condizione che non giustifica certo, ma spiega il carattere violento dei rapporti anche quotidiani tra le persone, di chi si sente più forte sul più debole e del debole come reazione al forte, nelle infinte situazioni in cui quel divario può essere fatto valere, nelle famiglie, nella strada, nelle scuole, nelle fabbriche, nei rapporti tra uomo e donna, tra "normale" e "diverso", eccetera. È all´opera l´incultura della sopraffazione che è l´esatto opposto dell´ethos necessario alla democrazia.
Qui, nella denuncia della mentalità dilagante, nella difesa e promozione di una cultura della convivenza e nell´azione per contrastare l´incultura della violenza, c´è un compito che ci riguarda tutti, in quanto questa società non ci piaccia affatto. Ci riguarda come cittadini cui la democrazia sta a cuore come un bene cui non vogliamo rinunciare. Ma riguarda anche i cittadini che militano in partiti politici che hanno la parola democrazia nelle proprie ragioni fondative o addirittura nel proprio simbolo. Ecco un´altra buona ragione per abbandonare l´idea che la politica si faccia principalmente nelle stanze dei palazzi del potere o negli uffici delle burocrazie di partito, che il buon politico sia quello esperto di "scenari", alchimie, tattiche e strategie. Tutto questo è importante, ma non basta. Siccome non basta, abbiamo il dovere di chiederci: dove siamo quando nel nostro Paese si avvelenano i rapporti tra le persone, nelle tragedie dell´immigrazione come in quelle delle famiglie di senza-lavoro e nei drammi del lavoro senza sicurezza; nelle proteste per una scuola che affonda come nella tragedia di chi è colpito dalla forza scatenata della natura: nei nostri uffici o tra chi ha bisogno di solidarietà? Ecco perché è necessario stringere i rapporti tra partiti e società, abbandonare l´idea e le pratiche che fanno pensare che gli uni possano fare a meno dell´altra, e viceversa.
GUSTAVO ZAGREBELSKY
Forse non abbiamo mai pensato che tra tutti i regimi politici, la democrazia è l´unico che presuppone amicizia tra governanti e governati. I regimi autocratici o oligarchici, comportano separazione che, nel caso migliore, si traduce in indifferenza, in quello peggiore, in inimicizia e avversione. Solo la democrazia vive e si alimenta di un circuito di reciproca fiducia che può esistere solo a condizione che i governanti non si costituiscano in classe separata, solo a condizione che i cittadini comuni non li vedano come cosa diversa da sé.
Che significa classe separata? Innanzitutto che, una volta entrati in uno dei luoghi della politica, si sia acquisito il diritto di non uscirne mai più, fino a quando provveda la natura. I ceti o le caste delle società premoderne erano stratificazioni sociali alle quali si apparteneva dalla nascita alla morte. Oggi, al ceto politico di regola non si appartiene per diritto di nascita, anche se non manca, anzi si moltiplicano i casi di nepotismo, di familismo e di trasmissione ereditaria delle cariche politiche. In politica oggi, di norma, "si entra", o, come si dice autorevolmente, "si scende" (una volta si sarebbe detto "si sale" o si "ascende"), ma, una volta entrati non se ne vuole più uscire. Se proprio occorre lasciare un posto, ce n´è sempre un altro cui aspirare e che ci attende. Oggi quello che importa è entrare in un giro di potere. A che "giro" appartiene? ci chiediamo, vedendo qualcuno che "gira", per l´appunto, da un posto all´altro. Quando entri in un giro, non ne esci più, a meno che tu abbia tradito le aspettative di chi ti ci ha messo.
Questa è la separazione: tra chi, in un giro del potere, c´è e chi non c´è. E volete che chi non c´è non si senta mille miglia lontano da chi vi è dentro? Che non si consideri appartenere a un altro mondo? E, all´opposto, possiamo credere che chi è dentro non consideri chi è fuori un potenziale pericolo, un´insidia per la propria posizione acquisita, e non faccia di tutto per restarci aggrappato, impedendo accessi non graditi al proprio giro chiuso o, almeno, per gestirli secondo propri criteri, in modo che gli equilibri acquisiti non siano scossi? Ma questa è la sclerosi della politica. Quando si sente dire che occorre promuovere il rinnovamento della classe dirigente e, per questo, bisogna "allevare" nuove leve politiche, il linguaggio – l´allevamento - tradisce perfettamente l´orizzonte culturale in cui si pensa debba avvenire il cosiddetto "ricambio", quel ricambio che tutti a parole dicono necessario ma che, secondo l´idea dell´allevamento, è perpetuazione dello status quo che produce cloni.
Di quest´atteggiamento di separatezza e, in definitiva, di inimicizia, testimonianza eloquente è l´atteggiamento del mondo politico nei confronti della cosiddetta "società civile", un´espressione e un concetto che non ha mai goduto di buona fama, soprattutto a sinistra. Questa è una lunga storia che sarebbe da ricostruire interamente, a partire da quando, dopo la Liberazione, effettivamente la pretesa dei partiti di rappresentare tutto ciò che di "politico" vi era da rappresentare, era giustificata. Ma oggi?
Oggi, una società civile è difficile negare che esista. Dobbiamo capirci. Assai spesso – per squalificarne il concetto stesso – la si intende come "i salotti" dove s´incontrano persone disparate che presumono d´essere élite del Paese e si auto-investono di chissà quale compito salvifico, o come lobby più o meno segrete o gruppi d´interesse settoriale che curano i propri affari, legalmente e talora anche illegalmente tramite corruzione o collusione. Da tutto ciò, che ha niente a che fare con la democrazia, la politica dovrebbe guardarsi. Da questa "società civile", piuttosto "incivile", chi si occupa di politica dovrebbe cercare di stare lontano, il più possibile.
Ora, chi vuole difendere il circolo chiuso della politica e i suoi sistemi di cooptazione demonizza la società civile identificandola con questi ambienti. Ma è un´operazione che sa di diversivo, cioè di tentativo di spostare l´attenzione su un falso obiettivo, effettivamente indifendibile.
La società civile esiste, ma è un´altra cosa: è l´insieme delle persone, delle associazioni, dei gruppi di coloro che dedicano o sarebbero disposti, se solo ne intravedessero l´utilità e la possibilità, se i canali di partecipazione politica non fossero secchi o inospitali, a dedicare spontaneamente e gratuitamente passione, competenze e risorse a ciò che chiamiamo il bene comune. Quante sono le persone, singole e insieme ad altre, che a partire dalle tante e diverse esperienze, in tutti gli ambiti della vita sociale, a iniziare dai più umili e a diretto contatto con i suoi drammi e le sue tragedie, sarebbero disposte a dare qualcosa di sé, non per un proprio utile immediato, ma per opere di più ampio impegno che riguardano la qualità, per l´appunto civile, della società in cui noi, i nostri figli e nipoti si trovano e troveranno a vivere?
Da quel che mi par di vedere, tantissime. Quando si parla di politica e di sua crisi, perché l´attenzione non si rivolge a questo potenziale serbatoio di energie? Non per colonizzarle, ma per trarne, rispettandone la libertà, gli impulsi vitali. In fin dei conti, sono questi "servitori civili", quelli che più di altri conoscono i problemi e le difficoltà reali della vita nella nostra società. C´è più sapienza pratica lì che in tanti studi accademici, libri, dossier che spesso si pagano fior di quattrini per rimanere a giacere impilati.
Perché c´è così poca attenzione e apertura, anzi spesso disprezzo, verso questo mondo?
La risposta alla domanda formulata sopra è semplice: la scarsa attenzione, se non l´ostilità, dipende dalla difesa di rendite di posizione politica che sarebbero insidiate dall´apertura. Non c´è da fare tanti giri di parole: è la sempiterna tendenza oligarchica del potere costituito. Viene in mente la frase dell´abate Siéyès con la quale inizia il celebre libello "Che cos´è il terzo stato", un testo che contribuì a creare autocoscienza in chi allora – la Francia pre-rivoluzionaria – chiedeva riforme: "Che cos´è il terzo stato? Tutto. Che cos´è stato finora nell´ordinamento politico? Niente. Che cosa domanda? Diventare qualcosa". Noi potremmo tradurre: "Che cos´è la società civile? Molto. Che cosa è nell´ordine politico? Quasi nulla. Che cosa occorre che diventi? Qualcosa".
