di ENZO TRENTIN
Nel ventesimo secolo, per la prima volta nella storia,
la democrazia è diventata uno standard globale. Non lasciamoci
ingannare, in realtà lo standard non è stato attuato davvero in nessun
luogo, eccezion fatta, forse, per la Svizzera, e la democrazia è
continuamente schiacciata ovunque nel mondo. Tuttavia, fatte salve poche
eccezioni di rilievo come l’Arabia Saudita e il Bhutan, ogni tipo di
regime rivendica la propria legittimità democratica. E fanno ciò, perché
sanno che la democrazia è diventata lo standard per la popolazione
mondiale. Secondo Hans Herbert von Arnim, professore di diritto pubblico
e teoria costituzionale all’Università di Seyer in Germania, i partiti
politici che prendono le decisioni in questo sistema sono diventati
istituzioni monolitiche. L’identificazione politica e la soddisfazione
dei bisogni, che in una democrazia dovrebbe procedere dal basso verso
l’alto – dal popolo al parlamento – è completamente nelle mani del
leader dei partiti. Von Arnim biasima anche il sistema di finanziamento
dei partiti, attraverso il quale i politici possono determinare
personalmente quanto i loro partiti – associazioni private come
qualsiasi altra – possono introitare attingendo dalle entrate fiscali.
Sempre secondo Von Arnim non è sorprendente che i politici continuino ad
ignorare la rivendicazione sempre crescente per la riforma del sistema
politico, perché altrimenti verrebbe messa in discussione la loro comoda
posizione di potere.
Nel paese di Arlecchino e Pulcinella politicanti e mezzi di comunicazione di massa [usati come
distrazione di
massa], controllati da potentati economico-politici e finanziati con le
tasse dei cittadini, periodicamente magnificano l’adozione del
principio di sussidiarietà come la soluzione di molte problematiche
socio-politiche. Parallelamente non mancano di sproloquiare di
federalismo: fiscale, solidale, sostenibile, demaniale etc. e
volutamente si ignora che per il federalista coerente l’individuo
rappresenta il livello più alto non il più basso. Offriamo un paio di
tesi a sostegno di questo punto di vista:
- lo scopo dei politici è quello di minimizzare sofferenza e disordine,
nella misura in cui questi siano attribuibili a circostanze sociali.
Dato che la sofferenza viene sempre vissuta dagli individui e mai dai
gruppi o da intere popolazioni come tali, è logico che l’individuo
appaia come l’autorità politica più elevata.
- le decisioni politiche sono essenzialmente sempre scelte morali o
giudizi di valore. Solo gli individui hanno una coscienza e la capacità
di formulare un giudizio morale. I gruppi o le popolazioni come tali non
hanno una coscienza. È quindi logico, anche da questa prospettiva, che
l’individuo appaia come l’autorità più elevata.
Nonostante ciò i federalisti non sono egocentrici.
Sanno che gli individui possono essere veri esseri umani, veri
individui, solo all’interno del tessuto sociale. Le persone si uniscono
ad altre persone proprio perché sono creature sociali. Gli individui
formano delle piccole comunità di giustizia, all’interno delle quali
vari problemi possono essere regolati democraticamente. Alcuni problemi
non possono essere affrontati a livello di villaggio, di città, di valle
o di regione. In questi casi le comunità più piccole si possono
federare: si uniscono per formare una nuova, più grande comunità che è
autorizzata ad affrontare questi problemi. Questo processo di
federazione – definito anche come “
contrattualismo” – può
essere ripetuto finché si sono affrontati tutti i problemi al livello
appropriato. Premesso ciò, il Federalismo è l’opposto della
sussidiarietà. In una società federalista la delega arriva dagli stessi
singoli cittadini. Anche i federalisti sostengono che vi è ingiustizia
se i compiti non vengono delegati, in quanto gli uomini sono animali
sociali e dipendono l’uno dall’altro. Nondimeno la sussidiarietà
differisce fondamentalmente nello spirito dal principio del federalismo.
Il federalismo comincia dall’individuo. La sussidiarietà emana dal
potere che si trova al di sopra degli individui e che benevolmente crea
lo spazio per le attività dei livelli più bassi e degli individui
stessi.
L’idea federalista può essere facilmente connessa all’ideale democratico.
Ma la connessione è anche più stretta di così: la democrazia diretta e
il federalismo sono i due lati inseparabili della stessa medaglia
totalmente democratica. Il concetto di sussidiarietà, invece, è del
tutto inconciliabile con la piena democrazia, perché è basato su di
un’autorità data a priori. Nella teoria della sussidiarietà il modello
della Chiesa strutturato gerarchicamente viene trasposto nello Stato
secolare. Nel concetto federalista sono gli individui ad essere al
livello più alto, cosicché sono gli individui che decidono che cosa è
delegato e a quale livello. Per i fautori della sussidiarietà questo
diritto di decidere è prerogativa dello Stato (che dal punto di vista
della Chiesa è ancora subordinato ad un potere divino) e gli individui
si ritrovano al livello più basso.
