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domenica 28 febbraio 2010

La verità di Santoro (e di Popper)

26 febbraio 2010
di Barbara Spinelli

Caro direttore,

se questi fossero tempi meno bui – i tempi vagheggiati da Michael Oakeshott per esempio, dove al dibattito si preferisce la conversazione – si potrebbe leggere con una certa delizia lo scambio epistolare fra Michele Santoro e Marco Travaglio apparso nei giorni scorsi sul Fatto.
Ma questi sono tempi bui e certe controversie fra giornalisti non procurano speciale godimento. In tempi bui si urla, e l’urlo mal si concilia col diletto. Lo scambio di lettere è tuttavia benefico, sia per chi fa informazione sia per chi la consuma. Finalmente nasce una discussione sul giornalismo italiano, e il fatto che essa si concentri sui talk-show – e in particolare sul modo in cui il 18 febbraio s’è scatenata un’aggressione personale a Travaglio da parte di Nicola Porro, vicedirettore del Giornale – non cambia l’oggetto in esame: l’avvento dei talk-show, cioè della parola giornalistica tramutata in spettacolo o circo, ha infatti effetti capitali sul giornalismo (scritto o parlato) e sul suo presente disfacimento.

COMPLICITÀ AMICISTICA

Mi sia consentita una premessa: penso che tra i giornalisti non dovrebbe esistere alcun tipo di propedeutica complicità amicistica. L’uso molto italiano di darsi subito del tu fra “colleghi” ha qualcosa di corporativo, di falso, anche di insidioso. È nei collettivi ideologici che scatta, automatico, l’abbraccio del Tu. Così come è incongruo parlare di amor di patria invece che di rispetto, ritengo incongrua l’amicizia preliminare fra colleghi. Amore e amicizia appartengono alla privata sfera delle scelte non obbligatorie, non consanguinee.

Tuttavia il giornalismo è un mestiere che crea una sorta di comunità, specie quando si occupa della politica nazionale e dunque è più vicino al potere: di questo vale la pena conversare. Il rischio è che il giornalista prenda gusto alla contesa politica, fino a identificarsi con la figura stessa del politico. Difficile, a questo punto, che egli ricordi la professione peculiare che esercita, e i doveri primari che ha verso il lettore o lo spettatore. Quel che tenderà a dimenticare è che il suo mestiere è sì animato, come quello del politico, da volontà di potenza e dal “piacere acre della gara” (Eugenio Scalfari lo descrive bene nel nono capitolo del libro L’uomo che non credeva in Dio) ma fondamentalmente è cosa diversa.

Contrariamente a quel che si crede è un’attività più scabrosa, proprio perché il giornalista non si sottopone al vaglio delle urne, non è rispedito a casa a intervalli regolari, e questo non gli dà il prezioso senso del limite, della propria mortalità. La censura, nella migliore delle ipotesi, viene solo dal lettore, che può smettere di comprare un determinato giornale, di guardare un determinato show, di leggere un determinato autore. Ma il vero polso della situazione il giornalista non ce l’ha. Se la censura lo colpisce, chi ha in mano l’accetta non è l’utente (l’unico che paghi quel che vede o legge) ma il padrone: un padrone più che gelatinoso in Italia, in quanto non editore puro ma industriale annodato al potere politico, quando non dipendente da esso.

Pur non dandosi reciprocamente del tu, i giornalisti sono dunque legati da qualcosa. Da cosa, esattamente? In parte dalla consapevolezza di questa diversità di vocazione: praticanti e professionisti del mestiere, tutti dovrebbero sapere che il loro potere è altro dal politico. Non è antagonista – perché l’antagonismo presuppone un comune spazio di contesa– ma semplicemente altro. Al tempo stesso,sonolegatidaunrapporto molto specifico con i fatti, che vanno rispettati per quel che sono evitando che sfumino in opinioni. È il motivo per cui più volte mi sono chiesta, nel 2009, come mai sia mancata una solidarietà, fra giornalisti, con Repubblica e le sue Dieci Domande.