Sotto questo punto di vista, c´è oggi in Italia una specifica situazione d´emergenza politica e democratica, rappresentata dalla legge elettorale vigente, con la quale rischiamo di essere chiamati alle urne, nel momento in cui – col favore dei sondaggi- piacerà a chi di dovere. Questa legge sembra, anzi è, fatta apposta per garantire l´impermeabilità del ceto politico, la sua auto-referenzialità, per munire la sua separatezza. È una legge, nella sua essenza, dello stesso tipo di quelle vigenti nelle dittature di partito. Il fatto che non vi sia "il" partito, ma vi siano "i" partiti, non cambia il giudizio. La sua ratio, come direbbero i giuristi, può esprimersi così: dall´alto discende il potere e dal basso sale, o si fa salire, il consenso. Ma questa non è democrazia. E´, se si vuole," democratura", secondo la felice e, al tempo stesso orrenda, espressione dell´esule bosniaco Predrag Matvejevic. Col sistema elettorale attuale, i vertici dei partiti – tutti quanti – dispongono dell´intero potere di definire chi formerà la rispettiva corte in Parlamento. Non è poca cosa per loro e questo spiega il fatto che, a suo tempo, quando fu approvato, non ci sia stata una reazione adeguata. Il potere si è capovolto e cominciamo ad accorgercene. E ci accorgiamo di quanto ciò finisca per alimentare sentimenti, risentimenti e atteggiamenti anti-politici, da cui tutti, meno i demagoghi, hanno molto da perdere.
La ragione per non andare più a votare con questa legge elettorale non si riduce alla pur rilevantissima stortura ch´essa comporta: il fatto cioè che deputati e senatori siano nominati dall´alto, senza alcuna possibilità d´influenza degli elettori, altro che nel distribuire il numero di "posti" che spettano all´uno e all´altro partito, assegnati poi a questo o quello per beneplacito altrui. La posta è assai più grande: per i partiti è il dilemma tra l´apertura alla società o la chiusura; per i cittadini tra la politica e l´antipolitica, tra la partecipazione e l´esclusione politica, tra la fiducia nella democrazia e il risentimento contro la democrazia.
Quando parliamo di democrazia, però, non pensiamo solo a partiti, elezioni, parlamenti, governi, e cose di questo genere. In una parola, non pensiamo solo a forme e istituzioni politiche, cioè a tecniche di governo. Pensiamo anche a una sostanza della società.
Ora, la domanda da porre è se ci può essere democrazia come forma in una società non democratica.
La risposta è sì. Ci può essere. Ma che genere di democrazia? La democrazia come tecnica di governo, innestata su una realtà sociale non democratica, non fa che amplificarne e moltiplicarne i caratteri non democratici o antidemocratici, rappresentandoli, generalizzandoli e, per così dire, rendendoli obbligatori per tutti. Per esempio, noi non diremmo certo che una società a maggioranza razzista e xenofoba è democratica. Questa società può senz´altro governarsi in forme democratiche, cioè la maggioranza può imporre per legge la sua visione del mondo razzista e xenofoba. Questo ci dice che la democrazia, intesa solo come forma di reggimento politico, non è affatto più tranquillizzante di altre. Sotto certi aspetti, anzi, fa più paura, perché ha dalla sua la forza del numero. Questo spiega il fatto che la democrazia può essere, o diventare, odiosa al pari e forse più di altre forme politiche. Ciò accade quando alla forma (democratica) del potere corrisponde una sostanza non democratica della società.
Ma che cosa è una società non democratica? In breve: una società in cui esistono discriminazioni e disuguaglianze, tali che una parte, per così dire, viva bene sopra un´altra che vive male e questa differenza alimenta odio e violenza. Usciamo dal generico: è una società dove qualcuno possa dire: "questa è casa mia" e tu sei un intruso ch´io posso escludere e respingere a mio piacimento; dove, se non ti "integri", cioè non ti rendi irriconoscibile nella tua identità, non hai diritto di cittadinanza; dove la povertà e il disagio sociale sono abbandonati a se stessi, nella solitudine; dove il lavoro non è considerato un diritto, ma solo un fattore dell´impresa subordinato alla sua logica e dove i disoccupati e i precari sono solo un accidente fastidioso di un "sistema" e non un problema per tutti; dove l´istruzione e la cultura sono riservati ai figli di coloro che possono; dove la salute è il privilegio di chi può permettersi d´affrontare le spese che la sua cura comporta. Noi avvertiamo queste discriminazioni in modo sempre più acuto. La povertà, l´insicurezza e la solitudine aumentano, anche se spesso hanno vergogna di mostrarsi, come bene sanno coloro che operano nei servizi sociali, pubblici e privati. Il divario tra chi può curare la propria formazione culturale e chi non può aumenta, e spesso si manifesta in questa forma odiosa e umiliante per il nostro Paese: chi può manda i suoi figli fuori dell´Italia. La disuguaglianza giunge a segnare i corpi, divide quelli bene curati e quelli degradati: addirittura lo stato dei denti è diventato, anzi ri-diventato qual era un tempo, segno di condizione sociale.
E noi vorremmo che tutto ciò non ingeneri inimicizia sociale? Sarebbe ingenuo sperarlo. E vorremmo che chi sta dall´altra parte della società, quella che dal basso guarda a quella che sta in alto, non nutra diffidenza, per non dire di più, verso una democrazia che accetta questa loro condizione? Una condizione che non giustifica certo, ma spiega il carattere violento dei rapporti anche quotidiani tra le persone, di chi si sente più forte sul più debole e del debole come reazione al forte, nelle infinte situazioni in cui quel divario può essere fatto valere, nelle famiglie, nella strada, nelle scuole, nelle fabbriche, nei rapporti tra uomo e donna, tra "normale" e "diverso", eccetera. È all´opera l´incultura della sopraffazione che è l´esatto opposto dell´ethos necessario alla democrazia.
Qui, nella denuncia della mentalità dilagante, nella difesa e promozione di una cultura della convivenza e nell´azione per contrastare l´incultura della violenza, c´è un compito che ci riguarda tutti, in quanto questa società non ci piaccia affatto. Ci riguarda come cittadini cui la democrazia sta a cuore come un bene cui non vogliamo rinunciare. Ma riguarda anche i cittadini che militano in partiti politici che hanno la parola democrazia nelle proprie ragioni fondative o addirittura nel proprio simbolo. Ecco un´altra buona ragione per abbandonare l´idea che la politica si faccia principalmente nelle stanze dei palazzi del potere o negli uffici delle burocrazie di partito, che il buon politico sia quello esperto di "scenari", alchimie, tattiche e strategie. Tutto questo è importante, ma non basta. Siccome non basta, abbiamo il dovere di chiederci: dove siamo quando nel nostro Paese si avvelenano i rapporti tra le persone, nelle tragedie dell´immigrazione come in quelle delle famiglie di senza-lavoro e nei drammi del lavoro senza sicurezza; nelle proteste per una scuola che affonda come nella tragedia di chi è colpito dalla forza scatenata della natura: nei nostri uffici o tra chi ha bisogno di solidarietà? Ecco perché è necessario stringere i rapporti tra partiti e società, abbandonare l´idea e le pratiche che fanno pensare che gli uni possano fare a meno dell´altra, e viceversa.
GUSTAVO ZAGREBELSKY
giovedì 16 settembre 2010
Ecco come stanno svuotando la Costituzione
Ecco come stanno svuotando la Costituzione
16 settembre 2010 - Nessun Commento »
Marco Travaglio
LA PRIMA DOMANDA che viene da fare a un ex presidente della Corte costituzionale che si ostina a difendere la Costituzione è: qual è lo stato di salute della Carta oggi? L’impressione è che molti temano che la Costituzione venga cambiata, sconvolta, modificata, ma che il peggio sia già avvenuto, che la Costituzione sia già stata cambiata senza nemmeno toccarla, svuotata dall’interno lasciando soltanto la corteccia. Infatti si dà per scontato che, su quella scritta, prevalga una non meglio precisata “Costituzione materiale”…Questo discorso che fai sulla Costituzione si potrebbe fare sulla democrazia più in generale. Costituzione e democrazia sono degli involucri, bisogna vedere cosa c’èdentro:èpiùimportantequellochec’èfuorioquello che c’è dentro? Questa è una domanda che ti farei socraticamente. Volendo usare un’altra immagine: sono più importanti le regole formali o gli uomini che fanno funzionare le regole? È una domanda antica: sono più importanti le istituzioni o la qualità degli uomini? Normalmente si dice: le istituzioni sono molto importanti, ma non c’è nessuna buona istituzione o Costituzione che può dare dei buoni risultati, se è in mano a un personale politico di infimo livello. Viceversa una mediocre Costituzione può dare luogo a risultati accettabili se è manipolata, usata da un personale politico a sua volta eticamente accettabile. Dico eticamente perché bisogna avere il coraggio di ripristinare alcune categorie, alcune parole: quando si dice “eticamente” a proposito della politica, non si fa del moralismo, si indica semplicemente la necessità che coloro che occupano posizioni pubbliche siano consapevoli e coerenti con l’ethos che quella funzione comporta. In generale, la Costituzione stabilisce, prevede, auspica che coloro che occupano posizioni pubbliche adempiano alle relative funzioni “con disciplina e onore”: che parole desuete, sembrano quasi delle prese in giro…
È l’articolo 54, ma nessuno lo conosce.
