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lunedì 30 dicembre 2013

Riforma della giustizia, liberi tutti


Provate a indovinare: qual è per il governo la prima emergenza della giustizia dopo i troppi condannati che finiscono in carcere? Non ci arriverete mai, ci vuole un aiutino: la prima emergenza della giustizia in Italia dopo i troppi condannati che finiscono in carcere sono i troppi arrestati che finiscono in carcere.


Quindi, dopo il decreto svuota-carceri, ci vuole una bella legge anti-arresti. Vi sta provvedendo la ministra Cancellieri, coadiuvata da un’apposita commissione presieduta da Giovanni Canzio, il presidente della Corte d’appello di Milano che nel febbraio 2012 impiegò un mese per respingere la ricusazione dei giudici del processo Mills, regalando così a B. la sua ottava prescrizione. Insomma l’uomo giusto al posto giusto per una giustizia più rapida ed efficiente.
Il disegno di legge infatti è comicamente dedicato alla “velocizzazione del processo penale” e prevede alcune novità strepitose. La prima è l’obbligo per il giudice di interrogare l’indagato prima di arrestarlo: oggi infatti capita che alcuni candidati all’arresto, non sapendo di essere nel mirino dei magistrati, si facciano trovare in casa al momento del blitz e dunque finiscano sventuratamente in manette. Il governo ritiene che ciò non sia sportivo: l’arrestando dovrà essere preavvertito col dovuto anticipo della prava intenzione dei giudici, convocato per l’interrogatorio e ivi informato dettagliatamente dei sospetti che gravano sul suo capo: così, ove ritenesse ingiusto il proprio arresto, avrà modo di dileguarsi per tempo.
La seconda ideona è quella di affidare la decisione sulle richieste di cattura dei pm a un collegio di tre giudici. Oggi se ne occupa uno solo, il gip, anche perché poi l’arrestato può ricorrere al Tribunale del Riesame (tre giudici) e, se gli va buca, alla Cassazione (5 giudici). Ma, per il governo, un pm e 9 giudici non bastano ancora. Dunque ciò che oggi fa uno solo domani lo faranno in tre, così si spera che litighino fra loro e lascino perdere.
L’effetto accelerante di una simile norma non può sfuggire. Naturalmente nei tribunali più piccoli sarà difficile trovare tre giudici liberi, o non incompatibili per essersi già occupati di vicende affini: così molte catture non si faranno più o andranno alle calende greche. Il ddl governativo parla di sopprimere i tribunali del Riesame, che però oggi intervengono in seconda battuta ed esaminano un numero molto inferiore di casi (e quando il sospettato è già stato assicurato alla giustizia). In ogni caso si fa presto ad aggiungere un ente, mentre è molto complicato sopprimerne uno (vedi l’accrocco fra regioni e province).
Terza novità: niente più limiti al colloquio nei primi cinque giorni fra l’arrestato e il difensore (salvo per mafia e terrorismo). È una norma di elementare buonsenso per evitare che l’arrestato, prima dell’interrogatorio, venga istruito a tacere o a mentire secondo un copione prestabilito. Ora invece sarà un gioco da ragazzi per l’avvocato “formattare” l’arrestato per dettargli le cose da dire e quelle da non dire, i complici da inguaiare e i mandanti da salvare, specie nei processi di corruzione e criminalità finanziaria, dove spesso il difensore rappresenta non solo il singolo, ma l’intera organizzazione criminale.
L’ultima genialata è l’idea di escludere dal giudizio abbreviato le parti civili, che per il risarcimento dei danni dovranno avviare una separata causa civile, costosissima e lunghissima. Così le vittime di delitti gravissimi (l’abbreviato è previsto persino per l’omicidio) saranno escluse da molti processi: un capolavoro.
Ma non basta ancora, perché il ddl governativo verrà integrato con la legge anti-manette Ferranti & C. appena varata in commissione Giustizia. Questa fra l’altro – come spiega Valeria Pacelli sul Fatto Quotidiano di oggi – rende praticamente impossibile arrestare gli incensurati. Che non sono soltanto i delinquenti alla prima impresa, ma anche quelli rimasti impuniti e beccati per la prima volta. A questo punto manca soltanto un codicillo: l’arresto obbligatorio, per manifesta pericolosità sociale, del pm che chiede un arresto.
In galera.
Il Fatto Quotidiano, 29 Dicembre 2013

venerdì 13 dicembre 2013

Tutti i limiti del sindacato. Intervista a Luciano Gallino



intervista di Roberto Ciccarelli a Luciano Gallino, il manifesto, 12 dicembre 2013
Con il socio­logo tori­nese Luciano Gal­lino riflet­tiamo sulla con­sta­ta­zione della segre­ta­ria Cgil Susanna Camusso secondo la quale «nell’attuale qua­dro eco­no­mico e sociale non è più suf­fi­ciente evo­care lo scio­pero gene­rale come unica moda­lità in cui si deter­mina il con­flitto sul tema del lavoro». Su que­sta affer­ma­zione si è tor­nati a riflet­tere ieri a Roma durante la pre­sen­ta­zione del libro «Orga­niz­zia­moci» (Edi­tori Riu­niti) che rac­conta alcune forme alter­na­tive di pro­te­sta: il «com­mu­nity organi­zing» teo­riz­zato dal grande teo­rico ame­ri­cano Saul Alin­sky, quello pra­ti­cato oggi da sin­da­ca­li­sti come Valery Alzaga nella sua forma di «labour organizing».

«È un’affermazione che cerca di rispon­dere ad una tra­sfor­ma­zione epo­cale — risponde Gal­lino — La pro­du­zione è stata fram­men­tata nelle catene glo­bali del valore e que­sto ha inde­bo­lito il potere dei sin­da­cati e dei lavo­ra­tori. Un conto è quando uno scio­pero inter­rompe la pro­du­zione in uno sta­bi­li­mento. Un altro è quando quella stessa pro­du­zione è divisa in dieci sta­bi­li­menti in quin­dici paesi. In que­ste catene il peso del sin­golo anello pro­dut­tivo o azien­dale è molto dimi­nuito ed è anche facil­mente sosti­tui­bile. Se un’azienda in Thai­lan­dia non fun­ziona, si passa in India».

I sin­da­cati hanno capito come con­tra­stare que­sta stra­te­gia?Non mi pare si sia fatto abba­stanza. Lo scio­pero è sto­ri­ca­mente nato per recare danno ad un’impresa. Si sup­pone che l’interruzione della pro­du­zione per un giorno o più sia un danno per il capi­tale. Con la gra­vis­sima crisi in cui spro­fonda l’Europa, e il mondo intero, è para­dos­sale con­sta­tare che que­sta asten­sione con­viene alle imprese che sof­frono di un eccesso di capa­cità pro­dut­tiva. Que­sta con­co­mi­tanza ha ridotto il potere del lavoro. A ciò si aggiunge l’azione poli­tica con­tro i sin­da­cati che nel nostro paese reg­gono ancora in qual­che modo, men­tre in altri paesi le iscri­zioni sono crol­late. Ciò non toglie che i sin­da­cati abbiano respon­sa­bi­lità non da poco nella loro dif­fi­colta a chia­mare a rac­colta i lavoratori.

Lo scio­pero, tut­ta­via, non è affatto tra­mon­tato come forma di lotta. Basti pen­sare a quelli auto-organizzati dai tran­vieri a Genova o a Firenze con­tro la pri­va­tiz­za­zione del tra­sporto pub­blico. Che impatto hanno avuto, se ne hanno avuto uno, sulla Cgil?Que­gli scio­peri hanno avuto un obiet­tivo spe­ci­fico e impor­tante: cer­care di inter­rom­pere la folle corsa alla pri­va­tiz­za­zione, per modi­fi­care le poli­ti­che gestio­nali ma soprat­tutto, come è acca­duto anche a Torino, per fare cassa. Genova su que­sto tema ha richia­mato una note­vole atten­zione, anche se non mi pare abbia influito sul governo il cui chiodo fisso è pri­va­tiz­zare. Con­trap­porsi oggi alle pri­va­tiz­za­zioni signi­fica bat­tersi con­tro una forma di lotta poli­tica che la classe diri­gente del nostro paese con­duce con­tro i beni pub­blici, i beni comuni e la pos­si­bi­lità di par­te­ci­pare in qual­che modo alle deci­sioni poli­ti­che. In que­ste lotte, non mi pare che la Cgil abbia bat­tuto con forza il pugno sul tavolo.

