
La
“rete” dopo aver decretato con il proprio voto l’espulsione della
senatrice Gambaro dal M5S colpevole di un dissenso lesivo degli
interessi del movimento, dovrà ora pronunciarsi sull’espulsione di
quattro senatori proposta, con la medesima accusa, dall’assemblea dei
gruppi parlamentari. Eppure le critiche levate a Grillo dai quattro
apparivano del tutto logiche poiché il loro leader si era, di fatto,
sottratto a quel confronto con Renzi che la base del movimento,
consultata in rete, aveva richiesto. La gestione del dissenso non sembra
riguardare il solo M5S se è vero che Civati si è detto costretto a
votare la fiducia al governo Renzi, nei confronti del quale non aveva
certo risparmiato critiche, per non pregiudicare la sua permanenza nel
PD, ma la questione così come si pone nel M5S presenta aspetti che vanno
ben oltre alla pura opportunità politica investendo alcuni presupposti
che sono alla base della democrazia rappresentativa. Hegel diceva che
“Ciò che insegnano l’esperienza e la storia è che i popoli e i governi
non hanno mai imparato nulla dalla storia e non hanno mai agito in base
agli insegnamenti che se ne sarebbero dovuti trarre”. Così, il M5S, che
pensa di costruire una “vera democrazia” sulla base della “intelligenza
collettiva” che scaturirebbe dal Web, è probabilmente inconsapevole di
riecheggiare l’utopia Roussoviana della “volonté générale”, elaborata
nel “Contratto Sociale”, in cui si immagina il popolo come una comunità
deliberante animata da una precisa volontà, quella generale, che va per
sua stessa natura verso il bene della comunità. I legislatori, quindi,
non possono avere interessi e posizioni contrarie alla stessa. Il
Contratto sociale sulla base del quale si legittima il potere, infatti,
“contiene implicitamente questo impegno, che solo può dar forza agli
altri: chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale vi sarà
costretto da tutto il corpo (politico), il che non significa altro che
lo si forzerà a essere libero.”
Questi principi furono ripresi nella costituzione dell’URSS che, avendo
sostituito alla volontà generale la dittatura del proletariato,
affermava: “Il deputato ha l’obbligo di rendere conto del suo lavoro e
del lavoro del Soviet agli elettori ed anche ai collettivi e alle
organizzazioni sociali che l’hanno presentato come candidato a deputato.
Il deputato che non si sia mostrato degno della fiducia degli elettori
può essere revocato in qualunque momento, per decisione della
maggioranza degli elettori, secondo la procedura stabilita dalla legge”
(articolo 107). La legge applicativa del dettato costituzionale stabilì
poi che la revoca era affidata alle strutture di base del PCUS
(sindacati, komsomol, collettivi di lavoro, etc.). Se ai Komsomol e ai
collettivi sostituiamo blog e meetup, il gioco è fatto e l’espulsione
dei dissidenti sacrosanta. Aveva, dunque, ragione il costituente
stalinista? Il parlamentare è solo l’impersonale terminale di una
volontà popolare che si assume assoluta e univoca (mentre è un coacervo
di interessi, spinte emotive, pregiudizi e approssimazioni) o è la
persona che, culturalmente affine al nostro sentimento, consideriamo
attrezzata per approfondire, confrontarsi e mediare in un contesto
socio-economico-culturale che sappiamo essere eterogeneo? Possono i
membri dell’assemblea dibattere al fine di arrivare a una determinazione
maggioritaria data dalla somma di singole, autonome e libere
determinazioni? Negare al parlamentare la libertà di valutare e definire
una propria autonoma volontà (ovvero ammettere un vincolo di mandato
imperativo in spregio dell’art 67 della Costituzione), non significa
negare la ragione stessa di un organo assembleare e i fondamenti della
rappresentanza? Ammetterlo, invece, non significa il dovere di accettare
il dissenso e anche di tutelarlo da ogni possibile coercizione o
ritorsione? In queste scelte è l’atto di nascita delle
liberal-democrazie o la loro constatazione di morte. Allora il problema,
di fronte alla crisi della rappresentanza che questi episodi
denunciano, è: cosa vivrà al di là della loro morte? Il nazismo, il
fascismo e il socialismo reale non si sono mai qualificati come
movimenti antidemocratici bensì, paradossalmente, come democrazie più
compiute e autentiche delle altre in quanto meglio delle altre
incarnavano la “volontà popolare”. Non sembra sfuggire a questa
drammatica degenerazione la democrazia del web.
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