L’undicesima domanda,non detta,era implicitamente rivolta a noi del mestiere: si possono fare domande al politico, che concernono il suo apparato di potere e più precisamente la sua maniera di creare consenso? L’indipendenza del giornalista non è differente dal potere terzo della magistratura, indispensabileall’ordinamento dei checks and balances senza il quale la democrazia scade in dittatura maggioritaria. Non a caso il giornalismo indipendente è dispositivo centrale nelle democrazie ed è chiamato Quarto Potere. Rivedendo il passaggio di Annozero in cui è andata in scena l’aggressione a Travaglio, quel che mi ha colpito è appunto questo: il giornalista che attaccava non sembrava un giornalista, l’osmosi con le fattezze del politico era totale. Porro non si occupava del tema in discussione (la corruttela della Protezione civile, le responsabilità politiche di Bertolaso), ma del giornalista che su questo tema riferiva e denunciava.

Quest’ultimo riferiva fatti(non ancora suffragati ma pur sempre elencati in ordinanze della magistratura inquirente), mentre Porro sembrava a essi affatto indifferente. Di qui l’impressione di un attacco subdolo, oltre che scorretto. Scorretto perché il giornalista che riassumeva i fatti veniva aggredito come se avesse esposto un’opinione, opinabile come tutte le opinioni. Subdolo perché Travaglio veniva attaccato personalmente, in piena coscienza che quest’ultimo non poteva improvvisamente dirottare la trasmissione e scagionarsi di fronte al pubblico (lo ha già fatto a suo tempo su Repubblica e sul suo blog). Siamo in campagna elettorale (son 16 anni che dura:quasi una generazione) e quel che lo spettatore ha visto è l’azzannarsi tra due professionisti dell’informazione: giacché questo avviene, quando il giornalista abbandona il rapporto con i fatti e, durante una competizione elettorale, entra anch’egli in campagna.

Se così stanno le cose, non conta quello che viene riferito sull’indagata Protezione civile. Non conta nemmeno la domanda posta nel corso di Annozero dal direttore di Libero Maurizio Belpietro (forse è stato teso un agguato a Bertolaso?). Altre cose contano, in trasmissioni del genere (Annozero, Ballarò, Porta a Porta): d’un tratto dall’ombra esce un missile, e tira fuori il presunto affaire delle frequentazioni di Travaglio. Un’affaire su cui è stata fatta chiarezza, ma che serve a disorientare lo spettatore-elettore. Che vuole, un giornalista come Porro? Non il Pulitzer evidentemente, perché nessun vincitore di simili premi (da Art Buchwald a Maureen Dowd, da James Risen o Anthony Lewis) passerebbe il tempo denigrando un altro giornalista. Vuol dimostrare a una parte politica di essere suo fedele palafreniere e propagandista .

NOIA E ZAPPING

Per far ciò ha stravolto il mestiere. Un mestiere che il più grande maestro di tutti noi scrivani di giornali, Walter Lippmann, ci ha insegnato fin dall’inizio del secolo scorso. La libertà, così scrisse a quel tempo, non è quella di rendere il giornalista responsabile verso l’opinione sociale prevalente: "Più importante di tutto il resto è rendere l’opinione sempre più responsabile verso i fatti". E ancora: "Non esiste libertà in una comunità cui manchi l’informazione attraverso la quale può scoprire e smascherare la menzogna". Non solo: veramente in gioco non è in fondo la libertà di opinione, e il male non consiste tanto nel sopprimere una particolare idea. “Quel che è davvero mortale è sopprimere le notizie (news)” (Lippmann, Liberty and the News, 1920). Per questo è così bello il motto della Bbc: Put the news first, in primo piano metti le notizie, i fatti, i testimoni. Porro cade nel mortale tranello. Non diversamente dall’imprenditore Berlusconi, scende anche lui in campo, annebbiando le frontiere tra arti e tra mestieri.

Scrive Santoro a Travaglio che l’intero suo “gioco” ha un obiettivo: non diventare "noioso", altrimenti "il pubblico più infedele cambia canale". Non prendersela con le aggressioni ma rispondere con l’ironia, sapendo che una trasmissione di successo non è fatta solo di fan. Sul set ha detto: "Ogni volta che volete insultare Travaglio insultate me, perché a me non me ne frega niente". Certo ogni trasmissione corre il rischio che il pubblico annoiato da monotonie cambi canale.