Com’è cam­biato il ruolo della Cgil dalla mani­fe­sta­zione al Circo Mas­simo nel 2002 alla quale par­te­ci­pa­rono 3 milioni di per­sone?È cam­biato molto. Biso­gna dire che il 2002 era l’anno in cui si stava tam­po­nando lo scop­pio della bolla delle dot com, le imprese inter­net con miliardi in borsa. Il pro­cesso che oggi abbiamo sotto gli occhi era già avan­zato. Allora però c’era ancora la domanda aggre­gata e ciò per­met­teva una libertà di mano­vra che oggi non c’è più. Anche per que­sto lo scio­pero diventa un’arma spuntata.

Nel frat­tempo sem­bra essere defi­ni­ti­va­mente sal­tato il clas­sico legame tra par­tito e sin­da­cato, tra Cgil e Pd che sem­brava essere assi­cu­rato ancora da Epi­fani e oggi sem­bra escluso con Renzi. Un rap­porto che già ai tempi di Cof­fe­rati aveva cono­sciuto ten­sioni, in par­ti­co­lare con la «sini­stra» Pd…Già ai tempi di Cof­fe­rati c’erano pro­blemi, figu­ria­moci adesso che il rap­porto è eva­ne­scente, visto che per quello che si sa, le pro­po­ste eco­no­mi­che e sul lavoro di Renzi vanno in dire­zione di un ulte­riore allon­ta­mento. Quel po’ di sini­stra che esi­steva nel Pd mi pare che dopo gli ultimi cam­bia­menti si sia ridotta ulte­rior­mente. Il sin­da­cato, parlo soprat­tutto della Cgil, ha biso­gno di un par­tito a cui appog­giarsi. Se non c’è un rife­ri­mento cul­tu­rale o poli­tico, si ritrova solo. Con la segre­te­ria di Renzi quel po’ di soste­gno che nono­stante tutto c’era nel Pd scen­derà ulte­rior­mente. Mi pia­ce­rebbe essere smentito.

Cosa pensa di forme di lotta come quelle con­tro le grandi opere o per i beni comuni?Ser­vono, figu­ria­moci. In più abbiamo la neces­sità di pen­sare a migliaia di pic­cole opere per ridare un certo pre­gio alle cose che sono dege­ne­rate negli ultimi anni. Però il loro impatto sulla dimen­sione strut­tu­rale del capi­ta­li­smo non c’è o è molto pal­lida. Que­ste lotte hanno un’utilità per certi scopi spe­ci­fici, come si è visto con il refe­ren­dum sull’acqua. Anche se poi i comuni se ne sono infi­schiati. Lo si è visto nello scio­pero dei tra­sporti a Genova dove il discorso sui beni comuni ha avuto un’incidenza. Biso­gna però chie­dersi per­chè i poli­tici insi­stono per dare sem­pre più spa­zio alla vul­gata neo­li­be­rale. Ci sono ecce­zioni, ma la mag­gio­ranza dei comuni è domi­nata dall’ideologia neo­li­be­rale che domina nel governo e nei par­titi poli­tici, nes­suno escluso, o quasi.

Dun­que, insieme alla ricerca di forme di pro­te­ste alter­na­tive biso­gna par­tire da una bat­ta­glia cul­tu­rale che con­tra­sti l’ideologia domi­nante?È così. Oggi siamo ad un bivio: da un lato c’è la demo­cra­zia, dall’altro il capi­ta­li­smo. È pos­si­bile avere l’una senza l’altro? È pos­si­bile un qual­che tipo di accet­ta­bile con­ci­lia­zione tra i due come nel tren­ten­nio dopo la seconda guerra mon­diale? Lo sarà solo se alcuni milioni di per­sone si sve­glie­ranno, insieme ai par­titi poli­tici. Oggi, pro­ba­bil­mente, una qual­che solu­zione è pos­si­bile. Altri­menti andremo verso un capi­ta­li­smo senza demo­cra­zia o con forme dav­vero povere di democrazia.

(12 dicembre 2013

giovedì 12 dicembre 2013

Mafia parla, Stato tace

Il Fatto quotidiano

12 dicembre 2013 -  
Marco Travaglio
dimatteoDa oltre un anno il pm antimafia Nino Di Matteo, che sostiene l’accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia, è minacciato di morte proprio per quel processo e per le indagini collegate tuttora in corso. Nel settembre 2012 gli giunse un dossier anonimo di 12 cartelle con lo stemma della Repubblica italiana, di chiara fonte investigativo-istituzionale: lo avvertiva che insieme ai colleghi impegnati sul caso trattativa era spiato da “uomini delle istituzioni” che poi riversano le informazioni a una “centrale romana”, che si stava inoltrando su terreni pericolosi, che doveva fidarsi solo di Ingroia, che una serie di politici della Prima Repubblica coinvolti nella trattativa non erano stati ancora toccati dalle indagini e che l’agenda rossa di Borsellino era stata trafugata da un carabiniere. Seguirono alcune lettere anonime con minacce mafiose e annunci di un imminente attentato avallato da Totò Riina dal carcere. Il 26 marzo, un mese dopo le elezioni, giunse la famosa doppia lettera scritta al computer da un anonimo sedicente “uomo d’onore della famiglia trapanese” che annunciava l’eliminazione di Di Matteo “in alternativa a quella di Massimo Ciancimino”, “chiesta dagli amici romani di Matteo” (il boss Messina Denaro) con l’“assenso di Matteo” (sempre il capomafia di Trapani), “perché questo paese non può finire governato da comici e froci”. Anche quell’anonimo era uomo di apparati istituzionali, conoscendo a menadito gli spostamenti di Di Matteo e di un altro pm palermitano in servizio a Caltanissetta (forse Nico Gozzo) e i punti deboli dell’apparato di sorveglianza. Per tutta l’estate vari confidenti delle forze dell’ordine hanno confermato progetti di attentato contro Di Matteo con 15 kg di tritolo già arrivati a Palermo, mentre un superesperto di esplosivi illustrava anonimamente i sistemi per neutralizzare il “bomb jammer”, il robot che da mesi si pensa di assegnare alla scorta del pm per il disinnesco preventivo di eventuali ordigni.  A fine giugno Riina confidava a un agente penitenziario, che lo scortava in una trasferta processuale, che per la trattativa “io non cercavo nessuno, erano loro (lo Stato, ndr) che cercavano me” e “mi hanno fatto arrestare Provenzano e Ciancimino, non come dicono i carabinieri”. A quel punto Di Matteo decide di intercettare Riina in un luogo aperto del carcere di Opera dove il boss è solito appartarsi nell’ora d’aria con un boss della Sacra Corona Unita pugliese, Alberto Lorusso. Dal 2 agosto in poi è un’escalation di minacce di morte: Riina è ossessionato da Di Matteo e da quel che potrebbe emergere dal processo e dalle nuove indagini sulla trattativa (“questi cornuti portano pure Napolitano”, cioè i magistrati citano il presidente come teste). E ripete continuamente che bisogna “fargli fare la fine del tonno”. L’ultima volta, il 16 novembre, prima delle fughe di notizie che inducono i pm a levare le cimici, il capo dei capi ordina: “Tanto deve venire al processo, è tutto pronto. Organizziamola questa cosa, facciamola grossa, in maniera eclatante, e non ne parliamo più, dobbiamo fare un’esecuzione come quando c’erano i militari a Palermo”. Chissà perché un boss al 41-bis può chiacchierare con un collega di un’altra organizzazione. Chissà perché – come suggerisce Lirio Abbate – il ministero della Giustizia e il Dap non gli applicano il 14-bis dell’ordinamento penitenziario, che consente ulteriori limitazioni al carcere duro fino a sei mesi. Ieri Di Matteo – fatto mai accaduto a un magistrato antimafia, neppure nel ’92 – non ha potuto presenziare per motivi di sicurezza all’udienza milanese del processo sulla trattativa, proprio quella dedicata all’audizione di Giovanni Brusca, che nel ’96 svelò i negoziati fra il Ros e Riina tramite Ciancimino. Avrebbe dovuto muoversi su un carrarmato Lince tipo Afghanistan, e comprensibilmente ha rifiutato.
C’era da attendersi almeno in questi giorni, dopo l’allarme lanciato dal ministro dell’Interno Alfano e la visita eccezionale di domenica al Viminale dei procuratori di Palermo e Caltanissetta, Messineo e Lari, una parola di solidarietà a Di Matteo dall’Anm, dal Csm, dal premier Letta e dal presidente Napolitano. Invece dalle cosiddette istituzioni tutto tace.  Letta jr. difende lodevolmente i giornalisti “messi alla gogna” da Grillo (non quelli minacciati dal suo viceministro De Luca), ma il caso Di Matteo non gli risulta. E che dire del Colle? Ha oggettivamente contribuito a isolare i pm della trattativa trascinandoli dinanzi alla Consulta, presiedendo il Csm che da un anno processa disciplinarmente Di Matteo (per un’intervista sulle sue telefonate con Mancino) e accampando scuse puerili per non testimoniare al processo.  Ora dovrebbe precipitarsi a Palermo per rispondere alle domande dei pm e dimostrare anche plasticamente che lo Stato è con loro, anche rinunciando al privilegio di essere ascoltato nel suo ufficio al Quirinale. Invece niente, silenzio di tomba anche di lì.  A questo punto tocca ai cittadini far sentire la loro vicinanza a Di Matteo, ai suoi colleghi e agli agenti delle scorte. La migliore scorta siamo tutti noi.

