Translate

venerdì 10 agosto 2012

Lettera aperta a Rosario Crocetta!



10.08.2012 ..

Caro Rosario, tramontata la possibilità di poterTi incontrare, visto che mi è stato negato l’appuntamento chiesto, e di dirTi quello che penso guardandoTi negli occhi, non mi resta che rivolgermi a Te con questa lettera aperta, perché voglio che tutti e non solo Tu conoscano i motivi de mio dissenso totale su questa svolta a 360 gradi  che hai compiuto, senza prima informare e confrontarti con chi ti ha sostenuto fin dal primo momento mettendoci la faccia, come ho fatto io.
Già solo questo la dice lunga su cosa intendi per partecipazione , democrazia e rispetto delle persone e, mi spiace dirlo, non è davvero coincidente con il mio pensiero, così come non lo è l’idea del leader carismatico che i tuoi collaboratori portano avanti con cieca e spasmodica insistenza.
Purtroppo per loro non è un di novello berlusconi quello di cui ha bisogno la Sicilia, tutt’altro.
Ti ho dato fiducia da subito, mi sono fidata delle testimonianze autorevoli del Proc. Grasso prima e del Dott. Morici dopo e della Tua storia di sindaco di Gela, che ha combattuto contro la mafia a viso aperto.
Ho creduto nella Tua voglia autentica di cambiare radicalmente la Sicilia, anche se non ho mai condiviso lo slogan inappropriato circa la rivoluzione già cominciata, e come vediamo, purtroppo, già miseramente infranto.
Certo mi sono illusa veramente che qualcosa potesse cambiare dopo il Tuo intervento a Palazzo Fatta, anche se molti dubbi sollevava la presenza silenziosa di certi tuoi compagni in sala, ma la speranza autentica e disperata che c’è in me ed in moltissimi/e cittadine/i di cambiare questa martoriata terra ha avuto il sopravvento ed ho continuato a lavorare per darti sostegno.
Cosa, ovviamente, non facile, perché molti non hanno mai condiviso la tua scelta di essere al contempo un dirigente del PD e leader della società civile, che, a Tuo dire, ti ha incoraggiato e proposto di scendere in campo.
Ho fatto leva su questo e sulla Tua storia per convincere ed in molti casi ci sono riuscita, soprattutto per la fiducia che molti/e hanno in me.
Per tutto questo oggi la tua scelta solitaria la sto vivendo come un autentico tradimento e  di più perché si consuma a nemmeno due giorni dopo avere proclamato solennemente e pubblicamente che non ti saresti mai alleato con nessuno: due giorni  hai già sottoscritto l’accordo con l’UDC, con quel D’Alia che fino a pochi giorni prima avevi attaccato e accusato  pubblicamente dal tuo gruppo. Mi pare davvero troppo!
Per me, per quanti la pensano come me,  non siamo pochi, è stata un’autentica doccia fredda e di più nel sentire la soddisfazione e poi l’appoggio del tuo partito. Una doccia fredda che, come è naturale che sia, ha delle conseguenze immediate.
Io, noi non possiamo continuare ad appoggiare una persona che si allea con un partito come l’UDC, che è quanto di più distante ci possa essere dal nostro sentire, mi dispiace davvero che hai voluto bruciare le tappe di un percorso, che poteva essere vincente se solo avessi avuto la lungimiranza di percorrerlo fino in fondo, senza ascoltare le sirene di chi continua a pensare alla sommatoria dei voti, senza preoccuparsi che la matematica prevede anche la sottrazione, che in questo caso sarà più numerosa dell’addizione, ci puoi contare.
Mi dispiace, hai preferito  scegliere di andare a braccetto con chi è l’artefice del disastro siciliano e dispiace di più sentirti affermare che quel D’Alia ha un programma che è uguale al Tuo. Certo che di miracoli in questa terra si sente parlare tanto, peccato però che di positive conseguenze non si vede mai nulla. Insomma il Gattopardo la fa sempre da padrone!