Infatti, in tanti anni di esami all’università, credo di nonaverlomaiindicatocomeoggettodiunapossibile domanda. Onore e disciplina: purtroppo sono quelle norme che non hanno sanzione, che indicano addiritturailpresuppostodiunadecentevitapubblicaprima di tutto, prima ancora che democratica. Quindi, tornando a noi, allo stato di salute della Costituzione: dal punto di vista formale, la nostra Costituzione dimostra di essere fortissima, sono più di 30 anni che ci si arrabatta per modificarla nelle parti essenziali, senzachenessunosiamairiuscitoastravolgerladalpunto di vista formale. Ma dal punto di vista sostanziale naturalmente le cose stanno diversamente. Per cui sono dell’idea che oggi non si tratti tanto di difendere la Costituzione, ma di ripristinarla: è un compito molto più impegnativo perché oggi il 90 per cento delle nostreforzepoliticheinParlamentovoglionocambiarla. Perònonbastavolerlacambiare:bisognerebbeessere d’accordo sul come cambiarla, e lì si crea il blocco. Questo le dà una grande forza: la Costituzione come documento formale è importante che resti, perché è pur sempre un punto di riferimento ideale, in base al quale si possono condurre determinate battaglie civili. Ma l’oggetto delle battaglie non è il testo costituzionale, ma la realtà costituzionale, l’ethos, i princìpi che la Costituzione indica. Il punto principale è la concezione della democrazia. Si è realizzata, nei fatti, una trasformazione che definirei proprio un rovesciamento della concezione della democrazia. Prendiamo la legge elettorale come sintomo: essa è l’espressione più evidente del rovesciamento del principio di sovranità. La sovranità in una democraziacomportaprimadi tutto che i rappresentati eleggano i propri rappresentanti . Ma, con la legge elettorale attuale, per i motivi che tutti conosciamo, i capi-partito nominano i lororappresentanti.Eilcorpoelettoraleèlìafareche? A distribuire le quote dell’azionariato politico dei vertici dei partiti.
Forse un punto debole della Costituzione, o almeno di chi dovrebbe garantirne i principi fondamentali, è che assistiamo continuamente alla coesistenza di una Costituzione che dice una cosa e di leggi che dicono esattamente il contrario, consentendo una serie di prassi che sono totalmente antitetiche rispetto a quello che prevede la Costituzione. Allora una persona semplice si domanda: ma com’è possibile che non sia intervenuto nessuno a bloccare o a cancellare o a fulminareunaleggeelettoralecosìpalesementeincostituzionale? Manca qualche valvola di salvaguardia, nel sistema costituzionale?
Qui si entra in una discussione molto tecnica. Che questa legge sia palesemente incostituzionale non saprei dirlo: qual è la norma che viene violata? Bisognerebbe tenere distinto il giudizio di costituzionalità freddo, scientifico, giuridico. Dunque qual è la norma che viene violata dall’attuale legge elettorale? Sono decenni che si dice, per esempio, che le preferenze sono una cosa negativa, perché quando c’erano le preferenze plurime si facevano “cordate” molto permeabili agli interessi mafiosi. Poi si è passati alla preferenza unica, che però ha scatenato la lotta di tutti contro tutti: l’elezione è diventata molto costosa e questo ha favorito in linea di principio i gruppi di potere che disponevano di risorse economiche. Dunque l’abolizione delle preferenze e il premio di maggioranza non appaiono incostituzionali, anche perché l’abolizione delle preferenze non esclude che i partiti democraticamente si aprano alla società civile con qualche meccanismo che dia voce ai cittadini-elettori facendoli sentire padroni del meccanismo e non semplicemente clienti che vanno a votare su opzioni già prese da altri. Invece non è stato così, e questo rovesciamento dei rapporti fra cittadino ed eletto ha fatto scadere la qualità della nostra rappresentanza: quando sono i vertici che scelgono i propri rappresentanti, privilegeranno gente di fiducia, uomini e donne di fatica. E questo con la democrazia non ha molto a che vedere.
I candidati vengono cooptati in base al servilismo e alla fedeltà…
Quindi poi, nell’equilibrio tra i poteri costituzionali, il Parlamento oggi fa la figura non dico neanche dell’incomodo, ma del superfluo. Tant’è vero qualcuno ha detto: non aboliamolo tout court, ma…
…facciamo votare soltanto i capigruppo.
I capigruppo in proporzione al peso elettorale… Poi di fatto il Parlamento viene emarginato con i voti di fiducia…
Nessuno se lo ricorda più, ma il Parlamento dovrebbe essere il primo organo di controllo del governo: abbiamo perso proprio l’essenza del Parlamento, considerato ormai come un luogo dove si mette il timbro su decisioni prese altrove. Che poi sono perlopiù leggi per sistemare problemi personali o di poche combriccole…
Abbiamo tutti, o molti, certamente noi due, la sensazione che questa legge elettorale sia uno stravolgimento dei principi della democrazia. Ma non è facile individuare la norma specifica che viene violata. È tutta una concezione che viene messa in crisi. Lo stesso vale per le leggi ad personam: sono tutte formulate in termini generali. Se si fa uno scudo penale per l’attuale presidente del Consiglio, si fa una legge che riguarda il presidente del Consiglio, cioè la carica e non la persona. Se si fa il “processo breve”, si dice che è nell’interesse della generalità dei cittadini avere processi brevi (anche se poi “processo breve” èuneufemismo:questoèilprocessomorto…).Tutte queste leggi – e non potrebbe essere diversamente – si presentano formalmente in termini generali, perché è chiaro che, se si facesse una legge che esplicitamente si riferisce a Tizio o Caio, con il nome e il cognome, non avrebbe alcuna possibilità di passare… Sarebbe uno sconcio tale che gli organi di controllo interverrebbero. Tutti sanno che certe leggi si fanno per Tizio o Caio, il nome c’è eccome: la sostanza è individuale, particolare, ma la forma è generale. E come fa la Corte costituzionale a bocciarle? Il fatto che ci siano delle leggi che noi tutti consideriamo prodotte da una mentalità malata ma che non violano specificamente una norma costituzionale precisa, non vuol dire affatto che queste leggi vadano bene: vuol dire che violano addirittura i presupposti, quei principi che sono così fondamentali che non c’è neanche bisogno di esplicitarli.
Seavesseroprevistoquestaclassepolitica,forse i Costituenti avrebbero aggiunto qualche premessa alla Costituzione…
Le difficoltà della nostra democrazia e della nostra Costituzione, secondo me, si radicano su un terreno primordiale. Poi ci sono questioni che dovrebbero essereaffrontateconglistrumentidell’eticapolitica, della diffusione di una cultura politica. La vita costituzionale ha bisogno di questo humus. Infatti questo nostro incontro s’intitola “La guardia è stanca”…
La “guardia stanca”, se non erro, è il popolo russo che protesta con Lenin perché la rivoluzione tarda a partire. Oggi forse possiamo leggere questo motto come la stanchezza di una parte della società civile nei confronti delle vergogne che ci vengono ogni giorno rovesciate addosso. Ma la guardia stanca potrebbe anche essere la metafora di tutti quegli organi di controllo che dovrebbero montare la guardia per controllare il potere, ma in questi anni sono stati fiaccati, perforati, neutralizzati, o magari semplicemente si sono stancati e non esercitano più il loro dovere di vigilanza…
Sì, potrebbe anche essere. In che senso si è stanchi? Si è stanchi di aspettare e quindi è una stanchezza che prelude a un’azione, a un rinnovamento? Oppure la guardia è stanca perché è esausta? Credo che il nostro Paese si trovi un po’ su questo crinale: in certi momenti o in certi ambienti si può cogliere una stanchezza che vorrebbe anche trovare le forme di aggregazione per reagire, ma dall’altra parte c’è la stanchezza intesa come esaurimento, come rinuncia, come pessimismo. C’è un punto su cui credo che le forze politiche dovrebbero fare una riflessione: quelle che, almeno a parole, dichiarano che la situazione attuale non corrisponde alle loro aspirazioni, cioè l’opposizione. L’Italia è l’unico Paese in cui le forze di governo perdono consensi e le forze di opposizionenonliguadagnano:questodiconoisondaggi. Non ti pare che questo sia un sintomo di stanchezza, purtroppo nel secondo senso? La gente che non si riconosce più nelle forze di maggioranza non trova un approdo in altre formazioni, in altri schieramenti, questo forse è il segno dello scoramento, che sfocia nell’astensione. Io credo che sia vero che molti elettori votano per le forze di opposizione perché la maggioranza è questa. Il giorno in cui non ci fosse più questa maggioranza con questi capi, anzi con questo capo riconosciuto, non sarebbe un grande risultato per l’opposizione.
Forse è per questo che da anni il grosso dell’opposizione sostiene così amorevolmente il presidente del Consiglio: se non ci fosse più lui, nessuno li voterebbe più.
