di Antonio Padellaro
Direttore de Il Fatto Quotidiano e scrittore
| 7 dicembre 2014
“A Roma serve un sindaco della Lega”, dice Matteo Salvini che fa bene a pensare in grande, visto che la Mafia Capitale delle coop rossonere, dei Pd a libro paga del boss Carminati omaggiato dalle star
sta lavorando per lui. L’altro Matteo è un ragazzone non antipatico
che, dopo una giovinezza da “fancazzista” (come del resto il Matteo
premier), ha costruito una carriera politica geniale sugli slogan
che porta stampati sulla felpa, tipo: “No Euro”, “Basta tasse”, “Stop
invasione clandestini”. Altro che corposi programmi e pensose leopolde:
per conoscere il Salvini pensiero, è sufficiente mettere in sequenza le
foto del suo abbigliamento preferito. Teoria e prassi del salvinismo
sgorgano rigogliose dall’incazzatura collettiva che si spande a macchia
d’olio in un paese declassato, ma con due primati nazionali assoluti: la
disoccupazione e la corruzione.
Ma quando tra le macerie di questo panorama spuntano le buste gonfie di euro distribuite dai postbanditi della Magliana e la prostituzione di assessori e funzionari viene esibita e pretesa dai papponi bipartisan affiliati alla Coop 29 Giugno
(“metti la minigonna e vai a battere”), la desertificazione susseguente
allo sputtanamento delle istituzioni diventa terra di conquista. Certo,
la fedina penale della Lega fa ugualmente schifo, ma l’ex fancazzista è
stato bravo a far dimenticare le scorribande nel pubblico denaro dei Belsito e dei Trota.
E intanto parla, parla, parla dalle mille tv alla pancia del paese e
dice “chi, razzista io?”, ma vuole gli immigrati fuori dalle balle e guai a dargli del fascista anche se volentieri si accompagna al fascismo declamatorio di CasaPound.
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