Ma corre anche il rischio che il canale lo cambi proprio perché il programma di Santoro è un ring che “mette in gioco non solo nozioni ma emozioni, (...) passioni anche viscerali”. Anch’egli, a suo modo, non distingue tra opinioni e notizie, e quando parla di fan – in questo è simile a Vespa – non sembra intendere i fan delle news. C’è infine nella lettera un passaggio sul quale dissento profondamente: è vero, una trasmissione non può farsi paladina di una sola verità, deve sempre strusciarsi contro idee contrarie, senza "stilare la lista dei buoni e dei cattivi”. Ma quel che è falso, quel che fa male e fa soffrire, non è un’opinione bensì un fatto, e il fatto a differenza dell’opinione non puoi relativizzarlo.

È Popper a insegnarlo, che esecrava le verità assolutizzate. A mio parere, questo dovrebbe guidare il giornalista: non la ricerca dell’idea vera – queste verità sì che sono sfuggenti, come afferma Santoro – ma l’individuazione del male concreto, fattuale, che può scaturire dalle contro-verità. Difficilmente confutabili, mali di tal genere non sono sfuggenti. Ovvio che in nessun paese democratico il giornalismo è perfetto. Ma in Italia è singolarmente imperfetto. Senza una informazione indipendente, connessa ai fatti e ai loro testimoni, non esiste funzionamento democratico, e l’aggressione che essa subisce è uno dei punti che maggiormente definisce la non-democrazia di Berlusconi.

Alterare l’informazione prendendo possesso dei media vuol dire disinformare metodicamente i cittadini, che voteranno senza sapere per chi votano e per cosa. Il vero attacco alla sovranità del popolo, sbandierata dal presidente del Consiglio, è qui.

LEZIONE AMERICANA

Prendiamo l’esperienza degli Stati Uniti. Il giornalismo americano, nei primi anni delle guerre di Bush jr, commise errori enormi, di infedeltà ai fatti e di fedeltà al potere politico. I reporter detti embedded dormivano nello stesso letto dei potenti. Ma poi è venuta l’ora della presa di coscienza, dell’ammenda anche se non confessata. I giornalisti hanno scoperto che il loro essere embedded li aveva allontanati dalla realtà. Che importanti verità fattuali, dette agli esordi da giornalisti come Seymour Hersch o testimoni come Hans Blix, non erano state ascoltate.

Certo può capitare di sbagliarsi, a Travaglio come a Hersch e a tanti altri giornalisti d’investigazione. Penso anche che in Annozero, Travaglio abbia goduto di un diritto che tutti dovrebbero avere ma non hanno: quello di dire i suoi testi senza essere interrotto. Il modo in cui oltre alle sue indagini minuziose paga anche questo diritto (dovuto a indubbio talento) non è per questo meno scandaloso, ed è sintomatico di un giornalismo in crisi degenerativa. In America, la presa di coscienza è avvenuta durante l’uragano Katrina, nel 2005, ed è stata un ciclone anch’essa, che ha messo in luce l’inettitudine, lo sprezzo della povera gente (soprattutto nera), l’arroganza-corruzione del governo e della sua Protezione civile (la Fema, ovvero Agenzia federale per il Management dell’Emergenza).

Per il giornalismo americano, è stata un’ora grande di verità, di introspezione, e di ripresa. Spero che quel momento venga anche in Italia. Che scopriremo anche noi le parole di Joseph Pulitzer: "Un’opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema".

Da il Fatto Quotidiano del 26 febbraio

venerdì 26 febbraio 2010

In carcere per l'inchiesta su Protezione, firma la perizia per il Consiglio di Stat

Giorgio Frasca Polara, 25-02-2010

Ecco come vanno le cose a certi “periti terzi”, soprattutto se nominati – perché, a quale titolo? – nientemeno che dal Consiglio di Stato, che poi provvederà a pagare adeguatamente l’incomodo. Dunque l’ingegner Fabio De Santis, appena sbattuto in carcere nell’ambito della tempesta giudiziaria che si è abbattuta sulla Protezione civile, era stato nominato “perito terzo” (cioè indipendente dalle parti in lite) in una controversia sulla valutazione d’impatto ambientale che vede coinvolte da un lato l’amministrazione comunale di Mantova e dall’altro la Immobiliare Lagocastello Srl. La richiesta di applicazione della misura di custodia cautelare era stata avanzata il 21 dicembre dal Gip di Firenze, Rosario Lupo. Ebbene, il 26 gennaio l’ingegner De Santis firma la perizia chiestagli dal Consiglio di Stato. La perizia, vedi caso, dà ragione alla Immobiliare cui in prima istanza il Tar aveva dato torto.