Niente di nuovo sotto il sole, quindi, tutto vecchio, anzi vecchissimo con i soliti noti alla ricerca spasmodica di potere e poltrone, che non si danno la minima preoccupazione per quello che sta avvenendo intorno, per i tanti drammi che si sanno consumando nel nostro Paese.
Continua  a ripetersi il solito copione senza però tenere conto che i siciliani e gli Italiani non ci stiamo più!!!!!
E’ inutile dire che non è più possibile accordarti la fiducia, che generosamente ti avevo , avevamo concesso, soprattutto le donne, perché sappiamo perfettamente che con partiti maschilisti che ti sostengono non c’è davvero speranza che possa cambiare qualcosa e che possano attuarsi le pari opportunità.
Ma c’è una cosa su tutte che non posso perdonare: la strumentalizzazione della mia persona, su questo proprio non posso sorvolare. Mi spiace!
Nella Toscano
Pres. Ass.ne TDC

martedì 7 agosto 2012

Carlo Kaneba - Sicilia (30-04-2009)

Il principio di sussidiarietà non è democratico né federale

di ENZO TRENTIN
Nel ventesimo secolo, per la prima volta nella storia, la democrazia è diventata uno standard globale. Non lasciamoci ingannare, in realtà lo standard non è stato attuato davvero in nessun luogo, eccezion fatta, forse, per la Svizzera, e la democrazia è continuamente schiacciata ovunque nel mondo. Tuttavia, fatte salve poche eccezioni di rilievo come l’Arabia Saudita e il Bhutan, ogni tipo di regime rivendica la propria legittimità democratica. E fanno ciò, perché sanno che la democrazia è diventata lo standard per la popolazione mondiale. Secondo Hans Herbert von Arnim, professore di diritto pubblico e teoria costituzionale all’Università di Seyer in Germania, i partiti politici che prendono le decisioni in questo sistema sono diventati istituzioni monolitiche. L’identificazione politica e la soddisfazione dei bisogni, che in una democrazia dovrebbe procedere dal basso verso l’alto – dal popolo al parlamento – è completamente nelle mani del leader dei partiti. Von Arnim biasima anche il sistema di finanziamento dei partiti, attraverso il quale i politici possono determinare personalmente quanto i loro partiti – associazioni private come qualsiasi altra – possono introitare attingendo dalle entrate fiscali. Sempre secondo Von Arnim non è sorprendente che i politici continuino ad ignorare la rivendicazione sempre crescente per la riforma del sistema politico, perché altrimenti verrebbe messa in discussione la loro comoda posizione di potere.
Nel paese di Arlecchino e Pulcinella politicanti e mezzi di comunicazione di massa [usati come distrazione di massa], controllati da potentati economico-politici e finanziati con le tasse dei cittadini, periodicamente magnificano l’adozione del principio di sussidiarietà come la soluzione di molte problematiche socio-politiche. Parallelamente non mancano di sproloquiare di federalismo: fiscale, solidale, sostenibile, demaniale etc. e volutamente si ignora che per il federalista coerente l’individuo rappresenta il livello più alto non il più basso. Offriamo un paio di tesi a sostegno di questo punto di vista:
- lo scopo dei politici è quello di minimizzare sofferenza e disordine, nella misura in cui questi siano attribuibili a circostanze sociali. Dato che la sofferenza viene sempre vissuta dagli individui e mai dai gruppi o da intere popolazioni come tali, è logico che l’individuo appaia come l’autorità politica più elevata.
- le decisioni politiche sono essenzialmente sempre scelte morali o giudizi di valore. Solo gli individui hanno una coscienza e la capacità di formulare un giudizio morale. I gruppi o le popolazioni come tali non hanno una coscienza. È quindi logico, anche da questa prospettiva, che l’individuo appaia come l’autorità più elevata.