Conosciamo tanta gente che dice: questa è l’ultima volta che vado a votare. Poi ci va ancora, per cercare di evitare o limitare il peggio. Ma il giorno in cui non ci fosse più quel peggio lì, sarebbe un tracollo anche per l’opposizione. Quindi ci troviamo in questa situazione paradossale: la sconfitta della maggioranza non si trasforma in vittoria dell’opposizione. Invece ogni democrazia ben funzionante si regge su questa legge: se perde la maggioranza, vince l’opposizione. Quando questa legge viene smentita dai fatti è a rischio la democrazia, perché subentra il distacco dei cittadini. Quindi non sarei tanto soddisfatto, se fossi un politico dell’opposizione, dinanzi al declino di consensi della maggioranza, perché mi domanderei: dove vanno questi voti? E se non vanno all’opposizione, c’è da fare una riflessione molto profonda.
LA TELEVISIONE UNICA del Padrone Unico ha imposto al Paese una serie di parole e di slogan malati: per esempio, quello secondo cui “le riforme sono buone purché condivise”. Non ho mai capito per quale motivo una riforma dovrebbe essere buona solo se la condividono in tanti: se è una porcheria ed è condivisa da tanti, peggio mi sento; una porcheria rimane una porcheria anche se la votano tutti; eppure ci viene ogni giorno spiegato che, se le riforme sono condivise da tanti o da tutti, allora vanno bene a prescindere. Tra le riforme che siamo quasi obbligati a condividere, per esempio, c’è quella del federalismo fiscale che nessuno sa esattamente cosa sia: qualcuno lo intende come un’anticamera del separatismo, altri come la panacea che dovrebbe liberarci dalla burocrazia. Ma è ancora possibile dire “io sono contro il federalismo” o si rischia di bestemmiare in chiesa?
Tu vorresti una risposta secca, ma hai posto due domande e due problemi: la corruzione delle parole e la questione del federalismo. Primo: come cittadini politicamente responsabili che non godiamo nel vedere la situazione stupefacente che si è creata, ma avvertiamo l’obbligo di fare qualcosa per migliorarla, per bonificarla,sappiamocheunodeipuntiprincipalidel degrado italiano è la corruzione delle parole. Per esempio, c’è un’espressione che è largamente utilizzata dagli uomini di governo, ma anche dell’opposizione: “Non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani”. Pare sempre una trovata brillante. A parte la veridicità o meno del contenuto, questa espressione ha avuto un grande successo, purtroppo, a destra come a sinistra. Ora, io la trovo di una volgarità senza pari, perché sottintende – questo è il messaggio subliminale – l’idea che uno Stato che chiede ai cittadini di partecipare alle spese pubbliche sia un ladro sempre e comunque. Quindi, se lo Stato è ladro, ben si giustifica l’evasione fiscale. E il cerchio si chiude. Mettere le mani in tasca? Ma in un paese civile tutti i cittadini dovrebbero essere chiamati responsabilmente a far fronte, secondo criteri di giustizia, alle esigenze della collettività. La Costituzione prevede sistemi fiscali progressivi: nessuno se ne ricorda più, ma “imposte progressive” vuole dire che chi più ha più deve contribuire rispetto a chi meno ha. Applichiamo questosempliceschemamentaleallamanovrafinanziaria in corso, e ci accorgiamo che dovrebbe portare a porre dei problemi che nessuno osa porre: l’imposta patrimonialesullegrandifortune,latassazionedellespeculazioni finanziarie…
Anziché ai ladri, questa manovra mette le mani in tasca alle guardie: poliziotti, magistrati e cittadini onesti…
Purtroppo dobbiamo pensare a ricostruire la nostra convivenzasullabasediparolenonmalate,perchéla corruzione di ogni regime politico è accompagnata dalla corruzione delle parole. C’è un libro interessantissimo pubblicato da Mondadori qualche anno fa e da poco ripubblicato in versione più ampia: l’autore è Victor Klemperer, un filologo ebreo tedesco, maritodiunadonnaariana(usoquestecategorieche non ci sono proprie), che ha seguito la trasformazione della lingua sotto il Terzo Reich. Uno studio interessantissimo su come si avvelenano gli animi modificando il senso delle parole o inventandone di parole. Ora è uscito da Giuntina un seguito: LTI. La lingua del Terzo Reich. Bisognerebbe leggerlo, per capire il veleno che le parole possono contenere. Tu ora dicevi “riforme condivise”. È uno slogan che presenta un aspetto malato: se siamo tutti d’accordo, questa sarebbe la riprova che la cosa che stiamo facendo è buona. Ma in una democrazia liberale il non essered’accordoèilfattopositivo,perchéildissenso crea il distacco e dà lo spessore del problema. Nella democrazia liberale l’unanimismo, l’essere tutti insieme e tutti d’accordo, non è un valore, anzi. Però in questaformulac’èancheundatopositivochenonva sottovalutato: le riforme costituzionali devono essere condivise perché non possono essere imposte nell’interesse di una sola parte, altrimenti l’esito terminale sarebbe una Costituzione ad personam.
E ognuno se la cambia a suo uso e consumo a ogni mutare di maggioranza.
Come in certi regimi sudamericani, in cui le forze politiche (per esempio, certi colonnelli) si presentano alle elezioni con la loro Costituzione al punto numero 1 del programma. Il nostro concetto di Costituzione, radicato nei secoli, è invece quello di un testo, un documento di princìpi stabili, più stabili della politica. Perché è la politica che deve sottostare alla Costituzione e la Costituzione non può mai diventareunostrumentodellapolitica.Daquestopunto di vista, vedrei nella formula “riforme costituzionali condivise” un aspetto positivo, questo; e non l’altro, quello secondo cui dobbiamo per forza essere tutti d’accordo. Anche perché poi questo discorso sulle riforme condivise si inserisce in un contesto in cui si dice: le riforme si devono fare, “res publica reformanda est”, e chi è contro certe riformeèunpazzo,unirresponsabile, un passatista. Secondo me, bisognerebbe riuscire a dire laicamente che le riforme, di per sé, non sono né bene né male. Bisogna vedere cosa ci si mette dentro.
Vista l’esperienza degli ultimi anni…
Vista l’esperienza… se uno volesse fare un po’ di qualunquismo potrebbe anche dire: una classe politica così degradata che cosa può produrre di buono? Sarà un discorso qualunquistico, ma evangelicamente l’albero si riconosce dai frutti, quindi… Veniamo al tema del federalismo: anche qui direi che viviamo in un clima di pensiero unico. Chi oggi osa proclamarsi non-federalista? Dico “proclamarsi” perché sappiamo benissimo che le perplessità o i dubbi in materia sono molto diffusi, ma c’è questa cappa ideologica per cui essere contro il federalismo non è à la page… Questi discorsi sul federalismo, secondo me, hanno qualcosa di fondato rispetto ai problemi che abbiamo: ormai la dimensione delle questioni politiche non coincide più con la dimensione degli Stati nazionali,quindiilfederalismodovrebbeservireacreare dimensioni sopranazionali. Invece, detto per inciso,ilfederalismodicuisiparlainItaliaèrovesciato: nonsitrattadicreareunitàpolitichepiùampie,madi spezzare o ridurre o limitare l’unità politica nazionale verso il basso. Dall’altra parte, si dice, ci sono esigenze di avvicinamento e di sburocratizzazione.
Quali sono le tue perplessità sul federalismo?
Mentre l’esigenza di un federalismo che si rivolge a una dimensione sopranazionale la vedo chiara (anche semisembrachepurtroppol’Italiaingeneralenonsia particolarmente attiva nel creare forme di solidarietà sopranazionali,europee,manonsoloeuropee,anzila nostra vita politica mi pare molto provinciale), non riesco a condividere chi auspica il federalismo verso il basso. Non come dice il motto costituzionale americano ex pluribus unum, per un processo verso l’alto finalizzato a creare unità politica, ma al contrario ex uno plures. Ecco: dove ci porterà questo plures non lo sappiamo.Temochepossaessereunprimopassoverso una divisione del nostro Paese.
La balcanizzazione dell’Italia.
La balcanizzazione. L’idea che muove il federalismo all’italiana è che le regioni del Sud sono sottosviluppate e inquinate dalla criminalità (come se quelle del Nord non lo fossero…) e dunque devono essere sottoposte a una scossa, per responsabilizzarne le classi dirigenti liberandole dalla tutela dello Stato centrale e costringendole a guarire da sole le proprie magagne e a risolvere da sole i loro problemi. E se non li risolvono? Quali motivi abbiamo per sperare che le regioni del Sud, lasciate da sole, siano in grado per esempio di combattere il malaffare, la criminalità organizzata, meglio di quanto non riesca a fare lo Stato centrale?