Sulla scorta di questi sorprendenti dati, “appare particolarmente anomalo – sottolinea il deputato del Pd Marco Carra, in una interrogazione al ministro della Giustizia – che un perito abbia condotto a termine l’incarico che gli era stato assegnato pur in presenza di una misura di custodia in carcere che pendeva a suo carico già nel momento in cui ha firmato la perizia”. E allora, “quali iniziative di carattere normativo intende assumere il ministero per evitare che periti sottoposti a indagine o a misure cautelari, in particolare per delitti contro la Pubblica amministrazione, possano nelle more continuare a svolgere l’ufficio di perito?”.

Per capire di che pasta sia fatto il personaggio sarà opportuno e non casuale ricordare che nel febbraio dell’anno scorso l'ingegner Fabio De Santis si era insediato a Firenze come Provveditore alle opere pubbliche della Toscana. A giugno, il provveditorato aveva consegnato all'impresa Ciotola di Roma i lavori per la realizzazione delle centrali tecnologiche a servizio della Villa Salviati e degli archivi storici della Comunità Europea, a Firenze, dove ha sede l'Istituto universitario europeo. Ma tra febbraio e giugno (esattamente a marzo, periodo ancora adatto alle settimane bianche) il provveditore De Santis e la moglie avevano trascorso una deliziosa vacanza all'Hotel Cristallo di Cortina: conto di quasi 4000 euro, interamente pagato da Gaetano Ciotola, titolare dell’impresa affidataria dei lavori a Firenze. Alcuni mesi fa lo stesso provveditorato toscano aveva bandito un appalto da due milioni e mezzo per la sicurezza del cantiere abbandonato della Scuola Marescialli dei Carabinieri. La gara era stata vinta dalla Ecosfera Spa di Roma, società riconducibile a Ezio Gruttadauria, l’imprenditore in rapporti con Diego Anemone, su richiesta del quale nel settembre 2008 aveva assunto uno dei figli di Angelo Balducci, Filippo, e la sua fidanzata. C’è bisogno di aggiungere altro a questo idilliaco quadretto?

Caso Mills, la corruzione c'è ma non si vede

Francesco Palladino, 26-02-2010

Inutile negarlo: il premier ha tirato un bel sospiro di sollievo, ieri sera, dopo la sentenza delle sezioni unite della Cassazione. Per carità, non era lui direttamente, Berlusconi, sotto processo alla Suprema Corte, bensì l'avvocato inglese Mills, accusato e condannato dalla corte d'appello di Milano a 4 anni e mezzo per corruzione in atti giudiziari. E corrotto da chi, nel novembre 1999? Proprio da Berlusconi, secondo gli atti del processo.

Quindi la sentenza della Cassazione dice che la corruzione ci fu ma il reato è prescritto (dopo dieci anni, da qualche mese, per Mills) e la condanna annullata.
Il procuratore generale della Corte, Ciani, è stato chiaro ed ha precisato che "non vi sono i presupposti per il proscioglimento nel merito di Mills". Cioè resta confermato quello che i magistrati di Milano sostengono da anni: la Fininvest di Silvio Berlusconi versò all'avvocato inglese "non meno di 600 mila dollari" su conti svizzeri, "perché dichiarasse il falso, negasse il vero o tacesse fatti a sua conoscenza", per tener fuori il cavaliere dai processi su All Iberian e sulle tangenti alla Guardia di Finanza. Adesso Mills esce definitivamente di scena, anche se -a conferma del fatto che un illecito grave fu commesso- dovrà risarcire proprio lo Stato italiano e la Presidenza del consiglio con 250 mila euro, "per danno all'immagine". E' questo un profilo paradossale della sentenza: si risarcisce palazzo Chigi, l'organo istituzionale di cui è responsabile pro tempore Berlusconi, cioè colui che è coimputato di Mills, prescritto sì, ma condannato a pagare!