Nonostante ciò i federalisti non sono egocentrici. Sanno che gli individui possono essere veri esseri umani, veri individui, solo all’interno del tessuto sociale. Le persone si uniscono ad altre persone proprio perché sono creature sociali. Gli individui formano delle piccole comunità di giustizia, all’interno delle quali vari problemi possono essere regolati democraticamente. Alcuni problemi non possono essere affrontati a livello di villaggio, di città, di valle o di regione. In questi casi le comunità più piccole si possono federare: si uniscono per formare una nuova, più grande comunità che è autorizzata ad affrontare questi problemi. Questo processo di federazione – definito anche come “contrattualismo” – può essere ripetuto finché si sono affrontati tutti i problemi al livello appropriato. Premesso ciò, il Federalismo è l’opposto della sussidiarietà. In una società federalista la delega arriva dagli stessi singoli cittadini. Anche i federalisti sostengono che vi è ingiustizia se i compiti non vengono delegati, in quanto gli uomini sono animali sociali e dipendono l’uno dall’altro. Nondimeno la sussidiarietà differisce fondamentalmente nello spirito dal principio del federalismo. Il federalismo comincia dall’individuo. La sussidiarietà emana dal potere che si trova al di sopra degli individui e che benevolmente crea lo spazio per le attività dei livelli più bassi e degli individui stessi.
L’idea federalista può essere facilmente connessa all’ideale democratico. Ma la connessione è anche più stretta di così: la democrazia diretta e il federalismo sono i due lati inseparabili della stessa medaglia totalmente democratica. Il concetto di sussidiarietà, invece, è del tutto inconciliabile con la piena democrazia, perché è basato su di un’autorità data a priori. Nella teoria della sussidiarietà il modello della Chiesa strutturato gerarchicamente viene trasposto nello Stato secolare.  Nel concetto federalista sono gli individui ad essere al livello più alto, cosicché sono gli individui che decidono che cosa è delegato e a quale livello. Per i fautori della sussidiarietà questo diritto di decidere è prerogativa dello Stato (che dal punto di vista della Chiesa è ancora subordinato ad un potere divino) e gli individui si ritrovano al livello più basso.
La Sussidiarietà è un concetto chiave nell’ideologia cristianodemocratica. L’idea di base è che i livelli più alti deleghino il maggior numero possibile di compiti ai livelli più bassi in modo da sollevare se stessi dal lavoro meno importante, che per lo più può essere fatto più efficientemente dai livelli più bassi. Un’ulteriore assunto è che i livelli più bassi, giù fino ai singoli individui, sono trattati ingiustamente se non c’è delega. Comunque l’iniziativa di delega è di tipo alto-basso. È il livello più alto che decide quanto spazio di manovra riceveranno i livelli più bassi e quando e se la loro libertà d’azione sarà annullata. Ciò è espresso anche dal termine stesso. Sussidiario significa riserva o ausiliario (come per i militari); i livelli più bassi sono effettivamente i soldati ausiliari dei livelli più alti.
Del resto la Chiesa Cattolica non ha mai amato la democrazia. Fino al ventesimo secolo inoltrato, i leader cattolici hanno difeso il concetto che lo status divino della Chiesa le desse il diritto e l’obbligo di essere coinvolta nel plasmare l’attività politica. In particolare, ci si aspettava che i politici democratici cristiani si attenessero alle direttive di Roma. Per esempio, Papa Pio X in «Fin dalla prima nostra enciclica» nel 1903 [ma vedasi anche la coeva Lettera apostolica: «Notre charge apostolique»], scrisse: «Nel rispondere alle proprie responsabilità la democrazia Cristiana ha il più profondo dovere di dipendenza dall’autorità religiosa ed è soggetta e deve obbedienza ai vescovi e a chiunque li rappresenti. Non è né diligenza encomiabile né sincera devozione intraprendere qualcosa che è veramente bello e buono, ma che non è stato approvato da un rappresentante autorizzato della Chiesa.»