Infatti personalmente non solo sono anti-federalista, ma comincio a provare una certa nostalgia dei prefetti, possibilmente tedeschi.
Adesso non esageriamo. Tra le ragioni che oggi muovono il pensiero federalista in Italia, ce ne sono di apprezzabili: chi di noi non vorrebbe una maggiore vicinanza delle classi dirigenti ai bisogni delle popolazioni? Chi non vorrebbe una burocrazia pubblica più limitata? Chi non vorrebbe – anzi, mi viene freudianamente da dire: chi vorrebbe – classi politiche più oneste? Tutto questo fa certo parte delle nostre speranze.Machelarispostasiailfederalismo,questo non mi è chiaro: vedo un salto tra le speranze, i bisogni e la risposta. Invece vedo chiaro il pericolo: il giornoincuisidovesseconstatarecheilfederalismo, invece di promuovere quel movimento virtuoso di rinnovamento delle regioni più povere, più arretrate anche dal punto di vista della cultura politica, provocasse l’effetto contrario, a quel punto le pulsioni secessionistiche aumenterebbero.
Un magistrato siciliano, Roberto Scarpinato, nel libro-intervista a Saverio Lodato Il ritorno del principe, sostiene che la nostra Costituzione è nata in unperiodoeccezionale,perchéinItalialecosebuone si fanno soltanto nei periodi eccezionali, quando la figura del Principe è molto indebolita e quindi è in questi intervalli della storia – il Risorgimento, la Resistenza,laCostituente,Manipulite–chepiccoleélite illuminate riescono a prendere il sopravvento e a imporre a un Paese che non le vuole soluzioni più avanzatedellaculturamedianazionale.Quindilanostra Costituzione fu una camicia di forza calata dall’alto sulle culture autoritarie che dominano da sempre nelle classi dirigenti italiane, infatti, non appenatornòilPrincipe,cominciòapicconarneivalori fondanti. Non a caso, da 15 anni, il centrodestra e il centrosinistra, al di là di quello che dicono di volta in voltasecondoleconvenienzedelmomento,sonoentrambi allergici alla Costituzione. A cominciare dall’articolo 3 sull’eguaglianza, dall’articolo 11 sulla guerra, dall’articolo 21 sulla libertà di espressione, per non parlare dell’indipendenza della Magistratura. Sono 15 anni che partiti di destra e sinistra tentanodicambiarelaCostituzioneperattribuiremaggiori poteri alla politica e smontare gli organi di controllo. Forse quella di Scarpinato è una tesi un po’ estrema, ma dal craxismo alla Bicamerale al berlusconismo, abbiamo visto avvicendarsi al governo un po’ tutti i partiti, e nessuno ha preso in mano la bandiera della difesa della Costituzione. Poi però, nel 2006, quando siamo andati a votare nel referendum confermativo sulla “devolution”, abbiamo scoperto che i cittadini apprezzano la Costituzione molto più delle loro classi dirigenti, a riprova del fatto che queste sono un po’ peggio della società che le esprime.
Peggio o meglio, a me sembra abbastanza fisiologico che le classi dirigenti abbiano un atteggiamento, un rapporto diinsofferenzaconlaCostituzione,perchélecostituzioni sonostatescritteepensateperlimitarel’onnipotenzadel politico e della politica. Le costituzioni della tradizione liberale sono costituzioni dei cittadini, non delle classi politiche. Quella di Scarpinato è un’interpretazione un po’ élitista, ma c’è una buona dose di verità dove si dice che la politica l’hanno sempre fatta le élite. Però la democrazia non è oligarchia, e neanche oligarchia illuminata:lademocraziaviveinquantoleregolecostituzionali sono interiorizzate dai cittadini. L’esempio che facevi del referendum del 2006 è sotto certi aspetti consolante. Ma di lì bisognerebbe partire per dire che la difesa della democrazia e della Costituzione è un compito che devono assumersiicittadini.Possiamoconcludereconunaverità lapalissiana: la democrazia è il regime dei cittadini, dunque la difesa della democrazia è in mano ai cittadini. Non possiamofaredistinzionitracittadinieforzepolitiche.Un sistema ben funzionante è quello in cui le forze politiche interpretano effettivamente le istanze dei cittadini in rapporto continuo di rappresentanza vera e vitale. Ma, nei momenti di crisi come quello che viviamo, questo rapportoviveunafrattura.Ealloraquestoèilmomentoincui la“guardiastanca”,cioèicittadini,devedarsiunamossae ritrovare le ragioni del proprio impegno politico.
E dare vita al partito della Costituzione.
Sì, anche se “partito della Costituzione” è quasi una contraddizione, perché la Costituzione dovrebbe essere di tutti i cittadini, non di un partito. Diciamo che deve nascere un’opinione pubblica costituzionale.
mercoledì 15 settembre 2010
domenica 12 settembre 2010
- UN PROGETTO PER CAMBIARE L’ITALIA -
IL NOSTRO PROGETTO HA COME RIFERIMENTO LA COSTITUZIONE ITALIANA NATA DALLA RESISTENZA, BALUARDO DI DEMOCRAZIA, CHE SI ASSUME QUALE VALORE FONDANTE PER UNA NUOVA SINISTRA UNITA!
IL PROGETTO : A cosa tende e perché nasce ora
Il nostro gruppo è formato da persone accomunate dalla volontà di fornire all’arcipelago delle forze progressiste della sinistra italiana, una base sulla quale dialogare per giungere ad una ricomposizione di TUTTA la SINISTRA. Siamo cittadine/i stanchi di vedere il paese andare sempre più alla deriva. Da qui l’idea di mettere insieme alcune proposte da sottoporre ad un più vasto numero di persone e a tutti coloro che vogliono soprattutto risollevare il paese.
Desideriamo vivere in una società SOLIDALE ed EQUA, in grado di garantire GIUSTIZIA MATERIALE, LEGALE E SOCIALE in un quadro di piena LIBERTA’, dove il SAPERE, CULTURA, la LAICITA’ dello Stato consentano l’ INTEGRAZIONE di più POPOLI e culture ed in cui la tutela dell’ AMBIENTE, la promozione del LAVORO e lo SVILUPPO SOSTENIBILE siano alla base di ogni progetto e di ogni scelta.
Per poter sperare concretamente in un cambiamento, occorre uscire dalla situazione di stallo in cui si trova oggi la sinistra italiana, per far questo È NECESSARIO PUNTARE SUI CONTENUTI
--- CAMBIARE SI PUO’ ---
La società odierna è molto cambiata, lasciando irrisolti vecchi problemi, aprendone altri, dall’Economia al Lavoro, che la globalizzazione ha accentuato, alla Tutela Ambientale e le istanze dell’ Istruzione, della Ricerca e di una Giustizia più efficiente e meno politicizzata. A questo si aggiunge il fenomeno di una massiccia Immigrazione.
- L’ AMBIENTE.
Il consumismo spinto del secolo scorso, aiutato anche dalla pubblicità dei media, ha portato un eccessivo consumo di materie prime, e quindi non rinnovabili. La terra è un “Unicum” e per proseguire a produrre con il trend di ora ci vorrebbero sette Terre come la nostra (lo dicono gli scienziati). Ma ciò che è peggio è che tutto questo produrre e consumare ha portato ad un inquinamento pazzesco.
Si e’ inquinato e si inquina senza limiti, con il paradosso che chi ha inquinato, ora disinquina speculandoci sopra.
Questo significa che non c’è rispetto per le future generazioni.
Da ciò la necessità di uno SVILUPPO ECO-SOSTENIBILE.
- NOI PROPONIAMO
a) di investire nella RICERCA sulle BIOTECNOLOGIE; nella ricerca di FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI e sul RISPARMIO ENERGETICO.
Ed inoltre:
b) Sostegno e incentivazione ai privati che adottano il fotovoltaico o altri sistemi per un risparmio energetico;
c) Sostenere la ricerca delle case automobilistiche per produrre auto a basso consumo energetico con motori elettrici o alimentati con sostanze non inquinanti, oggi osteggiate dalle case petrolifere;
d) Investimenti nell’area del trasporto pubblico e di massa;
e) Severi controlli sui prodotti adottati in agricoltura ;
f) Controlli MONITORANDO tutto il territorio italiano contro i dissesti idrogeologici REALI e preventivi con azioni che evitino il ripetersi di frane, smottamenti allagamenti come è avvenuto a Messina e Sarno, ecc. ;
g) Rilancio dell’agricoltura collinare con incentivazioni per neo-coloni ecc. a salvaguardia dei luoghi ;
h) Investimenti ed incentivazione per una bio - agricoltura di qualità, su un mercato produttivo capace di collegarsi al tessuto del sapere d’eccellenza;
i) Rilancio dell'agricoltura senza OGM e dell'allevamento sulla base della tradizione italiana;
l) Controlli effettivi sulla FILIERA del RIFIUTO, Dalla raccolta DIFFERENZIATA, al RICICLAGGIO per un recupero di materie prime, fino alle discariche. Un controllo severo deve essere fatto per lo smaltimento di sostanze nocive. Per tutto questo è da introdurre il REATO : DELITTO AMBIENTALE, per il quale devono essere date CONDANNE esemplari, che prevedano, a spese del condannato, la BONIFICA del LUOGO/I interessati all’ inquinamento e al pagamento dei danni, eventuali subiti dai proprietari dei terreni interessati e limitrofi;
m) Piani Regolatori, che pongano come priorità la VIVIBILITA’, la QUALITA’ della VITA e che riducano l’impatto da INQUINAMENTO causato dalla Mobilità quotidiana;
n) Incentivazione della BIO – EDILIZIA;
o) Controllo con un continuo MONITIRAGGIO del territorio, nel rispetto di un piano nazionale,INDISPENSABILE, di prevenzione contro i disastri IDROGEOLOGICI, con interventi di INGEGNERIA NATURALISTICA. Questo oltre che restituire sicurezza alle popolazioni offre nuove opportunità di lavoro.