Si badi bene: né Mills, né Berlusconi (che però non era chiamato in Cassazione) sono stati riconosciuti innocenti dalla Suprema Corte. Non si è stabilito che il reato non sussiste, anzi. Il processo contro il premier riprende davanti al tribunale di Milano sabato 27 (è ancora in primo grado, a causa di innumerevoli rinvii e sospensioni, in particolare a causa del lodo Alfano, già dichiarato incostituzionale).
La prescrizione per Berlusconi scatterà solo fra un anno, quindi teoricamente il procedimento potrebbe andare avanti, ma è evidente che i giudici dovranno, da subito, tenere conto della sentenza della Cassazione e con ogni probabilità dichiarare la impossibilità di arrivare in tempo utile alla sentenza. Anche il premier finirà in prescrizione, il reato di corruzione sarà estinto, vaporizzato, dopo la decisione della Corte Suprema. Tanto più che egli sarà ampiamente protetto dallo scudo del "legittimo impedimento", che sarà approvato in via definitiva -salvo improbabili colpi di scena- dal Senato, il 10 o l'11 marzo. Come si capisce nulla è lasciato al caso: tutto è ben coordinato, organizzato e programmato, per salvare Berlusconi dai processi e da una condanna, che proprio sul caso Mills appariva più che probabile.

Naturalmente adesso il premier dirà che è stato (sarà) assolto (per prescrizione!!), non ha subìto né punizione né censura, è perseguitato dai giudici, vittima della giustizia ad orologeria, e via intonando la solita canzone berlusconiana. Ma la sentenza della Cassazione pone comunque in modo chiaro un problema etico e politico: è inquietante e indecoroso che il presidente del consiglio in carica non sia riconosciuto innocente al di là di ogni sospetto, non sia scagionato appieno in un processo per corruzione. Anzi sia considerato come il corruttore (non c'è alternativa o altro imputato) di un uomo colpevole, Mills, che sfugge alla giustizia e al carcere, solo perché troppo tempo è passato sotto i ponti. La sentenza è infamante anche per il premier: che credibilità può rivendicare per gli atti di governo? Ed è umiliante che egli resti a palazzo Chigi, alla guida degli italiani. Purtroppo, è forse vero che, come ha scritto giovedì sul "Corriere" Corrado Stajano, "non si sente più un grido", c'è solo "un'accettazione rassegnata".

mercoledì 24 febbraio 2010

Concorso di colpa

di Oliviero beha
24 febbraio 2010

Sabato torna in Piazza (del Popolo) a Roma il "popolo viola". E già si è ricominciato a parlare di “antipolitica” e altre menate del genere, che perseguitano tutti coloro i quali non abbozzano di fronte al precipizio del Paese. Intiero. "Antipolitica" mentre la politica si è disintegrata sostituita dai comitati d’affari? "Antipolitica" di fronte alla casta-cosca-oligarchia che si è impossessata della democrazia per trasformarla in “Cosa loro”? "Antipolitica" mentre la Moratti di fronte a un assessore con la mazzetta in bocca dice per tranquillizzarci "non è come Mani Pulite" e intanto la ’ndrangheta occupa vistosamente anche il Nord Italia? "Antipolitica" mentre Berlusconi ci rassicura "non è Tangentopoli" e difatti è piuttosto "berluscopoli", un modo di razionalizzare l’illegalità a colpi di cosmesi esecutivo-legislativa (un "monstrum" sempre più indistinguibile di cui a lungo subiremo le conseguenze)? "Antipolitica" mentre un leader acclamato come Luca di Montezemolo tuona "combattere la corruzione è impresa titanica", lui sorta di animale socio-mitologico con qualche piccola pecca biografica? "Antipolitica" se perfino Pisanu, che se non sbaglio ha fatto il ministro degli Interni in periodi delicati, propedeutici a quelli che stiamo vivendo, ammette che "è peggio di Tangentopoli" se non altro perché vengono dopo e sono "nani sulle spalle di giganti" (della corruttela)?

Ma sì, chiamatela "antipolitica" per raggirare fin dal linguaggio gente che è stufa di veder stracciata ogni soglia di illegalità sulla porta di un’Italia in cui morale ed etica, raziocinio e cultura sono temibili parolacce. E magari suggerite al "popolo viola" di andare a lavorare con tutto il lavoro che c’è e la meravigliosa trasparenza che anche l’ultima vicenda della Protezione civile inoppugnabilmente dimostra. Tutto chiaro? Si lavora per meriti, si viene chiamati per curriculum, si arriva al posto per concorso e non per un’idea prostituita di favori/disvalori di scambio. Perché allora qualcuno scende in piazza?