Non bastasse, nel libro: «Federalismo e secessione» gli autori [ambedue costituzionalisti, il primo di estrazione cattolica, il secondo marxista] sostengono:
Gianfranco Miglio: «Io il principio di sussidiarietànon l’ho mai amato, ma siccome riscuote tanto favore, specialmente tra i tuoi amici amministratori regionali dell’Emilia e della Toscana, mi sono convinto che non si possa ignorare. Però dovrebbe essere ammesso soltanto per le nuove competenze.»
Augusto Barbera: «Il principio di sussidiarietà è stato formulato per la prima volta dai cattolici francesi perché corrisponde ad una concezione personalista e comunitaria. Jacques Delors, che prima di diventare socialista era stato segretario dei giovani democristiani, l’ha suggerito come principio-guida per la costruzione dell’Unione europea. Ed è stato inserito nel trattato di Maastricht, più che per riconoscere competenze agli Stati, per giustificare un assorbimento di competenze nella Comunità europea. Questa è un’ulteriore conferma della ambiguità del principio di sussidiarietà: è sempre possibile stravolgerne lo spirito. Esso può comportare sia il decentramento sia l’accentramento del potere.»
Democrazia diretta e federalismo, al contrario, si rinforzano l’un l’altro. Insieme formano una «democrazia forte» (Benjamin Barber, un americano teorico-politico forse più noto per il suo bestseller del 1996: «Jihad contro McWorld»). Nel 1884 in «Democrazia integrata», asserisce: «La nostra democrazia è un nonsenso»  Attualmente siamo lontani da una tale democrazia integrata. Il processo decisionale politico in genere si svolge all’infuori dell’influenza ed della conoscenza dei cittadini. Questo vale per quasi tutti gli Stati europei. Un sistema con un processo decisionale puramente parlamentare non è un sistema democratico. All’interno di un tale sistema la popolazione non può impedire l’introduzione di una legge indesiderata. In una democrazia autentica, in caso di dubbio, il popolo ha sempre l’ultima parola. Tuttavia, coloro che si oppongono alla democrazia diretta come al federalismo non si lasciano convincere da un principio così semplice. La loro resistenza alla democrazia diretta di solito non poggia su basi essenzialmente razionali. La loro opposizione all’idea della piena sovranità popolare deriva anche un istinto radicato in una profonda sfiducia nelle persone. Anche il suffragio universale e il diritto di voto alle donne ha dovuto far fronte a simili irrazionali resistenze.
Chi si oppone alla democrazia diretta, e dunque all’autentico federalismo, è convinto che gli esseri umani si lascino influenzare nel loro comportamento elettorale, essenzialmente da motivi egoistici o di ordine privato. Secondo questo concetto, le minoranze verrebbero spietatamente schiacciate dalle maggioranze. In una democrazia diretta, non si aspirerebbe in nessun caso a obiettivi più elevati o ad obiettivi di interesse genericamente umano. Una democrazia rappresentativa autorizza un’élite morale a prendere le decisioni. Quindi ci si aspetta da questa élite che riconosca gli interessi generali e che li serva.

Gli oppositori della democrazia diretta hanno dunque un concetto molto ben definito delle persone e della società. In sostanza, considerano la società come una giungla, come un nido di vipere, in cui innumerevoli interessi privati si scontrano tra di loro. Dunque gli oppositori adottano implicitamente una particolare teoria della motivazione, in base alla quale le persone sono mosse principalmente dall’interesse personale. Essi respingono le argomentazioni logiche in favore della democrazia diretta e anche le prove delle buone prassi in atto nei paesi dove esistono già da secoli sistemi di democrazia diretta, poiché dentro di loro reputano la persona media incapace e moralmente in difetto.