- A TUTELA DELLA SALUTE OLTRE CHE DELL’AMBIENTE DICIAMO:
NO !alla costruzione di Inceneritori che non diano garanzie per la salute dei cittadini.
Consapevoli che sulla MATERIA RIFIUTI non ci debbano essere POSIZIONI PREGIUDIZIALI ne per il SI! e ne per il NO!,bensì il meglio che al momento c'è scientificamente testato e meglio ancora se sperimentato. Una CONDIZIONE c’ è , andrebbe prodotta e osservata, una POLITICA NAZIONALE, meglio su scala Europea, che accompagni un PROGETTO verso il RIFIUTO ZERO. Un’ esempio è la fiorente impresa di cernita e riciclo di Vedelago)
Si tratterebbe di VERIFICARNE LA VALIDITA’.
P NO ! a impianti di rigassificatori , se questi non sono SICURI, se collocati in PAESAGGI di RILEVANZA TURISTICA o AMBIENTALE.
P NO ! a nuove centrali nucleari, che comportano spese enormi, e non danno garanzie sufficienti, neppure quelle di 4° generazione, non c’è ancora un modo sicuro per lo smaltimento delle scorie radioattive che si prevede in alcuni secoli. inoltre, si pone l’ ESAURIMENTO dell’ Uranio nell’ arco di 50/60anni. A fronte di questo crediamo nell’ USO dell’ ENERGIA SOLARE, sempre presente, a costo ZERO e da non riciclare. L’ uso dei pannelli solari al SILICIO, se ottenuti su larga scala, sono economicamente vantaggiosi .Il silicio è facilmente riciclabile e di facile reperibilità. Tutto questo ingenera la nascita di Ditte specializzate sul territorio nazionale,nuove professioni, quindi ricchezza e OCCUPAZIONE;
P
P SI al controllo minuzioso e severissimo dello smaltimento di residui pericolosi da parte di qualunque azienda, pena il carcere e multe elevatissime.
P
P SI ad una LEGGE QUADRO, che imponga alle imprese di ridurre gli imballaggi e l’ utilizzo per questi di materie facilmente riproducibili in natura, eco smaltibili o riciclabili in accordo che le imprese dello smaltimento e del riciclo.
P
P Fino a quando il nostro paese non sarà in grado di riprendere una valida POLITICA INDUSTRIALE manifatturiera omogeneamente diffusa, organizzata, sicuramente ecosostenibile e di nessun rischio per la salute dei cittadini, la vocazione turistica, oltre che il patrimonio artistico del pianeta, costituisce per il nostro paese una fondamentale risorsa. L'ambiente sarà posto al primo posto del nostro operato. nessuna azione che lo possa mettere a rischio dovrà essere evitata.
A questo fine sarà necessario proporre un turismo rispettoso delle nostre peculiarità e come tale non potrà, nè dovrà recare alcun danno all'ambiente circostante.
RILEVANTE il binomio CIBO-TERRITORIO, che comprende: Cultura, Ambiente, Salute, Storia, Turismo, Commercio, Sviluppo.
P DELLA SALUTE:
Nostro riferimento esemplificativo di quanto proponiamo, è uno studio fatto in Toscana dal gruppo di lavoro REGIONALE “ SOCIETA’ della SALUTE “ dal quale è emerso che una buona qualità della vita riduce di un 65/70% il costo sanitario per ricovero ospedaliero. Da qui la necessità di elaborare piani Regolatori che prevedano un utilizzo tendenzialmente a ZERO del territorio da destinare ad aree edificabili e che mirino al RECUPERO dell’ ESISTENTE per riportare nelle città le attività artigianali, commerciali facendole rivivere, riqualificando le periferie, con l’ individuazione di aree da destinarsi a parco pubblico, con dei piani che limitino i problemi legati alla mobilità per chi ci abita, per recarsi al lavoro quotidianamente, mediante incentivazione di mezzi pubblici ed infrastrutture di collegamento volte alla riduzione dell’ inquinamento atmosferico (Smog), per un ambiente sano, per prodotti della terra sani, per la riduzione dei costi di trasferimento del singolo lavoratore, per una economia di tempo volta al miglioramento della vita del lavoratore, per la salvaguardia della salute , che ha come diretta conseguenza la riduzione del costo sanitario e una migliore qualità della vita.
GIUSTIZIA
La riforma della giustizia, che è una “funzione fondamentale dello Stato”, cioè uno dei poteri statuali che concorre a delineare l’architettura politico-costituzionale di un sistema, deve essere inserita nel progetto di costruzione di una nuova sinistra, che deve avere come obiettivo primario quello di offrire alla collettività un servizio pubblico, cui corrisponde una “domanda di giustizia” e una domanda di servizi il più possibile rapidi e di qualità.
Una riforma della giustizia che tenga sempre presente che l'idea di giustizia si fonda sul principio di uguaglianza garantito dalla nostra Costituzione
Partendo da questi presupposti, ci si deve porre il problema di cosa fare, in modo che i processi, soprattutto quelli civili, abbiano una durata ragionevole.
Per i processi penali va fatto un discorso a parte in quanto, si porre il problema di come affrontare la durata interminabile dei processi, servono GARANZIE migliori da offrire all’imputato.
Garanzie che non possono trasformarsi in impunità, come sta avvenendo in questo Paese!
I RIMEDI CHE PROPONIAMO
P Maggiori finanziamenti al Ministero della Giustizia (perché, senza budget, è inutile parlare di efficienza della macchina della giustizia) per puntare soprattutto nel campo dell’innovazione e dell’informatica giudiziaria ;
P Riduzione degli sprechi (es. con notifiche in via telematica dopo la prima) ---
P riqualificazione e formazione del personale e naturalmente completamento degli organici con assunzioni di giudici anche non togati e di personale tecnico e ausiliario.
P No! alla separazione delle carriere tra pm e giudici;
P Riorganizzazione dei circondari; su un’ampia riforma della Legge Pinto e della stessa professione forense;
P Ritocchi più penetranti alla riforma del processo civile italiano, poiché non bastano i nuovi termini di prescrizione e le preclusioni processuali (imputabili alla riforma c.p.c. del 2009), né può essere sufficiente l’intervento sul processo sommario di cognizione oppure sulle ADR.” Forse come dicono parecchi studiosi la vera parola chiave dovrebbe essere “finanziare” e non “riformare”.
P SI ! al processo civile telematico ;
P SI ! al contenimento del carico penale attraverso percorsi alternativi per tenuità o irrilevanza del fatto attraverso una soluzione non contenziosa e giurisdizionale della controversia, in questi casi la sanzione penale non avrebbe senso , solo costi in più, la sanzione penale non deve essere usata a fini di propaganda politica ;
P No ! all’aumento della penalizzazione (come il reato di immigrazione clandestinità) ;
P Misure alternative alla detenzione,il tutto nel rispetto del principio di legalità e quindi di obbligatorietà dell’azione penale;
Incompatibilità assoluta del Magistrato con qualsiasi altro tipo di incarico, quindi no a nomine nei collegi arbitrali e in commissioni tributarie ecc… ecc…;
P Uscita dalla Magistratura definitivamente quando il magistrato decide di candidarsi ed
assumere incarichi politici e divieto di DEROGA per autorizzazioni in tal senso da parte del
consiglio superiore della magistratura!!!
P Cancellazione di tutte le leggi vergogna fatte in questi ultimi anni e rivedere la legge
fallimentare, volute da Berlusconi;
P Rivedere la legge Mastella nella parte che riguarda la permanenza di otto anni dei magistrati nello stesso ufficio;
P Rivedere la legge che regola il reclutamento dei Magistrati, di GOT e Giudice di Pace.