Non c’è abbastanza libertà di stampa con le schiere contrapposte "libere" di attaccare e difendere a pedine incrociate sulla scacchiera finta dei mass-media (come se la mia libertà non consistesse piuttosto nello scrivere tutto ciò che penso oppure so e posso dimostrare di chiunque, di Berlusconi ma anche di Bersani, di Lunardi come di Colaninno, di Bertolaso e De Luca ecc.)?

E intanto tramano per mettere il bavaglio alle intercettazioni, senza le quali nulla o quasi sapremmo con l’evidenza dovuta delle magagne devastanti di un Paese intiero: numeri falsi sulle persone indagate, cifre false sui costi di queste intercettazioni, alibi falsi sulla presunta e truffaldinamente accampata impossibilità di continuare a farle pur separando l’aspetto della cronaca giudiziaria da quello del gossip nel quale sguazzano i media schierati nel modo spesso "recitato" e complementare degli eserciti politici (di cui sopra). Non sono fantasie di un atrabiliare che vede sprofondare il futuro di figli e nipoti. Basterebbe ascoltare per cinque minuti alle 20 a reti unificate nei tg il giudice Nicola Gratteri, esperto di ’ndrine e high tech nonché autore con Nicaso dello splendido "La malapianta", che spiega tutto l’affaire delle intercettazioni, per farsene un’idea precisa.

Compreso il concorso di colpa che da troppi anni riguarda sia Berlusconi sia i suoi avversari. Diceva giorni fa Enrico Letta al Tg3, dopo aver parlato della necessità di "giustizia e ricostruzione" per l’Abruzzo: "Non credo che la gente si interessi prioritariamente del problema delle intercettazioni". Era un modo per posporre in aula la questione. Sbagliando di grosso e contraddicendosi in due parole. Se le intercettazioni hanno a che fare con l’illegalità e la giustizia, sono una faccenda di madornale priorità, l’urgenza di un Paese. Che almeno, violaceo, va in piazza.

Da il Fatto Quotidiano del 24 febbraio

Trezzano, corruzione bipartisan

Di Nando Dalla Chiesa

24 febbraio 2010

É un maledetto caso da manuale. Gli arresti che hanno colpito l’altro ieri Trezzano sul Naviglio, comune alle porte di Milano, sono una perfetta metafora di quel che sta accadendo nella capitale lombarda e soprattutto nel suo hinterland nella pratica indifferenza delle istituzioni politiche. Un nome, il solito, quello proibito da nominare, ma a cui tutto è permesso ogni giorno: ‘ndrangheta. E una malattia: una degenerazione della vita pubblica che non trova argini se non nella magistratura, nelle forze dell’ordine e in alcune minoranze civili e amministrative.

Vogliamo ripassare le notizie al setaccio, giusto per capire che cosa sta accadendo? Anzitutto è stato arrestato in novembre un imprenditore calabrese, Alfredo Iorio, che fa affari con le pubbliche amministrazioni nella provincia sud di Milano; accusato, con la sua immobiliare Kreiamo Spa e con il socio Andrea Madaffari, di essere il braccio finanziario dei clan Barbaro e Papalia, quelli che hanno fatto di Buccinasco la Platì del sud. É l’ennesima conferma, che mai giunge a chi governa: nell’hinterland sud si muove a proprio agio la finanza della ‘ndrangheta. Iorio parla (ed ecco smentito il luogo comune che i calabresi non parlino per una sorta di dna-oblige) e racconta. Lui, braccio finanziario ecc., ha pagato l’ex sindaco di Trezzano, Tiziano Butturini, del Pd. Non berlusconiano, non riciclo della vecchia Dc, ma proprio Pd con radici pidiessine.

Altra conferma, dunque: la ‘ndrangheta non ha colori, va dove c’è il potere, si insinua dove riesce a passare. E il via libera glielo dà la corruzione. Da Butturini bisognava andare, infatti, almeno con un "cinquemila", si dicevano i soci, mica si può "fare figure di merda". Nel Pd di Trezzano non se ne era accorto nessuno? E chi lo sa. Personalmente da qualche mese ricevo mail, richieste di incontro e di sostegno da consiglieri comunali dell’hinterland che dicono di non farcela più, di non trovare ascolto nel loro partito, che ovunque bisogna fare i conti con un assessore decisivo che alle elezioni fa scorpacciata di voti calabresi organizzati.