IO NON SCENDO IN PIAZZA CON TE :

 di Ettore Ferrini su Facebook
Dal web :
  "Forse non ci siamo capiti. I miei non sono preconcetti e non sono radical chic. Il fatto che contestiamo le stesse cose non ci rende fratelli. Tu vuoi mandare tutti a casa, io alla parola "tutti" non ci ho creduto mai, perché sta alla base del razzismo e della discriminazione. Tu parli di uguaglianza, io alla parola "uguali" non ci ho creduto mai, io credo alla parità. Tu minacci quelli che non la pensano come te, io mi ci confronto. Tu cerchi il supporto dei poliziotti, io non ho mai fatto il ruffiano con gli arbitri perché sono le mie idee che devono vincere, non io. Tu credi che la gente sia sempre migliore di chi la governa, io no. Tu pensi ogni volta che sarà un grande uomo a salvarci e questo accade perché evidentemente non hai mai aperto un libro di Storia. No, io non ci vengo in piazza con te, perché tu per ottenere ciò che vuoi sei disposto a distruggere la Democrazia, io invece per salvare la Democrazia sono disposto a distruggere te."

Le strette intese e l’Antistato

La strage di Piazza Fontana

12 dicembre 2013 - Nessun Commento »
piazzafontanaUn altro 12 dicembre un altro anniversario senza giustizia. La verità oramai la sappiamo, e conosciamo la macchina infernale fatta di ideatori, esecutori e depistatori che si mise all’opera ancora prima della strage per incolpare gli anarchici e dare una sterzata in senso autoritario alla democrazia italiana.
L’antistato non hai mai tirato i remi in barca. Il suo lavoro e le tragedie che dissemina per il nostro Paese non hanno mai fine. Oggi, che il suo volto rischia finalmente di essere disvelato, si dedica a cercare di fermare l’inchiesta della Procura di Palermo.
Mai nella nostra storia un PM si era visto bloccato nel suo compito di interrogare un testimone chiave.
Mai gli era stato offerto di muoversi dentro un blindato.
Il presidente del consiglio Letta questa Italia non la conosce. Sa che molti vorrebbero che rimanesse forte e segreta… La fiducia che ha ottenuto dalle Camere ignora, ottunde, minimizza. Copre di un imbarazzante silenzio il territorio prigioniero delle mafie. Non offre un progetto di riscatto.
Doveva essere il primo punto di un governo che parte oggi, che deve risalire la china della vergogna. Peccato. Le strettissime intese pensano che basterà chiudere il Senato, colpevole di aver cacciato Berlusconi, per rifarsi la faccia.
Peccato. Noi un momento per dedicare il pensiero alle centinaia di vittime dell’ antistato e del potere occulto lo troveremo.
Onore ai morti del 12 dicembre 1969.

mercoledì 20 novembre 2013

Vendola: accuse, risate e arrampicate sugli specchi

 di | 20 novembre 2013

Quando, sia pure con 24 ore di ritardo, aveva detto di vergognarsi per aver “riso di quel giornalista che faceva il suo mestiere” pensavamo che Nichi Vendola avesse abbandonato ogni goffa velleità da arrampicatore sugli specchi. Dopo il tempo delle querele e delle mancate dimissioni pareva finalmente arrivato quello delle scuse e delle spiegazioni. Purtroppo ci sbagliavamo.
Davanti al suo consiglio regionale il governatore pugliese ci ricasca. E, tra lo stridore delle unghie, ci accusa come un Berlusconi qualsiasi di aver truccato le carte. Afferma che l’ilare e ossequiosa chiacchierata col responsabile delle relazioni esterne dell’Ilva, Girolamo Archinà, è stata montata da ilfattoquotidiano.it “allungando” il tempo delle sue risate. Sostiene che c’è stato qualche “ritocco” perché nella telefonata c’era qualche “problema”. E dice di averlo scoperto “solo stanotte perché io e il mio avvocato non avevamo il file audio di quella intercettazione”.
Vale la pena di ricordare al leader di Sinistra ecologia e libertà che il sonoro della telefonata integrale è stata pubblicato contestualmente al servizio in cui venivano mostrate le immagini della “scena fantastica” che lo aveva fatto “ridere un quarto d’ora”: spezzoni del video in cui si vede Archinà strappare il microfono a un cronista locale colpevole solo di aver posto a Emilio Riva le domande sui morti per tumore. Il servizio, in cui sono stati rispettati i tempi delle risate e della pause, è stato corredato di cartelli esplicativi e montato per rendere agevole al lettore la comprensione dell’accaduto. E, esattamente come si fa in ogni pezzo di cronaca giudiziaria, nella stessa pagina e nello stesso momento, è stato pubblicata anche la documentazione processuale originale, in questo caso l’audio integrale.
Nichi Vendola, insomma, non dice il vero. E lo fa perché se lo può permettere.
In qualsiasi democrazia matura il primo e più importante potere di controllo è rappresentato non dalla stampa o dalla magistratura. Dove la democrazia funziona a controllare l’operato di chi governa sono le opposizioni. Ma in Puglia, come in gran parte d’Italia, le opposizioni latitano. Regolarmente. Anche perché qui il centrodestra ancor più della maggioranza di sinistra è abituato ad andare a braccetto con gli inquinatori dell’Ilva.
Così il governatore può presentarsi davanti ai consiglieri regionali e accusare ilfattoquotidiano.it senza che nessuno durante otto ore di dibattito lo contraddica o presenti una mozione di sfiducia. Il capogruppo del Pdl si limita a una generica richiesta di dimissioni. Quello di Sel, Michele Losappio, più volte intercettato con Archinà, ovviamente lo difende. Ma finisce per strafare e definisce il nostro scoop “una cosa organizzata da estremisti grillini”. Gli altri non parlano o parlano (quasi) d’altro. I consiglieri stanno ben attenti a non chiedere perché dagli atti depositati nell’inchiesta che vede Vendola indagato per concussione emergano molti particolari curiosi. Per esempio decine e decine di amichevoli telefonate del responsabile delle relazioni esterne Ilva a politici di ogni colore, ordine e grado, più un singolare sms inviato alla vigilia di Pasqua 2010 da Onofrio Introna, attuale presidente del consiglio regionale: “Ringrazio per il prezioso sostegno alla mia rielezione”.
Non sarà per particolari come questi che la politica in Italia demanda ormai regolarmente alla magistratura il compito di selezionare le proprie classi dirigenti? Il dubbio viene. A scioglierlo a questo punto può essere solo Nichi Vendola. In pubblico gli rinnoviamo l’invito che i nostri giornalisti gli hanno già fatto pervenire in privato: venga alla web tv del Fatto per discutere in diretta streaming di Ilva e di libertà cronaca, di comportamenti e non di reati. Non lo aggrediremo, ne può star certo. Il microfono non gli verrà strappato.  Senza risate abbiamo solo qualche civile ed educata domanda da porgli.