La Sussidiarietà è un concetto chiave nell’ideologia cristianodemocratica.
L’idea di base è che i livelli più alti deleghino il maggior numero
possibile di compiti ai livelli più bassi in modo da sollevare se stessi
dal lavoro meno importante, che per lo più può essere fatto più
efficientemente dai livelli più bassi. Un’ulteriore assunto è che i
livelli più bassi, giù fino ai singoli individui, sono trattati
ingiustamente se non c’è delega. Comunque l’iniziativa di delega è di
tipo alto-basso. È il livello più alto che decide quanto spazio di
manovra riceveranno i livelli più bassi e quando e se la loro libertà
d’azione sarà annullata. Ciò è espresso anche dal termine stesso.
Sussidiario significa riserva o ausiliario (come per i militari); i
livelli più bassi sono effettivamente i soldati ausiliari dei livelli
più alti.
Del resto la Chiesa Cattolica non ha mai amato la democrazia.
Fino al ventesimo secolo inoltrato, i leader cattolici hanno difeso il
concetto che lo status divino della Chiesa le desse il diritto e
l’obbligo di essere coinvolta nel plasmare l’attività politica. In
particolare, ci si aspettava che i politici democratici cristiani si
attenessero alle direttive di Roma. Per esempio, Papa Pio X in «Fin
dalla prima nostra enciclica» nel 1903 [ma vedasi anche la coeva Lettera
apostolica: «
Notre charge apostolique»], scrisse: «Nel
rispondere alle proprie responsabilità la democrazia Cristiana ha il più
profondo dovere di dipendenza dall’autorità religiosa ed è soggetta e
deve obbedienza ai vescovi e a chiunque li rappresenti. Non è né
diligenza encomiabile né sincera devozione intraprendere qualcosa che è
veramente bello e buono, ma che non è stato approvato da un
rappresentante autorizzato della Chiesa.»
Non bastasse, nel libro: «Federalismo e secessione» gli autori [ambedue costituzionalisti, il primo di estrazione cattolica, il secondo marxista] sostengono:
Gianfranco Miglio: «Io il principio di sussidiarietà
non
l’ho mai amato, ma siccome riscuote tanto favore, specialmente tra i
tuoi amici amministratori regionali dell’Emilia e della Toscana, mi sono
convinto che non si possa ignorare. Però dovrebbe essere ammesso
soltanto per le nuove competenze.»
Augusto Barbera: «Il principio di sussidiarietà è stato
formulato per la prima volta dai cattolici francesi perché corrisponde
ad una concezione personalista e comunitaria. Jacques Delors, che prima
di diventare socialista era stato segretario dei giovani democristiani,
l’ha suggerito come principio-guida per la costruzione dell’Unione
europea. Ed è stato inserito nel trattato di Maastricht, più che per
riconoscere competenze agli Stati, per giustificare un assorbimento di
competenze nella Comunità europea. Questa è un’ulteriore conferma della
ambiguità del principio di sussidiarietà: è sempre possibile
stravolgerne lo spirito. Esso può comportare sia il decentramento sia
l’accentramento del potere.»
Democrazia diretta e federalismo, al contrario, si rinforzano l’un l’altro.
Insieme formano una «democrazia forte» (Benjamin Barber, un americano
teorico-politico forse più noto per il suo bestseller del 1996: «
Jihad contro McWorld»). Nel 1884 in «
Democrazia integrata»,
asserisce: «La nostra democrazia è un nonsenso» Attualmente siamo
lontani da una tale democrazia integrata. Il processo decisionale
politico in genere si svolge all’infuori dell’influenza ed della
conoscenza dei cittadini. Questo vale per quasi tutti gli Stati
europei. Un sistema con un processo decisionale puramente parlamentare
non è un sistema democratico. All’interno di un tale sistema la
popolazione non può impedire l’introduzione di una legge indesiderata.
In una democrazia autentica, in caso di dubbio, il popolo ha sempre
l’ultima parola. Tuttavia, coloro che si oppongono alla democrazia
diretta come al federalismo non si lasciano convincere da un principio
così semplice. La loro resistenza alla democrazia diretta di solito non
poggia su basi essenzialmente razionali. La loro opposizione all’idea
della piena sovranità popolare deriva anche un istinto radicato in una
profonda sfiducia nelle persone. Anche il suffragio universale e il
diritto di voto alle donne ha dovuto far fronte a simili irrazionali
resistenze.