Non è solo la ‘ndrangheta che cerca la politica, insomma; è anche la politica che cerca la ‘ndrangheta. Fatto sta che quando Butturini finisce il suo mandato, il ricambio (quello che potrebbe rappresentare il punto di svolta, la famosa “discontinuità”) è un colpo di teatro: al proprio posto il sindaco mette la moglie Liana Scunda (non indagata). Davanti a tanto familismo nel Pd non scoppia la rivoluzione, dall’alto nessuno ha niente da dire. E nemmeno dal basso a quanto pare, se non altro sul piano estetico. Perché la moglie del sindaco viene liberamente votata come nuovo sindaco. Altra conferma: la ‘ndrangheta è pragmatica, i suoi interlocutori pure, ma i cittadini no, votano per appartenenza ideologica, come ciechi esecutori.

Non è finita però. Nella rete individuata dagli investigatori ci sono altri esponenti dell’amministrazione. Un tecnico comunale, naturalmente. Ma anche un ex assessore ai lavori pubblici, ora consigliere Pdl e membro della commissione Edilizia, Michele Iannuzzi. La corruzione riesce meglio se è bipartisan, era la prima regola del rito ambrosiano. I cittadini si dividano pure, e con toni furibondi, sul piano ideologico, ma tra noi ci intendiamo amichevolmente. Infine sullo sfondo compare da amico (solo amico, ma non è che sia nulla, nel contesto) un assessore regionale la cui faccia campeggia oggi sui manifesti elettorali di Milano, Stefano Maullu. Così come in un’altra inchiesta di riciclaggio era recentemente comparso sullo sfondo un altro assessore regionale, Massimo Ponzoni (anch’egli solo amico).

Amicizie pericolose. Però pericolose davvero. Anzi: troppo, per un territorio in cui, secondo la Procura nazionale antimafia, la ‘ndrangheta si sta conquistando il monopolio del ciclo del cemento. Di fronte a questa foto di gruppo, così simile ad altre che scorrono nell’ormai lungo album lombardo, sembra privo di ogni fantasia lanciare l’allarme sui lavori dell’Expo, chiedere garanzie formali sugli appalti. E viene piuttosto da pensare con una certa rabbia a quando – correvano gli ultimi anni Ottanta – il mensile "Società civile" denunciava la presenza delle organizzazioni mafiose a Buccinasco, Corsico, Rozzano, Trezzano sul Naviglio, Cesano Boscone. Per sentirsi rispondere che, volendo, c’erano gli estremi della querela per l’offesa arrecata al buon nome delle amministrazioni. Sembravano risposte perfino in buona fede.

Certo, oggi, c’è una domanda che va oltre l’episodio spettacolarmente simbolico di Trezzano: che cosa ha fatto la politica, centrosinistra compreso, negli ultimi vent’anni, nei singoli comuni e in generale, per liberare i territori lombardi dalla 'ndrangheta? Questa mi sembra una domanda assai più interessante di quella oggi di moda, se siamo tornati o no a Tangentopoli. Il guaio è che stiamo andando oltre.

Da il Fatto Quotidiano del 24 febbraio

domenica 21 febbraio 2010

Marco Travaglio, lettera a Santoro

Marco Travaglio, lettera a Santoro

Paolo Berlusconi e l'affare con la cricca condividi:

Di Marco Lillo

21 febbraio 2010

Le telefonate con Balducci: e alla fine via libera all’affare Tutor in autostrada
Paolo Berlusconi ha ottenuto quello che desiderava dalla "cricca" che governava la Protezione Civile. Non solo quando chiedeva la nomina di un architetto amico ma anche quando premeva per l’autorizzazione di un apparecchio che schiude un mercato che vale milioni di euro. Stiamo parlando del Tutor, l’odioso sistema di rilevazione della velocità automobilistica, che costa molti soldi agli automobilisti indisciplinati ma salva molte vite. Finora l’unico sistema esistente è il Sicve della Autostrade Spa dei Benetton, installato su 1.500 chilometri di autostrade. Restano fuori 500 chilometri di rete più il grande mercato delle statali, provinciali e superstrade dove oggi regna incontrastato l’Autovelox. Le società che producono e offrono questi apparecchi in affitto ai comuni e agli altri enti pubblici guadagnano milioni di euro fatturando una percentuale delle multe.