Prevedendo un tirocinio come avvocato quale premessa per partecipare ad un concorso per essere immessi nel ruolo di magistrati e per assumere l’incarico di Got o di giudice di Pace; Modifica della legge che riguarda la nomina degli ausiliari del giudice.
Prevedendo un tirocinio come avvocato quale premessa per partecipare ad un concorso per essere immessi nel ruolo di magistrati e per assumere l’incarico di Got o di giudice di Pace; Modifica della legge che riguarda la nomina degli ausiliari del giudice.
P Leggi chiare che non lascino margini interpretativi, soppressione delle vecchie ed aggiornamento della legislazione risalente al secolo scorso.
P Estendere il sequestro dei beni anche per reati di corruzione e prevederne il riutilizzo sociale come per quelli provenienti dai sequestri alla criminalità organizzata.
P Le intercettazioni vanno regolate, ma vanno assolutamente riconosciute come strumento indispensabile per la Giustizia.
P Soppressione delle associazioni dei magistrati.
P SI ad una effettiva collaborazione con gli altri sistemi giudiziari europei costituendo nuove modalità di collaborazione ed incontri, favorendo una normativa comune.
P Un’ attenzione particolare va posta al processo del lavoro e alla giustizia del lavoro, impedendo, ogni tentativo di spostare la tutela dei diritti dei lavoratori dalla naturale sede giurisdizionale a quella privata (arbitrato) .
- CONFLITTO D’INTERESSE
Chi è proprietario di mezzi di informazione, sia direttamente che tramite di parenti stretti di mezzi d’informazione, di concessioni dello stato, di banche, di Imprese, di assicurazioni, di titoli azionari è assolutamente ineleggibile.
Questo per risolvere in maniera radicale il problema numero uno che affligge l’Italia!
- ECONOMIA
-- LIBERA IMPRESA.
Abbiamo un’imprenditoria non è all’altezza dei tempi, che vede la competitività solo con l’abbattimento del COSTO del LAVORO, con il precariato, DELOCALIZZANDO, togliendo diritti ai lavoratori.
La continua ricerca di INCENTIVI E FINANZIAMENTI PUBBLICI, va a scapito del SOCIALE, (pensioni, scuola sanità) ed assorbe risorse da utilizzare per i propri investimenti.
Una imprenditoria che non si pone il problema della modernizzazione dei processi produttivi e di investire parte dei profitti nella ricerca, per essere competitiva sul piano della QUALITA’ e fare profitto, e nella qualificazione dei propri dipendenti, non sa fare neppure il suo mestiere.
- NOI PROPONIAMO
Una libera impresa autonoma, da sostenersi sul piano COMMERCIALE NAZIONALE E INTERNAZIONALE nei rapporti con gli altri Paesi agevolandone gli scambi commerciali e culturali.
Che le imprese partecipino alla SPESA PUBBLICA dello Stato così come scritto nella nostra Costituzione.
Riduzione dei tempi della burocrazia per accelerare l’ apertura delle attività. L’ inizio d’ attività sia consentito su autocertificazione del richiedente, fermo restando la presentazione della documentazione necessaria entro 90 gg. In caso di dichiarazioni rilasciate in modo falso o mendace, non sanabili, deve comportare la denuncia automatica alle autorità competenti .
Nessun CONTRIBUTO assistenzialistico di nessuna natura e per nessun motivo, che non sia a scopo SOCIALE.
Formazione costante del personale con preciso riferimento soprattutto al settore terziario per uno sviluppo maggiore del nostro paese a vocazione turistica. Per questo necessita di un’offerta eccellente sotto il profilo dei servizi.
Incentivi alle iniziative private che scelgono di operare nel turismo (alberghiero, della ristorazione, dei servizi balneari, ecc) per questo proponiamo che una percentuale degli UTILI d’impresa siano destinati alla riqualificazione/aggiornamento dei lavoratori.
Salari proporzionati all’impegno richiesto al lavoratore.
- LAVORO.
L’attacco all’ art. 18, abbandonato dopo la grande manifestazione a Roma e il tentativo di modifica alla Legge 300/70 (Statuto dei Lavoratori) inserendo l’ ARBITRATO in materia di LAVORO, non riconoscendo la GIUSTA CAUSA, sono la prova dell’ attacco ai diritti dei lavoratori.
Da questo la necessità di salvaguardare e tutelare il lavoratore in caso di licenziamento se non per GIUSTA CAUSA.
Noi proponiamo:
Sostegno in tutte le ISTANZE a tutte le iniziative tese alla salvaguardia del posto di lavoro nel rispetto dei diritti e dei doveri del lavoratore.
Correzione radicale del PACCHETTO TREU cogliendone le positività, e completamento della RIFORMA del LAVORO.
Proponiamo una modifica profonda se non l’ abrogazione della LEGGE 30 in materia di lavoro che non ha prodotto solo posti di lavoro, ora drammaticamente persi, causa la crisi in atto, ma ha dato luogo a 49 tipologie di CONTRATTI di lavori ATIPICI ed ha istituzionalizzato il LAVORO PRECARIO, con l’ effetto di rendere il FUTURO DELLE NUOVE GENERAZIONI INCERTO.
Vogliamo creare le premesse per l’ IMMISSIONE, la FORMAZIONE e l’ AGGIORNAMENTO a tutti, riconoscendo ai lavoratori con contratto ATIPICO, il diritto ad un SOSTEGNO ECONOMICO GARANTITO,(SALARIO GARANTITO) riconosciuto a tutti gli effetti incluso quello ai fini PREVIDENZIALI nel periodo di MOBILITA’ o DISOCCUPAZIONE.
I beni confiscati alla MAFIA e alla CRIMINALITA’, e quelli provenienti dalla corruzione possono essere un’ ottimo supporto all’ occupazione destinandoli a progetti di imprenditoria individuale, per creare nuovi posti di lavoro e per riqualificare i lavoratori in mobilità o disoccupati.
Crediamo che con la leva della Detassazione degli investimenti ai fini PRODUTTIVI generino OCCUPAZIONE. Per questo pensiamo di incentivare le aziende e le ATTIVITA’ produttive, che tramutano contratti a termine in contratti a tempo indeterminato.
- LAVORO SOCIALMENTE UTILE.
Proponiamo l’ inserimento di questi lavoratori ai fini del Mantenimento dell’ aree pubbliche e nei Servizi, con la corresponsione della differenza tra l’ 80% e lo stipendio percepito in servizio.
Infatti la crisi occupazionale ha determinato un aumento ESPONEZIALE dei lavoratori cassintegrati che restano a disposizione dell’ Azienda con la corresponsione dell’ 80% dello stipendio base da parte dell’ INPS, quindi danaro PUBBLICO.
- POLITICA ECONOMICA
La disoccupazione è schizzata all'8 per cento e continua a salire! Abbiamo perso 360 mila posti di lavoro ultimamente e altre imprese sono in affanno. Imprese anche grandi che danno lavoro a centinaia di persone. La benzina intanto è aumentata e questo accresce i disagi sia delle imprese che dei singoli.
E’ necessario intervenire sulle accise governative (tasse) riconducendole ai livelli EUROPEI.
E’ da tempo che le Pubbliche Amministrazioni sono inadempienti nel rispetto dei Fornitori di Merci e Servizi (per gli appalti le PENALI devono essere, per LEGGE, RICHIAMATE NEL BANDO DI GARA) e dei professionisti, creando difficoltà economiche alle medesime. A questo si deve porre rimedio, per Legge ponendo norme che prevedano l’ obbligo della copertura finanziaria al momento della commessa di AFFIDAMENTO o della FORNITURA e per gli incarichi professionali. Per quest’ultimi esiste già una Legge, che non viene rispettata. Quindi occorre una Legge ad hoc che preveda di sanzionare oltre i dirigenti i responsabili degli uffici, che spesso sono di ostacolo. La Legge deve colpire anche quei i POLITICI (amministratori) che non rimuovono il PROBLEMA, lasciando in difficoltà, professionisti ed imprenditori.
E’ da tempo che le Pubbliche Amministrazioni sono inadempienti nel rispetto dei Fornitori di Merci e Servizi (per gli appalti le PENALI devono essere, per LEGGE, RICHIAMATE NEL BANDO DI GARA) e dei professionisti, creando difficoltà economiche alle medesime. A questo si deve porre rimedio, per Legge ponendo norme che prevedano l’ obbligo della copertura finanziaria al momento della commessa di AFFIDAMENTO o della FORNITURA e per gli incarichi professionali. Per quest’ultimi esiste già una Legge, che non viene rispettata. Quindi occorre una Legge ad hoc che preveda di sanzionare oltre i dirigenti i responsabili degli uffici, che spesso sono di ostacolo. La Legge deve colpire anche quei i POLITICI (amministratori) che non rimuovono il PROBLEMA, lasciando in difficoltà, professionisti ed imprenditori.