Archinà, Manna e gli uomini di Nichi - di Sandra Amurri

 20 novembre 2013 alle ore 10.31

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     PREMETTO PER CHI NON LO SAPESSE - CHE SANDRA AMURRI NON E' UNA PERICOLOSA GRILLINA, MA ALLE ULTIME ELEZIONI ERA CANDIDATA NELLA LISTA DI ANTONIO INGROIA.......INDIVIDUARE LE RESPONSABILITA' DOVREBBE ESSERE UN "DOVERE" DI TUTTI E NON ESSERE TACCIATO COME UN PERSECUTORE, QUANDO SI TRATTA DI CHI ABBIAMO SCELTO COME REFERENTE**************


Le quasi 500 carte dell’ordinanza dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari consegnate ai 53 indagati, compreso Vendola, e le migliaia di file tra sms e telefonate appare regalano la fotografia del sistema messo in piedi dall’ex operaio assurto a dirigente tuttofare dell’Ilva Girolamo Archinà che si reggeva sulla benevolenza di politici nazionali e non, esponenti istituzionali, sindacalisti, giornalisti e sacerdoti. Onofrio Introna, socialista storico passato a Sel, attuale presidente del consiglio regionale, la vigilia di Pasqua scrive ad Archinà per fargli gli auguri e a seguire: “Ringrazio per il prezioso sostegno alla mia rielezione”.    SIAMO ALLE ELEZIONI regionali del 2010 per Archinà un filo prezioso per tessere la sua tela. Archinà si incontra con Michele Losappio, attuale capogruppo di Sel, ex assessore all’ambiente nel primo governo Vendola. Non gli va giù lo spot che descrive l’Ilva causa di tutti i mali di Taranto, scelto da Alfredo Cervellera di Sel per la campagna elettorale. Poi Cervellera gli invia due sms elettorali: “Ti ringrazio di tutto ciò che hai fatto e farai per me con affetto Alfredo Cervellera” e “domenica 28 e lunedi 29 vota e fai votare Vendola, il suo Partito Sel con Vendola e se vuoi invita famigliari e conoscenti a scrivere sul rigo Cervellera”. Vendola vince e nomina assessore all'ambiente il magistrato Lorenzo Nicastro e ad Archinà non piace e se ne lamenta al telefono con il deputato del Pd Ludovico Vico. L’indomani tocca a Losappio “sono preoccupato dell’incarico   a Nicastro” in quanto è dell’Idv che a Taranto hanno un “pazzo” che rema contro l’Ilva. Losappio lo rassicura promettendogli che da fuori della giunta seguirà tutto come se ne facesse parte e Archinà lo ricambia con la sua speranza che venga eletto presidente della Commissione Ambiente. Losappio risponde che si vedrà e aggiunge che il solo che può fornirgli garanzie è il Presidente Nichi. Prima di terminare la densa conversazione degna di due che dovrebbero essere dalla parte opposta della barricata, Archinà dice a Losappio che è necessaria una regia nascosta. A cui Losappio risponde che occorre dire a Vendola che il problema non è solo dell’ambiente ma anche lavoro, occupazione e sviluppo”. Tralasciando un piccolo particolare: il tributo di morti pagato dalla città. A fine settembre, sempre Losappio spiega ad Archinà il disegno di legge sul benzo(a)pirene, premurandosi di dirgli che le modifiche che avrebbe voluto apportare alla proposta non sono passate. Loro cinguettavano e i tarantini continuavano a essere avvelenati dal benzio(a)pirene – secondo l'OMS genotossico e causa di gravi mutazioni genetiche – che per il 98% proveniva dalla cokeria dell’Ilva. Come stabilito dalla relazione dell’Arpa del 4 giugno 2010. Uno sgarbo da dover far pagare al direttore dell’Arpa Giorgio Assennato, il grande assente alla conferenza stampa di presentazione del monitoraggio. Di fronte a un dato così agghiacciante che anche gli enti locali rassicuravano sarebbe rientrato nei limiti nel 2012, gli ambientalisti fanno un esposto in Procura. Scrive la Gip Patrizia Todisco nell’ordinanza, luglio 2012, “Già in precedenza i vertici Ilva avevano   presagito che la questione delle emissionidibenzio(a)pireneavrebbepotutopotenzialmente nuocere allo stabilimento. Eloquente la conversazione (5/05/2010) allorquando l’Archinà contattava Francesco Manna capo di gabinetto della Regione affinché intervenisse su Antonicelli (l’allora dirigente all’ambiente della Regione) e Assennato sollecitandoli ad instaurare il predetto tavolo tecnico sul benzio(a)pirene. L’avvocato Manna aderendo chiaramente alla richiesta dell’Archinà   replicava che già in precedenza era intervenuto dicendo di stare calmi”. Francesco Manna, indagato, aveva mostrato a Vendola il video di Archinà che strappa il microfono al giornalista: “non posso riprendersi dalla risate” nel-l’aver visto quello “scatto felino... col mio capo di gabinetto siamo rimasti molto colpiti...” Lo stesso Manna al quale Archinà il 6 luglio 2010 spedisce l’avviso giudiziario recapitato all’ingegnere Luigi Capogrosso, ex direttore dell’Ilva, con   scritto: “Gentile, ciò che temevo si è verificato grazie adArpaPuglia e al sindaco di Taranto. Mi chiedo a che serve essere leali e collaborativi? Ti saluto cordialmente”. Manna: “Ho dato copia dell’allegato al presidente. Un abbraccio”. Ora capo di Gabinetto è David Pellegrino, anche lui indagato, marito della giornalista dell’Ansa Paola Laforgia, presidente dell’ordine dei giornalisti Puglia che ha ignorato il caso Abbate, il giornalista di Blustar, al cui microfono uscendo dal consiglio Vendola ha detto: “Non ho riso di lei ma di Archinà che appariva come un maggiordomo zelante o Ridolini... comunque lui era l’unica colomba con cuisipotevaparlare”.Pensasefossestato un falco.

lunedì 11 novembre 2013

CHE FARE - Intervista a Nando Ioppolo A cura di Elia Menta

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domenica 10 novembre 2013

La Corte Costituzionale: uno scandalo nascosto

Forse il più grande scandalo della pubblica amministrazione in Italia è anche uno dei più nascosti: la Corte Costituzionale. Per ovvie ragioni, pochi hanno il coraggio di parlarne. Ma i bilanci parlano da soli: sentiamo cosa dicono ((premessa: per motivi ignoti, la Corte Costituzionale pubblica su Internet solo i bilanci di previsione, anche per gli anni passati).
Di Roberto Perotti* (Lavoce.info)
I giudici italiani guadagnano il triplo dei colleghi statunitensi. Cominciamo dalle retribuzioni (Tabella 1). La retribuzione lorda del presidente della Corte è di 549.407 euro annui, quella dei giudici di 457.839  euro (2). La retribuzione media lorda dei 12 giudici britannici è di 217.000 euro, meno della metà. Il Canada è simile:  234.000 euro per il presidente, 217.000 per i giudici. Negli USA siamo a circa un terzo della retribuzione italiana: 173.000 euro per il presidente e 166.000 per i giudici.
Tabella 1: Un confronto internazionale delle retribuzioni dei giudici
cc1
* Media dei 12 giudici.  Fonti: vd. nota (3).
Hanno il telefono domestico pagato dalla Stato. Ma la differenza fra la remunerazione dei giudici italiani e i colleghi stranieri è fortemente sottostimata. Il dato italiano non include svariati benefits in natura. Le auto blu, in primis, su cui vedi sotto. Inoltre i costi dei singoli viaggi ferroviari, aerei o su taxi  effettuati per ragioni  inerenti alla carica sono a carico della corte; ogni auto abbinata ad ogni giudice ha una  tessera viacard e il telepass; i giudici  dispongono di un cellulare e di un pc portatile i costi dell’utenza telefonica domestica sono a carico della Corte (salvo rinuncia del singolo giudice); i giudici dispongono inoltre di una foresteria, composta di uno o due  locali con annessi servizio igienico e angolo cottura,  nel Palazzo  della Consulta o nell’immobile di via della Cordonata. (4)
La nostra Corte costa il triplo di quella britannica. Ma vediamo un confronto più completo sui costi totali della Corte Costituzionale in Italia e in Gran Bretagna, riferite al 2012.
 Tabella 2: Spesa totale escluse pensioni, 2012
cc2
*Include oneri, non include pensioni.  Dati in migliaia di Euro.
Fonte: vd. nota (5)
Escludendo le pensioni, su cui non ho i dati per la Gran Bretagna, la corte italiana (15 giudici) costa oltre tre volte quella inglese (12 giudici). Pensione media di giudici e superstiti: 200.000 euro. Ma quanto costano le pensioni alla Corte Costituzionale italiana?
Tabella 3: Le pensioni alla Corte Costituzionale, 2013
cc3
Fonti: vd. nota (6)
Per il 2013 la Corte Costituzionale prevede di pagare a ex giudici della CC e loro superstiti 5,8 milioni di pensioni. Al momento vi sono 20 ex giudici percettori di pensione e 9 superstiti. La pensione media è dunque esattamente di 200.000 euro all’anno.  C’è da sorprendersi che la Consulta abbia bloccato il seppur minimo taglio alle pensioni d’oro proposto dal governo Monti? La spesa totale per pensioni di ex dipendenti e superstiti sarà di 13,5 milioni. Vi sono  120 ex dipendenti e 78 superstiti percettori di pensioni; la pensione media del personale in quiescenza è dunque di 68.200 Euro.
Ogni giorno, ogni giudice costa 750 euro di sole auto blu. Esattamente: per ogni giudice, ogni giorno lavorativo si spendono in media 750 euro per le sole auto blu. Vediamo come si arriva a questa cifra. I giudici in carica hanno diritto un’ auto blu e due autisti; i giudici in pensione ad un’ auto blu per il primo anno di pensione (fino al settembre 2011 era per tutta la vita). La spesa totale per “Noleggio, assicurazione e parcheggio autovetture” + “Carburante per autovetture” + “Manutenzione, riparazione e accessori per autovetture”  nel 2013 sarà di 758.000  euro. Ma  questo senza calcolare la spesa per gli autisti. Assumendo prudenzialmente un costo per lo Stato di 50.000 Euro per autista, e (come confermatomi dalla Corte) due autisti per giudice, arriviamo a un totale di circa 2,25 milioni, esattamente 150.000 Euro all’anno per giudice. Calcolando 200 giorni lavorativi all’anno per giudice, questo significa 750 euro al giorno per giudice di sola spesa per autovetture. Probabilmente, costerebbe  meno far viaggiare i giudici in elicottero, magari chiedendo loro la gentilezza di fare un po’ di helicopter-pooling.
(1) Tra le eccezioni: Primo de Nicola: “Alla corte dei privilegi“,  L’ Espresso, 30 Aprile 2008
(2) Comunicazione email della segreteria della Corte Costituzionale all’ autore.
(3) Dati convertiti in euro usando i tassi di cambio a parità di potere d’ acquisto per il 2012. Fonti:
Italia: comunicazione personale dall’ Ufficio Stampa della Corte Costituzionale, e Bilancio della Corte Costituzionale del 2012 (per il valore medio);
GB: Supreme Court Annual Report and Account, 2012-13 (pp. 90 e 91, note 6.A e 6.C);
Canada: Judges Act;
USA: Federal Judicial Center
(4) Comunicazione email dell’ Ufficio Stampa della Corte all’ autore. Per  i giudici britannici abbiamo una stima delle spese di trasporto totali: 31.122 euro, cioè 2.677 a testa all’ anno. Più 4.443 euro (370 a giudice) per altre spese. Questo dato si riferisce al 2010, ultimo anno disponibile. Si veda qui.
(5) Fonti: Italia: Bilancio della Corte Costituzionale del 2012, GB: Supreme Court Annual Report and Account, 2012-13 (pp. 90 e 91, note 6.A , 7,  8 e 10); (6) Fonte: Bilancio della Corte Costituzionale del 2013