Chi si oppone alla democrazia diretta, e dunque all’autentico federalismo,
è convinto che gli esseri umani si lascino influenzare nel loro
comportamento elettorale, essenzialmente da motivi egoistici o di ordine
privato. Secondo questo concetto, le minoranze verrebbero spietatamente
schiacciate dalle maggioranze. In una democrazia diretta, non si
aspirerebbe in nessun caso a obiettivi più elevati o ad obiettivi di
interesse genericamente umano. Una democrazia rappresentativa autorizza
un’élite morale a prendere le decisioni. Quindi ci si aspetta da questa
élite che riconosca gli interessi generali e che li serva.
Gli oppositori della democrazia diretta hanno dunque un concetto
molto ben definito delle persone e della società. In sostanza,
considerano la società come una giungla, come un nido di vipere, in cui
innumerevoli interessi privati si scontrano tra di loro. Dunque gli
oppositori adottano implicitamente una particolare teoria della
motivazione, in base alla quale le persone sono mosse principalmente
dall’interesse personale. Essi respingono le argomentazioni logiche in
favore della democrazia diretta e anche le prove delle buone prassi in
atto nei paesi dove esistono già da secoli sistemi di democrazia
diretta, poiché dentro di loro reputano la persona media incapace e
moralmente in difetto.
Prendiamo ad esempio i problemi «Not In My Back Yard» (NIMBY)
(«Non nel mio cortile») sono all’ordine del giorno. La maggior parte
delle persone sono d’accordo sul bisogno di aeroporti, sulle questioni
ecologiche, sugli alloggi per richiedenti asilo e per lo stoccaggio dei
rifiuti radioattivi. Solo che le persone non vogliono questo tipo di
servizi nel proprio cortile. Un servizio che in teoria tutti vogliono,
ma che nessuno tollererebbe nelle proprie vicinanze, è considerato come
un problema NIMBY. Normalmente il sito per tali servizi è imposto dal
governo alla comunità locale, possibilmente accompagnato da una
compensazione finanziaria o di altro tipo.
In Svizzera esiste una situazione interessante dove le comunità locali
hanno diritto di veto sulla scelta dei siti di tali servizi (tramite
una iniziativa popolare referendaria locale o un’assemblea pubblica).
Nel 1993 venne chiesto ai cittadini di quattro villaggi quale sarebbe
stata la loro reazione se fosse stato costruito un magazzino di
stoccaggio di rifiuti radioattivi nel loro comune. Le quattro comunità
erano state selezionate come i siti più adatti dal servizio geologico
svizzero. Le risposte date non sarebbero state prive di importanza,
perché era in procinto di essere presa una decisione sul sito, e il
risultato dell’indagine doveva essere pubblicato prima che la decisione
fosse annunciata. Il risultato fu che il 50,8% delle persone
interpellate avrebbero accettato il magazzino, mentre il 44,9% si
sarebbe opposto. Ciò che è da sottolineare è che, non appena fu proposto
di offrire un compenso finanziario, il consenso crollò. Con una
proposta di compenso annuale tra 2.500 e 7.500 Franchi Svizzeri (circa
1500-4.500 €) il consenso per il sito nucleare cadde dal 50,8% al 24,6%.
La percentuale rimase invariata anche quando il compenso fu aumentato.
La ricerca dimostrò che la correttezza della procedura del processo
decisionale svolgeva un ruolo cruciale nella potenziale accettabilità
del sito. Le persone sembravano accettare il risultato molto più
facilmente se avevano accettato anche il modo in cui la decisione era
stata presa. Offrire un compenso finanziario cambiava radicalmente il
modo in cui la decisione era presa. Negli USA si ebbero risultati
analoghi quando si pensò di remunerare la donazione del sangue. Quando
c’è un processo decisionale con diritto di veto democratico-diretto c’è
un forte ricorso all’obiettività e al civismo delle persone. Se la
questione viene legata ad un compenso economico le persone cominciano a
sospettare di essere raggirate. L’appello non è più verso il loro senso
civico e il messaggio implicito è che vengono viste come «amorali» che
devono essere convinte da un incentivo finanziario esterno.