P NOI PROPONIAMO:
a) STATO ED ENTI PUBBLICI siano per legge, tenuti a pagare nei termini stabiliti dai contratti. Pena multe e aumento della spesa da sostenere a carico di chi si rende responsabile delle inadempienza, burocrati e politici!.
b) LE BANCHE dal loro canto s’impegnino a sostenere le imprese in difficoltà, anche a fronte di commesse effettuate nei confronti dei così detti "grandi pagatori" (vedi sopra) con tassi d’interesse equi e non da usura per i fidi e gli scoperti di conto.
c) LE IMPRESE, piccole e grandi, devono avere regolamenti (legislativi) che impediscano la crescente fuga all’estero. Questo soprattutto per le grandi imprese come la Fiat, Benetton e altri di pari grandezza. Gli spostamenti vanno discussi e pianificati secondo la situazione del territorio su cui le imprese operano.
d) IL COSTO DEL LAVORO molto elevato è uno dei fattori che influiscono sulla scarsa competitività dei prodotti italiani sul mercato internazionale. Tale costo deve diminuire, ma non riducendo la paga del lavoratore bensì riducendo drasticamente gli oneri fiscali/tributari che incidono sul lavoratore e sull’impresa. Va rivista tutta una serie di leggi e di imposte che riguardano appunto i lavoratori dipendenti sia pubblici che privati.
d)e) LE DETRAZIONI FISCALI devono essere adeguate a quelle In altri paesi dove le detrazioni possibili sono più ampie e comprendono le voci di spesa che riguardano il vestiario, la luce, il gas, il telefono, l’affitto, la casa ecc. Questo nel caso della dichiarazione di singoli cittadini con famiglia e anche per le imprese.
d)
e) LA SPESA PUBBLICA va drasticamente ridotta.
f) GLI STIPENDI DI PARLAMENTARI E ADDETTI ALLA CAMERA E AL SENATO VANNO RIDIMENSIONATI almeno del 40 %.
Ed inoltre :
P Taglio dell’80 per cento delle auto blu;
P Riduzione del parco aereo usato per deputati e vari;
P Revisione dei contratti d’affitto per gli oltre 35 stabili che il governo usa per “uffici” vari (spesso si tratta di porta borse che non hanno alcuna mansione seria e utile);
P Stop a qualsiasi tipo di benefit per trasporti, cibo, vestiario per i parlamentari;
P Riduzione dell’apparato del Quirinale (Corazzieri, addetti vari ecc.) che costa alle casse pubbliche (a noi quindi) una cifra superiore a quella necessaria per Buckingham palace!
P No! a qualsivoglia genere di doppio incarico e/o incompatibilità assoluta. Per l’incarico è possibile una deroga in rappresentanza ISTUITUZIONALE non remunerata;
P No! a candidature di condannati in primo grado di giudizio;
P Queste stesse regole valgono per amministratori e politici negli Enti locali (Comuni, Province e Regioni) e di tutti gli organismi istituzionale, statali e parastatali .
- QUESTIONE FISCALE:
Il fisco ha raggiunto livelli intollerabili nel nostro paese, sappiamo che l’enormità del debito pubblico non ci consente ampie manovre, ma sicuramente si può operare per tagliere le spese superflue e per questo proponiamo:
1) Soppressione agenzia per la riscossione delle tasse, deve essere lo stato stesso a riscuoterle con enorme risparmio
2) rendere più facile la vita ai cittadini inadempienti per impossibilità a trovare le risorse necessarie a saldare il proprio debito con lo stato entro il termine perentorio, stabilendo modalità di pagamento che mettano in condizioni di saldare il proprio debito e, soprattutto, rivedendo le sanzioni che sono davvero oltre i tassi usurai.
3) Stabilire un limite sulla pignorabilità degli immobili.
4) Divieto di pignorare la prima casa per chi possiede un reddito inferiore o uguale a 20.000 €.
5) Creare le condizioni per un fisco amico, piuttosto che usuraio stabilendo per legge penali più umane;
6) Soppressione degli acconti in sede di dichiarazione dei redditi, che ognuno di noi deve versare anticipatamente di un anno, che vanno calcolati sulla base del reddito dell'anno precedente.
Questo sistema è stato creato da Giuliano Amato in un momento di grave crisi economica e, come succede sempre nel nostro paese, è diventato sistema.
Se per un lavoratore dipendente è facile preventivare quanto guadagna, la stessa cosa non può dirsi per i professionisti e per tutte le piccole e medie imprese, che devono comunque pagare l'acconto sulla base di un reddito che l'anno successivo che potrebbero non avere , questo significa strozzare queste categorie e spingerle all'evasione e all’ elusione.
7) La caccia all’ EVASIONE e ELUSIONE Sarà il nostro impegno primario.
Recuperando l'evasione e l’ elusione non ci sarà bisogno di alcuna legge finanziaria!
Questa è la migliore prova dell'enormità dell'evasione!
8) 2 sole fasce di tassazione: 20% fino a 50.000 € e 30% oltre. ( 30% sembra troppo basso, non dovrebbe essere meno del 35% ?)
9) scaricare IVA e portare spese in detrazione anche per i privati
STOP ALLE MISSIONI DI PACE, che in realtà sono missioni belliche né più né meno.
- NO all’acquisto di nuovi aerei da guerra.
- I PARTITI E IL LORO FINANZIAMENTO
P a) I partiti devono presentare bilanci pubblici
Pb) Devono essere organizzati come associazioni e sottostare alle regole del codice civile rendendo conto di introiti e spese perché ricevono denaro pubblico
- LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA
Deve orientarsi su diversi modelli di sviluppo perché:
a) Occorre dire: Stop al consumismo sfrenato
b) L’Ambiente va tutelato e serve quindi uno sviluppo eco-sostenibile
b)Le materie prime stanno esaurendosi e quindi occorre scegliere produzioni di nicchia imperniate sulla qualità anziché sulla quantità
b)Il nostro Paese ha tradizioni, monumenti e bellezze paesaggistiche che vanno protette e valorizzate (non rovinate e deturpate)
b)c) Il turismo deve diventare uno dei motori trainanti della nostra economia. Particolare attenzione va rivolta al settore terziario (SERVIZI)
b)d) L’agricoltura va rilanciata e sostenuta al fine di consentire produzioni sane e di qualità. Per le aree Montane oltre al sostegno per la produzione ne deve essre previsto un’ altro per il rimboschimento e la rivitalizzazione di molte aree collinari
b)e) La scuola pubblica, l’Università e la ricerca devono costituire una priorità. Vanno finanziate ed incentivate. Le recenti leggi di riforma in particolare la “GELMINI” va cassata immediatamente e rifatte secondo principi logici.
P Scuole: finanziamenti pubblici solo per scuole pubbliche, possibilità di finanziamento per scuole private da parte di fondazioni, enti e aziende private.
Ogni scuola, ogni ambito statale, regionale e locale, dovrà avere nel proprio PROGRAMMA MINISTERIALE la cultura dell'ambiente in modo da formare una vera e propria coscienza di salvaguardia ambientale.
L' Italia ha caratteristiche naturali tali da poter essere di esempio per tutto il mondo.
P La sanità pubblica deve tornare ad essere, come diritto universale, prioritaria, senza nulla togliere alle cliniche private. I medici ospedalieri devono ricevere stipendi decorosi, devono poter seguire periodicamente corsi di formazione e aggiornamento. Porre il divieto di esercitare la professione in altri ospedali pubblici,cliniche private. Non sono più accettabili le liste di attesa. Esami di laboratorio e quant’altro si devono poter eseguire in tempi umani e accettabili e a costi equi.
Come previsto nella Costituzione la sanità è un diritto UNIVERSALE , quindi non può essere che pubblica: tutti i medicinali ed esami di laboratorio gratuiti x redditi singoli fino a 20.000 €
P LA CULTURA E LO SPETTACOLO devono ricevere finanziamenti che consentano loro di vivere sulla base di PROGETTI e PROGRAMMI. E’ impensabile che uno stato moderno e democratico effettui i tagli , come ha fatto l’ attuale governo, nei confronti di teatri, musei ed Enti
per lo spettacolo. Gli sponsor possono essere di aiuto, ma non possono sopperire ai costi reali. lo Stato deve finanziare la CULTURA perché venga sostenuta e divulgata. Ciò include anche l’ attività preziosa dei gruppi di artisti di strada che a tutt’oggi non hanno mai avuto un minimo sostegno statale.
cultura: stabilire l'entità di finanziamento per settori sulla base del pil annuo:
esempio: editoria1%
cinema1%
teatro 1.3% ecc
FINANZIAMENTO PUBBLICO.
In presenza di salvataggi di Aziende, deve essere previsto il rientro nelle casse dello stato dell’ importo corrisposto, valutandone la nazionalizzazione.
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PROMOTORI DEL PROGETTO :
Nella Toscano
Paola Bozzini
Faliero Ciappei
Flavio Gori
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