*Bio dell’autore: Roberto Perotti ha conseguito il PhD in Economics al MIT nel 1991. Dopo 10 anni alla Columbia University di New York e due anni all’European University Institute di Firenze, dal 2001 e’ all’IGIER-Universita’ Bocconi e dal 2006 e’ ordinario presso la stessa universita’. E’ research associate del National Bureau of Economic Research e del Center for Economic Policy Research. E’ stato consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Banca Interamericana per lo Sviluppo, della Banca Centrale Europea, della Fed, e della Banca d’Italia. E’ stato redattore de lavoce.info fino al 2012.

martedì 5 novembre 2013

Cancellieri al Senato: “Mai sollecitata la scarcerazione di Giulia Ligresti”

Il ministro della Giustizia al Senato: "Passo indietro se non c'è la fiducia del Parlamento". Applausi da quasi tutti i banchi della maggioranza e anche dal presidente del Consiglio Letta. I Cinque Stelle: "Non poteva mettersi a disposizione di un'intera famiglia per cui ha lavorato suo figlio. In Italia c'è un tessuto di potere in Italia che è un intreccio che andrebbe definitivamente bonificato". Anche la Lega chiede un passo indietro. Zanda (Pd): "Telefonata inopportuna, ma continui la sua lotta"

Cancellieri al Senato: “Mai sollecitata la scarcerazione di Giulia Ligresti”
“Non ho mai sollecitato la scarcerazione di Giulia Ligresti“. Il ministro Annamaria Cancellieri ha ribadito davanti alle Aule di Senato e Camera la sua versione sul caso Ligresti. “A differenza di quanto è stato riportato sui media – ha spiegato la Guardasigilli – non ho mai sollecitato nei confronti degli organi competenti la scarcerazione della signora Giulia Ligresti né indotto altri a simile comportamento”. In qualche modo l’ex prefetto ha rimesso il mandato al giudizio del Parlamento senza escludere quindi la possibilità di un passo indietro: “Non esiterò a fare un passo indietro qualora venga meno o sia inclinata la fiducia istituzionale nei miei confronti. La fiducia del Parlamento è fondamentale per la vita di un ministro, non voglio essere d’intralcio”. Già nelle ore precedenti il ministro Cancellieri aveva chiarito – tra l’altro - di essere amica di Antonino Ligresti (fratello di Salvatore, il più noto della famiglia) da oltre trent’anni e che comunque non accetterebbe di essere un “ministro dimezzato”.
La Cancellieri ha ripetuto che si occupa di tutte le segnalazioni che riceve quotidianamente dal momento che “ogni vita che si spegne è una sconfitta per lo Stato. Io ne sento tutto il peso”. Nel caso di Giulia Ligresti, ha sottolineato, “se non fossi intervenuta sarei venuta meno a miei doveri di ufficio”. Sui legami con Fonsai il ministro ha precisato: “Quando mio figlio è stato assunto da Fonsai, io avevo appena cessato il mio incarico da commissario del comune di Bologna ed ero una tranquilla signora in pensione. Sono e voglio essere considerata una persona libera, che non ha contratto debiti di riconoscenza a cui non potrebbe sottrarsi”. L’intervento della Cancellieri ha convinto tutta la maggioranza, visto che non solo il presidente del Consiglio Enrico Letta, ma anche Pdl, Scelta Civica e la gran parte del Partito democratico hanno applaudito quando la Guardasigilli ha concluso la sua “difesa”. In Aula erano presenti tra gli altri Dario Franceschini, Graziano Delrio, Giampiero D’Alia, Mario Mauro, Emma Bonino. Nessuno dei ministri del Pdl, ma il sostegno dei berlusconiani non pare in dubbio: “Noi non chiederemo – ha detto il capogruppo al Senato Renato Schifani – le sue dimissioni e la inviteremo a continuare nel suo impegno”. Più sfumata la posizione del Pd, ma il risultato resta: “Sono certo – ha spiegato il capogruppo di Palazzo Madama Luigi Zanda – che il ministro Cancellieri continuerà a lottare per risolvere il problema delle carceri italiane. Convengo con il ministro Cancellieri per il rammarico per la telefonata, i cui contenuti sono francamente inopportuni, e per non aver usato quel distacco istituzionale che sarebbe stata opportuno”.
Non hanno battuto le mani invece i senatori del Movimento Cinque Stelle e Lega Nord, gli unici a chiedere un passo indietro del ministro. Il M5s, d’altronde, ha presentato una mozione di sfiducia individuale nei confronti della Cancellieri e ha anche chiesto – con un intervento in aula della capogruppo Paola Taverna – di votarla venerdì prossimo (e di iniziare la discussione sulla decadenza di Berlusconi da senatore già oggi). La posizione dei grillini è stata confermata dal senatore Alberto Airola: “Può un ministro della Giustizia mettersi a disposizione di un’intera famiglia per cui ha lavorato anche suo figlio? Per noi non può e ciò rivela che c’è un tessuto di potere in Italia che è un intreccio che andrebbe definitivamente bonificato. Secondo noi la signora ministra dovrebbe cominciare a dare il buon esempio e dimettersi”.
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17.56 – Speranza (Pd): “Nessuna interferenza sui pm, ma quelle telefonate inopportune”
Ministro, comprendiamo quel sentimento di pietà umana che l’ha mossa nell’interessamento al caso di Giulia Ligresti che nulla a che vedere con il caso Ruby a cui pure qualcuno ha provato impropriamente a paragonare questa vicenda. Quello che abbiamo chiesto fin dall’inizio è di fare chiarezza sui reali motivi del suo intervento: perché se è vero che nessuna interferenza è stata esercitata dal guardasigilli su un magistrato è altrettanto vero che le sue parole pronunciate in quella telefonata del 17 luglio avevano lasciato molti dubbi e ci sono parse sinceramente inopportune, come Lei stessa oggi ha ammesso”. Lo dice il capogruppo del Pd alla Camera, Roberto Speranza, nel corso del dibattito che segue l’informativa di Anna Maria Cancellieri. Chiedendo di non parlare di “metodo Boffo” quando parlamento e opinione pubblica chiedono trasparenza, Speranza sottolinea che “era suo dovere – come ha fatto – venire qui ad argomentare le sue ragioni.
17.52 – Applausi da Pd, Pdl e Scelta Civica. Silenzio da M5S, Sel e Lega
Applausi dell’aula della Camera al ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri dopo la sua informativa sul caso Ligresti. Convinti del chiarimento del Guardasigilli Pd, Pdl e Scelta civica. Silenzio dai banchi M5S, Sel e Lega.
17.44 – Cancellieri parla in Aula alla Camera
Il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri ha iniziato il suo intervento alla Camera sul caso Ligresti. “In questi giorni sono stati posti diversi interrogativi sul mio operato da ministro della Giustizia – ha detto – a cui se ne sono aggiunti altri dal punto di vista professionale e personale. Fornirò dunque una ricostruzione precisa” dei fatti, per consentire a tutti di avere “un’opinione obiettiva” su quanto accaduto.
17.19 – Taverna (M5S): “Votare oggi decadenza B., venerdì sfiducia a Cancellieri”Si voti oggi la decadenza di Silvio Berlusconi dal seggio di senatori e l’8 novembre si voti la mozione di sfiducia individuale presentata dal Movimento 5 Stelle nei confronti del ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri. Lo chiede nell’Aula di palazzo Madama la capogruppo dei Cinque Stelle Paola Taverna, che annuncia: altrimenti il M5S chiederà giornalmente la procedura per via “urgentissima” affinché l’assemblea di pronunci su queste questioni. “Per la decadenza di Berlusconi basta solo un’ora del nostro tempo da dedicare alla verità e alla trasparenza”.