Prendiamo ad esempio i problemi «Not In My Back Yard» (NIMBY) («Non nel mio cortile») sono all’ordine del giorno. La maggior parte delle persone sono d’accordo sul bisogno di aeroporti, sulle questioni ecologiche, sugli alloggi per richiedenti asilo e per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi. Solo che le persone non vogliono questo tipo di servizi nel proprio cortile. Un servizio che in teoria tutti vogliono, ma che nessuno tollererebbe nelle proprie vicinanze, è considerato come un problema NIMBY. Normalmente il sito per tali servizi è imposto dal governo alla comunità locale, possibilmente accompagnato da una compensazione finanziaria o di altro tipo.
In Svizzera esiste una situazione interessante dove le comunità locali hanno diritto di veto sulla scelta dei siti di tali servizi (tramite una iniziativa popolare referendaria locale o un’assemblea pubblica). Nel 1993 venne chiesto ai cittadini di quattro villaggi quale sarebbe stata la loro reazione se fosse stato costruito un magazzino di stoccaggio di rifiuti radioattivi nel loro comune. Le quattro comunità erano state selezionate come i siti più adatti dal servizio geologico svizzero. Le risposte date non sarebbero state prive di importanza, perché era in procinto di essere presa una decisione sul sito, e il risultato dell’indagine doveva essere pubblicato prima che la decisione fosse annunciata. Il risultato fu che il 50,8% delle persone interpellate avrebbero accettato il magazzino, mentre il 44,9% si sarebbe opposto. Ciò che è da sottolineare è che, non appena fu proposto di offrire un compenso finanziario, il consenso crollò. Con una proposta di compenso annuale tra 2.500 e 7.500 Franchi Svizzeri (circa 1500-4.500 €) il consenso per il sito nucleare cadde dal 50,8% al 24,6%. La percentuale rimase invariata anche quando il compenso fu aumentato.
La ricerca dimostrò che la correttezza della procedura del processo decisionale svolgeva un ruolo cruciale nella potenziale accettabilità del sito. Le persone sembravano accettare il risultato molto più facilmente se avevano accettato anche il modo in cui la decisione era stata presa. Offrire un compenso finanziario cambiava radicalmente il modo in cui la decisione era presa. Negli USA si ebbero risultati analoghi quando si pensò di remunerare la donazione del sangue. Quando c’è un processo decisionale con diritto di veto democratico-diretto c’è un forte ricorso all’obiettività e al civismo delle persone. Se la questione viene legata ad un compenso economico le persone cominciano a sospettare di essere raggirate. L’appello non è più verso il loro senso civico e il messaggio implicito è che vengono viste come «amorali» che devono essere convinte da un incentivo finanziario esterno.
La questione, più in generale, è ben posta da Karl Popper che si chiedeva: «Non chi deve comandare, ma come  controllare chi comanda: è questo il problema della democrazia.» In fondo che cosa sappiamo noi e che cosa sa il popolo dell’errore, anzi del delitto di cui si renderà colpevole il governo da lui scelto? Per questo dovremmo riflettere su ciò che nessun politicante ha mai detto e sicuramente dirà mai a proposito di federalismo. Ovvero che le persone e le entità territoriali che intendono federarsi stipulano un contratto politico o di federazione, cioè definiscono e sottoscrivono le competenze che devono essere conferite alla Federazione e agli organi di governo locali e nazionali dalla maggioranza dei Cittadini aventi diritto voto, per assolvere il compito (i compiti) di garanzia su fatti specifici e limitati, delegati volontariamente e spontaneamente dai “contraenti”. Questo viene conseguito senza che il Cittadino rinunci alla parte maggiore della propria Sovranità, come avviene nel nostro paese allorché un elettore deposita la scheda nell’urna e delega i tal modo i propri eletti a esercitare il potere per un quinquennio al di fuori e al di sopra del controllo dei Cittadini. In uno stato Federale il Cittadino delega poteri agli eletti circa specifiche materie, ma conserva il potere di avocare a sé qualunque decisione qualora gli eletti violino i termini del contratto politico stipulato. Avocando a sé la sovranità, la maggioranza dei cittadini può, tramite referendum legislativi (federali) o deliberativi (locali) decidere di modificare o abrogare una legge, o delibera, oppure di promulgarne una nuova. Può anche legiferare in tema di materie tributarie e di trattati internazionali, diversamente da quanto accade nel nostro paese. Può indire un referendum per modificare la costituzione, anziché limitarsi a ratificare le riforme promulgate dal parlamento. Infine, la maggioranza dei cittadini può revocare il mandato agli eletti e indire nuove elezioni.
 IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’
1. Definizione.
Il principio di sussidiarietà (riconosciuto dal trattato dell’Unione Europea di Maastricht) riguarda i rapporti tra Stato e società. Esso é un fondamentale principio di libertà e di democrazia, cardine della nostra concezione dello Stato. Esso si articola in tre livelli:
a) Non faccia lo Stato ciò che i cittadini possono fare da soli: le varie istituzioni statali devono creare le condizioni che permettano alla persona e alle aggregazioni sociali (famiglia, associazioni, gruppi, in una parola i cosiddetti “corpi intermedi”) di agire liberamente e non devono sostituirsi ad essi nello svolgimento delle loro attività. Questo perché la persona e le altre componenti della società vengono “prima” dello Stato: l’uomo é principio, soggetto e fine della società e gli ordinamenti statali devono essere al suo servizio. Per questo motivo lo Stato deve fare in modo che i singoli e i gruppi possano impegnare la propria creatività, iniziativa e responsabilità, impostando ogni ambito della propria vita come meglio credono, risolvendo da soli i propri problemi. In questo modo, si uniscono insieme il massimo di libertà, di democrazia e di responsabilità, sia personale che collettiva.
b) Lo Stato deve intervenire (sussidiarietà deriva da subsidium, che vuol dire aiuto) solo quando i singoli e i gruppi che compongono la società non sono in grado di farcela da soli: questo intervento sarà temporaneo e durerà solamente per il tempo necessario a consentire ai corpi sociali di tornare ad essere indipendenti, recuperando le proprie autonome capacità originarie.
c) L’intervento sussidiario della mano pubblica deve comunque essere portato dal livello più vicino al cittadino: quindi in caso di necessità il primo ad agire sarà il comune. Solo se il comune non fosse in grado di risolvere il problema deve intervenire la provincia, quindi la regione, lo Stato centrale e infine l’Unione Europea. Questa gradualità di intervento garantisce efficacia ed efficienza, libera lo Stato da un sovraccarico di compiti e consente al cittadino di controllare nel modo più diretto possibile. Applicando questo principio, lo Stato si mette davvero al servizio dei cittadini, aiutando la formazione di un cittadino attivo e autonomo, che non sia un suddito passivo e sempre bisognoso di assistenza.
2. Origine.
Il principio di sussidiarietà é uno dei fondamenti della Dottrina Sociale della Chiesa. Di esso si trovano tracce già in autori quali, per esempio, San Tommaso d’Aquino e Dante. In tempi più recenti, di esso parla nella Rerum Novarum (1891) Leone XIII, ma la formulazione classica è contenuta nell’enciclica Quadragesimo Anno (1931) di papa Pio XI: «…siccome non é lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le loro forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così é ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare.» Ne deriverebbe «un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società» poiché «l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa é quello di aiutare in maniera suppletiva (subsidium afferre) le membra del corpo sociale, non già distruggerle ed assorbirle.» Di conseguenza, «é necessario che l’autorità suprema dello Stato rimetta ad assemblee minori ed inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minore importanza» per poter «eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei sola spettano (…) di direzione, di vigilanza, di incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità.»
N.B. Il Trattato di Maastricht (7 febbraio 1992) dichiara che il principio di sussidiarietà é la direttrice fondamentale che guida il processo di formazione dell’Unione Europea.