La questione, più in generale, è ben posta da Karl Popper che si chiedeva: «Non
chi deve comandare, ma
come
controllare chi comanda: è questo il problema della democrazia.» In
fondo che cosa sappiamo noi e che cosa sa il popolo dell’errore, anzi
del delitto di cui si renderà colpevole il governo da lui scelto? Per
questo dovremmo riflettere su ciò che nessun politicante ha mai detto e
sicuramente dirà mai a proposito di federalismo. Ovvero che le persone e
le entità territoriali che intendono federarsi stipulano un contratto
politico o di federazione, cioè definiscono e sottoscrivono le
competenze che devono essere conferite alla Federazione e agli organi di
governo locali e nazionali dalla maggioranza dei Cittadini aventi
diritto voto, per assolvere il compito (i compiti) di garanzia su fatti
specifici e limitati, delegati volontariamente e spontaneamente dai
“contraenti”. Questo viene conseguito senza che il Cittadino rinunci
alla parte maggiore della propria Sovranità, come avviene nel nostro
paese allorché un elettore deposita la scheda nell’urna e delega i tal
modo i propri eletti a esercitare il potere per un quinquennio al di
fuori e al di sopra del controllo dei Cittadini. In uno stato Federale
il Cittadino delega poteri agli eletti circa specifiche materie, ma
conserva il potere di avocare a sé qualunque decisione qualora gli
eletti violino i termini del contratto politico stipulato. Avocando a sé
la sovranità, la maggioranza dei cittadini può, tramite referendum
legislativi (federali) o deliberativi (locali) decidere di modificare o
abrogare una legge, o delibera, oppure di promulgarne una nuova. Può
anche legiferare in tema di materie tributarie e di trattati
internazionali, diversamente da quanto accade nel nostro paese. Può
indire un referendum per modificare la costituzione, anziché limitarsi a
ratificare le riforme promulgate dal parlamento. Infine, la maggioranza
dei cittadini può revocare il mandato agli eletti e indire nuove
elezioni.
IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’
1. Definizione.
Il principio di sussidiarietà (riconosciuto dal trattato
dell’Unione Europea di Maastricht) riguarda i rapporti tra Stato e
società. Esso é un fondamentale principio di libertà e di democrazia,
cardine della nostra concezione dello Stato. Esso si articola in tre
livelli:
a) Non faccia lo Stato ciò che i cittadini possono fare da soli: le
varie istituzioni statali devono creare le condizioni che permettano
alla persona e alle aggregazioni sociali (famiglia, associazioni,
gruppi, in una parola i cosiddetti “corpi intermedi”) di agire
liberamente e non devono sostituirsi ad essi nello svolgimento delle
loro attività. Questo perché la persona e le altre componenti della
società vengono “prima” dello Stato: l’uomo é principio, soggetto e fine
della società e gli ordinamenti statali devono essere al suo servizio.
Per questo motivo lo Stato deve fare in modo che i singoli e i gruppi
possano impegnare la propria creatività, iniziativa e responsabilità,
impostando ogni ambito della propria vita come meglio credono,
risolvendo da soli i propri problemi. In questo modo, si uniscono
insieme il massimo di libertà, di democrazia e di responsabilità, sia
personale che collettiva.
b) Lo Stato deve intervenire (sussidiarietà deriva da subsidium, che
vuol dire aiuto) solo quando i singoli e i gruppi che compongono la
società non sono in grado di farcela da soli: questo intervento sarà
temporaneo e durerà solamente per il tempo necessario a consentire ai
corpi sociali di tornare ad essere indipendenti, recuperando le proprie
autonome capacità originarie.
c) L’intervento sussidiario della mano pubblica deve comunque essere
portato dal livello più vicino al cittadino: quindi in caso di necessità
il primo ad agire sarà il comune. Solo se il comune non fosse in grado
di risolvere il problema deve intervenire la provincia, quindi la
regione, lo Stato centrale e infine l’Unione Europea. Questa gradualità
di intervento garantisce efficacia ed efficienza, libera lo Stato da un
sovraccarico di compiti e consente al cittadino di controllare nel modo
più diretto possibile. Applicando questo principio, lo Stato si mette
davvero al servizio dei cittadini, aiutando la formazione di un
cittadino attivo e autonomo, che non sia un suddito passivo e sempre
bisognoso di assistenza.
2. Origine.
Il principio di sussidiarietà é uno dei fondamenti della
Dottrina Sociale della Chiesa. Di esso si trovano tracce già in autori
quali, per esempio, San Tommaso d’Aquino e Dante. In tempi più recenti,
di esso parla nella Rerum Novarum (1891) Leone XIII, ma la formulazione
classica è contenuta nell’enciclica Quadragesimo Anno (1931) di papa Pio
XI: «…siccome non é lecito togliere agli individui ciò che essi possono
compiere con le loro forze e l’industria propria per affidarlo alla
comunità, così é ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società
quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare.» Ne
deriverebbe «un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della
società» poiché «l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della
società stessa é quello di aiutare in maniera suppletiva (subsidium
afferre) le membra del corpo sociale, non già distruggerle ed
assorbirle.» Di conseguenza, «é necessario che l’autorità suprema dello
Stato rimetta ad assemblee minori ed inferiori il disbrigo degli affari e
delle cure di minore importanza» per poter «eseguire con più libertà,
con più forza ed efficacia le parti che a lei sola spettano (…) di
direzione, di vigilanza, di incitamento, di repressione, a seconda dei
casi e delle necessità.»
N.B. Il Trattato di Maastricht (7 febbraio 1992) dichiara che il
principio di sussidiarietà é la direttrice fondamentale che guida il
processo di formazione dell’Unione Europea.