17.07 – Zanda (Pd): “Giusta la segnalazione sulla Ligresti”
“Signor ministro, le sono sempre state riconosciute competenza, senso dello stato e correttezza professionale. Le dico tutto questo, perché ciascuno di noi ha diritto di vedere riconosciute le proprie azioni nel quadro di quel che ha fatto di buono nella propria vita”. Cosi’ il capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda, in aula dopo le dichiarazioni del ministro Annamaria Cancellieri. “Io convengo sul suo rammarico per la telefonata alla signora Gabriella Fragni. Ho ascoltato con piacere le sue parole, il suo rammarico per non aver usato il distacco necessario”, aggiunge Zanda. L’esponente del Pd si chiede: “Il 19 agosto il ministro doveva omettere la segnalazione per il fatto che Giulia Ligresti, anoressica grave, era figlia di suoi amici? Doveva disinteressarsene? Io non lo credo”. Zanda conclude: “Sono certo che ministro Cancellieri continuerà a lottare per risolvere la tragedia delle carceri italiane”. “Convengo con il ministro Cancellieri per il rammarico per la telefonata – ha concluso il capogruppo Pd – i cui contenuti sono francamente inopportuni, e per non aver usato quel distacco istituzionale che sarebbe stata opportuno”.
17.00 – Schifani (Pdl): “Noi non chiederemo le sue dimissioni”
“Non chiederemo le sue dimissioni, anzi la inviteremo a continuare il suo impegno”. Lo dice il presidente dei senatori Pdl Renato Schifani nell’avvio del suo intervento dopo l’informativa del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri al Senato. “Spiace molto che il dibattito abbia coinvolto temi familiari; noi non le avremmo mai chiesto di suo figlio perchè questa cultura – ha aggiunto – non ci appartiene”.  Il ministro della Giustizia deve “farsi carico di attenzionare sempre di più la situazione carceraria” e dell’uso della carcerazione preventiva la cui legislazione si deve “assolutamente modificare” ha chiesto il capogruppo Pdl. Sul tema della carcerazione preventiva “c’è un problema di tipo legislativo e lei – ha aggiunto Schifani rivolgendosi al ministro Cancellieri – deve farsi carico di intervenire per far sì che le maglie in natura di carcerazione preventiva siano le più strette possibili”.
16.56 – Minzolini (Pdl): “La concussione c’è più qui che nel caso Ruby”
“Sono un garantista e già solo per questo non posso non credere alla buona fede del ministro Cancellieri. Ma a parte questo, se il reato di concussione fosse applicato secondo le logiche della procura e del tribunale di Milano, è sicuramente più ravvisabile nel comportamento della Cancellieri e nei contorni di questa vicenda, che non in quelli dell’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sulla vicenda Ruby. Ma questo riguarda l’autorità giudiziaria è il doppiopesismo che spesso traspare nelle sue azioni”. Lo dice il senatore Pdl Augusto Minzolini.
16.55 – Airola (Cinque Stelle): “Cancellieri dia l’esempio, si dimetta”“Secondo noi la signora ministra dovrebbe cominciare a dare il buon esempio e dimettersi”. Lo dice il senatore M5S Alberto Airola al termine della comunicazione del ministro Cancellieri in Aula. “Può un ministro della Giustizia, la Dea bendata, mettersi a disposizione di un’intera famiglia per cui ha lavorato anche suo figlio? Per noi non può e ciò rivela che c’è un tessuto di potere in Italia che è un intreccio che andrebbe definitivamente bonificato”. Airola ha tra l’altro elencato la “carriera” giudiziaria di Salvatore Ligresti.
16.49 – Maran (Scelta Civica): “Argomentazioni Cancellieri convincenti”
Il gruppo di Scelta Civica ritiene “convincenti le argomentazioni che il ministro Cancellieri ha sviluppato”. Il ministro, spiega Alessandro Maran nell’Aula di Palazzo Madama, ha dimostrato “di non aver commesso alcun abuso e non si vede perché non possa continuare a ricoprire il suo incarico”.
16.43 – Bitonci (Lega Nord): “Passo indietro per un contributo di trasparenza”Il capogruppo al Senato della Lega Nord Massimo Bitonci ha chiesto un passo indietro, al nome del gruppo del Carroccio, al ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Finora tutti gli interventi sono stati pienamente a favore del ministro guardasigilli, ad eccezione della fuoriuscita dei Cinque Stelle Paola De Pin (che ha parlato di sfiducia) e del senatore di Sinistra Ecologia e Libertà Peppe De Cristofaro che ha ribadito le ombre che ancora restano sulla vicenda.
16.42 – De Cristofaro (Sel): “Atto di giustizia, ma non alla luce del sole”
“Nessun dissenso per la scarcerazione di Giulia Ligresti, che era un atto di giustizia, ma per il modo in cui è avvenuto, non alla luce del sole” e “non ci può essere una giustizia a due velocità”. Lo ha detto Peppe De Cristofaro (Sel) nel suo intervento in aula dopo l’informativa del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri sulla vicenda Fonsai-Ligresti. “Le poniamo una semplice domanda: cosa avrebbe pensato se fosse stata una semplice cittadina? Ci rivolgiamo alla sua onestà intellettuale, perché – ha sottolineato – nel nostro Paese spesso la giustizia è stata forte con i deboli e debole con i forti”. Per De Cristofaro, “bisogna ottenere che tutti vengano trattati come è stata trattata Giulia Ligresti” ma “per farlo bisogna procedere alla luce del sole” e non con “l’inopportuna telefonata di solidarietà”.
16.38 – Buemi (Psi): “Noi siamo con lei”
“L’Italia ha bisogno di giustizia rapida e umana. Noi siamo con Lei. Basta chiacchiere. L’Italia ha bisogno di fatti”. Lo dice il senatore delle Autonomie Enrico Buemi al termine della comunicazione del ministro Cancellieri in Aula al Senato sul caso Ligresti.
16.33 – Ferrara (Gal): “Finalmente possiamo dire che c’è un ministro con le palle”
“Finalmente possiamo dire che in Italia ogni tanto c’è un ministro con le palle”. Lo ha detto Mario Ferrara (Grandi autonomie e libertà) concludendo in aula il suo intervento dopo l’informativa del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri sul caso Fonsai. Ferrara si è detto “sconcertato”, fra l’altro, dal fatto che la legge lasci scoperto il caso delle intercettazioni indirette che investono i ministri.
16.32 – Cancellieri finisce l’intervento, applausi da Pd, Pdl, Scelta Civica e Letta
Un applauso si leva dall’aula del Senato al termine dell’intervento del ministro Anna Maria Cancellieri: è la reazione unanime di Pd, Pdl e Scelta Civica. Applaudono anche il premier Enrico Letta e i ministri dai banchi del governo. Braccia incrociate invece per M5S e Lega, che accolgono con freddezza le parole del guardasigilli.
16.29 – Cancellieri: “Mai occupata della vicenda di Jonella Ligresti”
“Mai, dico mai, mi sono occupata”della vicenda di Jonella Ligresti. Lo ha detto il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri al Senato dopo alcune notizie di stampa. “Dalle verifiche effettuate con il Dap – ha aggiunto – è emersa l’assoluta linearità delle procedure seguite per Jonella Ligresti”. Il riferimento è al trasferimento di Jonella Ligresti, pure lei detenuta, dal carcere di Torino a quello di San Vittore, a Milano.
16.28 – Cancellieri: “Mio figlio assunto da Fonsai, io ero già in pensione”
“Quando mio figlio è stato assunto da Fonsai, io avevo appena cessato il mio incarico da commissario del comune di Bologna ed ero una tranquilla signora in pensione”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, nell’aula del Senato, in merito alla vicenda della telefonata sul caso dell’arresto di Giulia Ligresti. Nella vicenda Ligresti, “mio figlio è stato indebitamente” coinvolto.
16.27 – Cancellieri: “rammaricata e addolorata per la vicenda”
“Sono sinceramente rammaricata e addolorata” per questa vicenda. Lo ha detto il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri al termine del suo intervento al Senato sul caso Ligresti, ribadendo di aver “agito nello stesso modo in cui mi sono comportata in tutti gli altri casi”. “Spero – ha aggiunto – che emerga l’uniformità e la coerenza della mia condotta. Sono stata me stessa in tutti i momenti”.
16.25 – Cancellieri: “Passo indietro se viene meno la fiducia”
“Non esiterò a fare un passo indietro qualora venga meno o sia incrinata la fiducia istituzionale nei miei confronti”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, nell’aula del Senato, in merito alla vicenda della telefonata sul caso dell’arresto di Giulia Ligresti. “La fiducia del Parlamento – ha precisato Cancellieri – è fondamentale per la vita di un ministro, non voglio essere d’intralcio”.
16.24 – Cancellieri: “Mi dispiace se i sentimenti hanno prevalso sul ruolo”
Nella telefonata con Gabriella Fragni “esprimevo un sentimento di vicinanza e mi rendo conto che qualche espressione possa aver ingenerato dubbi, mi dispiace e mi rammarico di avere fatto prevalere i miei sentimenti sul distacco che il ruolo del ministro mi dovevano imporre”, ma “mai ho derogato dal mio dovere”. Lo ha detto Annamaria Cancellieri.
16.19 – Cancellieri: “Il procuratore Caselli ha escluso una mia ingerenza”
“Tutte le risultanze contenute nel fascicolo giudiziario di Giulia Ligresti testimoniano in modo univoco e incontrovertibile” che la scarcerazione della donna è avvenuta senza ingerenze da parte di Annamaria Cancellieri. Lo ha ricordato lo stesso Guardasigilli citando quanto più volte affermato dal procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli. Cancellieri, nel corso della sua audizione al Senato, ha sottolineato che sarebbe “arbitrario e destituito di ogni fondamento” ricondurre alla sua intromissione la scarcerazione di Giulia Ligresti tanto più che lo stesso Caselli ha ricordato che a determinarla sono state le condizioni di salute della donna e la sua richiesta di patteggiamento.
16.19 – Cancellieri – “Chi mi accusa ha una visione distorta”
“Corrisponde a una distorta visione dei fatti dire che la vicenda di Giulia Ligresti testimoni un trattamento privilegiato e differenziato, diverso da quello che sarebbe spettato a qualsiasi altro detenuto”. Cosi’ il ministro Annamaria Cancellieri, in aula al Senato sul caso Fonsai.
16.19 – Cancellieri: “La mia carriera mai influenzata da rapporti personali”“Sono stata e sono amica di Antonino Ligresti”: ma “in nessun modo la mia carriera è stata influenzata da rapporti personali” con questi o con altri. Lo ha detto il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri nel corso del suo intervento al Senato. Il ministro ha poi spiegato che il medico del carcere di Vercelli il 12 agosto aveva segnalato la gravità del caso di Giulia Ligresti e il 14 lo segnalò alla procura. “Le mie segnalazioni, invece, sono del 19, cinque giorni dopo”.
16.18 – Cancellieri: “Sono una persona libera”“Sono e voglio essere considerata una persona libera, che non ha contratto debiti di riconoscenza a cui non potrebbe sottrarsi”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, nell’aula del Senato, in merito alla vicenda della telefonata sul caso di Giulia Ligresti.
16.15 – Letta ascolta la Cancellieri, assenti ministri Pdl
Sono gremiti i banchi del Governo nell’aula del Senato dove è in corso l’informativa del ministro Anna Maria Cancellieri sul suo intervento nel caso di Giulia Ligresti. Il presidente del Consiglio Enrico Letta ascolta l’intervento del guardasigilli, seduto tra Dario Franceschini e Mario Mauro. Al momento non è presente nessun ministro del Pdl, che è però rappresentato da alcuni sottosegretari. Gremiti i banchi dei senatori di tutti i gruppi parlamentari. Assente Silvio Berlusconi.
16.14 – Cancellieri: “Senza intervenire sarei venuta meno ai miei doveri”
Nel caso di Giulia Ligresti “se non fossi intervenuta sarei venuta meno a miei doveri di ufficio”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, nell’aula del Senato, in merito alla vicenda della telefonata sul caso di Giulia Ligresti.
16.14 – Cancellieri: “Morti in carcere sono una sconfitta dello Stato”
“Ogni vita che si spegne in detenzione è una sconfitta per lo Stato e per il sistema carcerario. Io ne sento il peso e per questo ho dedicato parte rilevante mio impegno al problema carcere”. Lo ha detto il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, nel suo intervento al Senato.
16.13 – Cancellieri: “Dovere scrivere ai capigruppo per dare la mia disponibilità”
“In questi giorni sono stati posti diversi interrogativi in merito al mio lavoro da ministro della Giustizia e in merito alla mia vicenda personale e professionale. Penso che sia giusto dare una ricostruzione dei fatti. Ho ritenuto doveroso scrivere in data 31 ottobre una lettera ai capigruppo manifestando la mia totale disponibilità a ricostruire nel dettaglio l’accaduto”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, nell’aula del Senato, in merito alla vicenda della telefonata sul caso di Giulia Ligresti.
16.12 – Cancellieri: “Difficile essere vicino a tutti i carcerati, anch’io avverto ingiustizia”
“E’ vero, non tutti hanno la possibilita’ di bussare alla porta del ministro della Giustizia, non tutti hanno un diretto contatto. Ma posso garantire che nessuno piu’ di me avverte questa disparita’ in tutta la sua dolorosa ingiustizia. E’ difficile essere vicini a tutti” i carcerati. Lo dice il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, parlando in Senato.
16.07 – Cancellieri: “Ligresti scarcerata autonomamente dalla magistratura”
“La scarcerazione di Giulia Ligresti non è avvenuta a seguito o per effetto di una mia ingerenza che non vi è mai stata né è mai stata concepita. Ma a seguito di una decisione libera ed autonoma della magistratura torinese”. Lo ha detto il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri nel suo intervento al Senato. “Non vi è stato mai da parte di nessuno – aggiunge – il benché minimo tentativo di influenzare l’esito di tale iniziativa”.
16.04 – Cancellieri al Senato: “Non ho mai sollecitato la scarcerazione di Giulia Ligresti”
“Non ho mai sollecitato nei confronti di organi competenti la scarcerazione di Giulia Ligresti e non ho mai indotto altri ad agire in tal senso”. Lo ha detto il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri nel suo intervento al Senato.

giovedì 24 ottobre 2013

Presentazione del libro Uscire dal Passato per entrare nel Futuro!


  • Comunicato Stampa

  • Sabato 26 ottobre alle ore 18,00 
  •  

    La giornalista Teresa Campagna intervisterà l'autrice

  • Presso la libreria Pegaso  
  • Via Notarbartolo n°9/F,  Palermo


  • https://www.facebook.com/events/1452325761659740/?ref=22

    Comunicato stampa


    Comunicato stampa

    Voto del Senato: i promotori de “La via maestra” chiedono un incontro urgente ai presidenti del Senato e della Camera

    23 ottobre 2013 -  
    I promotori de "La via maestra"
    330_banner_costituzioneviamaestraQuattro soli voti hanno permesso l’approvazione al Senato del disegno di legge sulla modifica dell’articolo 138 della Costituzione con quella maggioranza dei due terzi che impedisce ai cittadini di chiedere il referendum.
    È emerso così, con assoluta chiarezza, che la forzatura costituzionale non raccoglie neppure il pieno consenso della maggioranza che vuole imporla.
    È un dato politico di cui tutti dovrebbero tener conto e che conferma la necessità di seguire la “via maestra” del rispetto e della attuazione della Costituzione indicata dalle migliaia di persone che hanno partecipato alla manifestazione del 12 ottobre.
    In seguito all’esito del voto in Senato e come annunciato il 12 ottobre, la “Via maestra” chiede di incontrare al più presto i presidenti del Senato e della Camera.
    I promotori de “La via maestra”

    Riforma costituzionale, voce ai cittadini


    la Repubblica

     23 ottobre 2013 -  

    Stefano Rodotà
    fotoRodotàSo bene quanto sia difficile, oggi in Italia, una discussione ispirata a criteri di ragione e rispetto. È quel che sta accadendo per il tema della riforma della Costituzione. Ma questo non deve indurre a ritrarsi da una discussione che trova talora toni sgradevoli. Impone, invece, di fare ogni sforzo perché una questione davvero fondamentale possa essere affrontata in modo rispettoso dei dati di realtà e delle diverse posizioni in campo.
    Quel che si sta discutendo è l’assetto futuro della Repubblica, l’equilibrio tra i poteri, lo spazio stesso della politica, dunque il rapporto tra istituzioni e società delineato dalla Costituzione, il patto al quale sono consegnate le ragioni del nostro stare insieme. Tuttavia, prima di affrontare questioni così impegnative, è necessario ristabilire alcune minime verità. Nell’affannosa ricerca di argomenti a difesa della strada verso la revisione costituzionale scelta da governo e maggioranza, infatti, si sta operando un vero e proprio stravolgimento della posizione di alcuni critici di questa scelta. Premono le ragioni della propaganda e così si alzano i toni, con una mossa rivelatrice dell’intima debolezza delle proprie ragioni. Spiace che in questa operazione si sia fatto coinvolgere lo stesso presidente del Consiglio, che non perde occasione per additare i critici come quelli che vogliono rendere impossibile la riduzione del numero dei parlamentari, l’uscita dal bicameralismo paritario, la riscrittura dello sciagurato titolo V della Costituzione sui rapporti tra Stato e Regioni.
    Ripeto: questa è una assoluta distorsione della realtà. Fin dall’inizio di questa vicenda, di fronte al “cronoprogramma” del governo era stato indicato un cammino diverso, che sottolineava proprio la possibilità di una rapida approvazione di riforme per le quali esisteva già un vasto consenso sociale, appunto quelle ricordate prima. Se governo e Parlamento avessero subito seguito questa indicazione, è ragionevole ritenere che saremmo già a buon punto, vicini ad una dignitosa riscrittura di norme della Costituzione concordemente ritenute bisognose di modifiche. Come si sa, è stata scelta una strada diversa, tortuosa e pericolosa, con variegate investiture di gruppi di “saggi” e con l’abbandono della procedura di revisione indicata dall’articolo 138 della Costituzione. I tempi si sono allungati e i contrasti si sono fatti più acuti.
    Questo non è un dettaglio, come vorrebbero farlo apparire quelli che, con sufficienza, invitano a guardare al merito delle proposte e a non impigliarsi in questioni meramente procedurali. Quando si tratta di garanzie, la regola sulla procedura è tutto, dà la certezza che un obiettivo così impegnativo, come la revisione costituzionale, non venga piegato a esigenze strumentali, a logiche congiunturali. È proprio quello che sta avvenendo, sì che non è arbitrario ritenere che la strada scelta nasconda un altro proposito – quello di agganciare a riforme condivise anche una forzatura, riguardante il cambiamento della forma di governo.
    È caricaturale, e improprio, descrivere la discussione attuale come un conflitto tra conservatori e innovatori. Si stanno confrontando, e non da oggi, due linee di riforma. Di fronte a quella scelta da governo e maggioranza non v’è un arroccamento cieco, un pregiudiziale no a qualsiasi cambiamento. Vi è una proposta diversa, che può essere così riassunta: rispetto della procedura dell’articolo 138, avvio immediato delle tre specifiche riforme già citate, mantenimento della forma di governo parlamentare rivista negli aspetti che appaiono più deboli.
    Torniamo, allora, alle questioni più generali. Da alcuni anni si è istituita una relazione perversa tra
    emergenza economica, impotenza politica e cambiamenti della Costituzione. Con una accelerazione violenta, e senza una vera discussione pubblica, nel 2012 è stata approvata una modifica dell’articolo 81 della Costituzione, prevedendo il pareggio di bilancio. Allora si chiese, invano, ai parlamentari di non approvare quella riforma con la maggioranza dei due terzi, per consentire di promuovere eventualmente un referendum su un cambiamento tanto profondo. La ragione era chiara. Si parla molto di coinvolgimento dei cittadini e si dimentica che quella maggioranza era stata prevista quando la legge elettorale era proporzionale, dando così garanzie in Parlamento che sono state fortemente ridotte dal passaggio al maggioritario. Oggi la stessa richiesta viene rivolta ai senatori che si accingono a votare in seconda lettura la modifica dell’articolo 138. Vi sarà tra loro un gruppo dotato di sensibilità istituzionale che accoglierà questo invito, affidando anche ai cittadini il giudizio sulla sospensione di una procedura di garanzia che altri, in futuro, potrebbero utilizzare invocando qualche diversa urgenza o emergenza? Non basta, infatti, aver previsto un referendum alla fine dell’iter della riforma finale, se rimane un dubbio sulla correttezza del modo in cui quel cammino è cominciato. La discussione sul merito delle proposte assume significato diverso se queste non alterano l’impianto costituzionale e sono già sorrette da consenso sociale, come quelle più volte citate, o se invece implicano un mutamento della forma di governo. Per quest’ultima, nella relazione del Comitato dei “saggi” sono state fatte due operazioni. In via generale, sono state legittimate tre ipotesi tra loro ben diverse. E poi si è indicata tra queste una sorta di mediazione, definita come “forma di governo parlamentare del Primo Ministro”, che in realtà introduce un presidenzialismo mascherato, costituzionalizzando l’indicazione sulla scheda del candidato premier e ridimensionando così il potere di nomina da parte del presidente della Repubblica e quello del Parlamento di dare la fiducia. Ha detto bene Gaetano Azzariti sottolineando che così si realizza «l’indebolimento della forma di governo parlamentare e il definitivo approdo in Costituzione delle pulsioni presidenziali». Una politica debole cerca così una scorciatoia efficientista attraverso un accentramento/ personalizzazione dei poteri e sembra rassegnarsi ad una crisi dei partiti che, incapaci di presentarsi come effettivi rappresentanti dei cittadini, non sono più in grado di cogliere la pienezza del ruolo dell’istituzione in cui sono presenti, il Parlamento, alterando così gli equilibri costituzionali.
    Ma l’assunzione della logica dell’emergenza e della pura efficienza svuota lo spazio costituzionale di tutto ciò che si presenta come “incompatibile” con essa. I diritti fondamentali sono respinti sullo sfondo e si perde il loro più profondo significato, in cui si esprime non solo il riconoscimento della persona nella sua integralità, ma un limite alla discrezionalità politica che, soprattutto in tempi di risorse scarse, deve costruire le sue priorità partendo proprio dalla garanzia di quei diritti. Sbagliano quelli che, con una mossa infastidita, dichiarano l’irrilevanza della discussione sulle riforme di fronte ai bisogni reali delle persone. Questi vengono sacrificati proprio perché la politica ha perduto la sua dimensione costituzionale, e fa venir meno garanzie in nome di un’efficienza tutta da dimostrare, come accade per il lavoro. Se non si coglie questo nesso, rischiano d’essere vane anche le iniziative su questioni specifiche, e i lineamenti della Repubblica verranno stravolti assai più di quanto possa accadere con un mutamento della forma di governo.