Per entrare in questo mercato bisogna prima disporre della preziosa omologa dello Stato. L’operatore che si presenta per primo a proporre il suo dispositivo omologato è in pole position per guadagnare milioni mentre gli altri dovranno accontentarsi dei resti. Uno dei passaggi fondamentali per l’approvazione è il via libera del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, presieduto proprio da Angelo Balducci. Il braccio destro di Guido Bertolaso nella gestione dei grandi eventi, per i quali è stato arrestato dal gip di Firenze, anche grazie alla stima di Bertolaso era stato nominato a presiedere il massimo organo tecnico del ministero. E ovviamente quando nell’autunno del 2008 lo chiama Paolo Berlusconi per un affare che gli interessa, quello del "Celeritas", come si chiama questo sistema di rilevazione della velocità, si mette a disposizione.

La questione è riportata ai pm di Firenze dal Ros dei Carabinieri in un’informativa dell’ottobre 2009: "Il primo pomeriggio del 30 ottobre, Paolo Berlusconi chiede ad Angelo Balducci di interessarsi presso la quinta Sezione del Consiglio Superiore dove deve essere esaminata la proposta di un dispositivo Tutor presentato dall’impresa Engine Srl con sede a Viterbo e amministrata da Dionisi Angelo nato a Vetralla nel 1975".

Ecco quello che dice Paolo Berlusconi a Balducci: "Senti, oggi dal Ministero dei Trasporti un certo ingegner Mazziotta fa il relatore al Consiglio Superiore, alla quinta sezione di una proposta per un dispositivo tipo Tutor presentato dalla società Engine. Ecco, è possibile guardarlo, diciamo, non rinviarlo"

Balducci assicura il suo interessamento: "Sì adesso io chiamo e vedo come sta la cosa e ti richiamo subito". Paolo Berlusconi è raggiante: "Perfetto! Grazie molte...ciao, grazie".

Paolo Berlusconi richiama altre tre volte ma risponde l’autista di Balducci perché il suo capo è impegnato alla Protezione civile. A quel punto Berlusconi jr pensa bene di rivolgersi a un altro presunto corrotto che poi sarà arrestato dal Gip di Firenze. Continua il Ros: "Alle 20 e 31 Paolo Berlusconi richiama l’ingegnere Fabio De Santis (soggetto attuatore dei cantieri del G8 nei quali lavorava un architetto raccomandato da Paolo Berlusconi, Giovanni Facchini, ndr) e premettendo che non riesce a mettersi in contatto con Angelo Balducci, gli chiede di interessarsi: "Senti ti pregherei di incaricarti di questa cosa...io ci tengo...ma con Angelo non riesco a mettermi in contatto ed avere una risposta...fra una settimana va in quinta Commissione l'esame di alcune omologazioni, ne ho parlato con lui....ma mi ha detto che avrebbe cercato di farla discuetere, girarla fuori dal mazzo e discutere la settimana scorsa - ma poi appunto non mi ha detto nulla - l'omologazione di questa società che si chiama Engine se puoi prendere nota".

Ma a Paolo Berlusconi non basta. Visto che c'è, ricorda anche a De Santis l'incarico dell'amico architetto: "Allora lì ti chiedevo di sottolineare ad Angelo che Giovanni non ha avuto ancora nessun incarico per quanto riguarda quel lavoro che sta già facendo". E De Santis pronto: "Guarda questo lo curo personalmente ma considera come se ce l'avesse già in tasca". La solita efficienza della banda Balducci. Scarsi nella consegna dei lavori ma precisi come svizzeri quando si parla di raccomandazioni.

Ecco come continua la ricostruzione del Ros: "Nel primo pomeriggio del giorno successivo l’ing. De Santis informa Paolo Berlusconi che ha avuto assicurazione dal presidente Balducci, che entrambe le questioni (quella riguardante la Engine e quella riferita all’arch. Giovanni Facchini sono assolutamente sotto controllo": 'Ciao Paolo...allora ti volevo rassicurare che ho parlato con il Presidente e mi ha detto che quando vi siete sentiti quel giorno alle due...lui non ha fatto in tempo...perchè la riunione era già iniziata ha preso sotto tutela tutto e quindi mi ha detto di dirti...stai tranquillo perché ce l'ha lui sotto controllo tutto quanto...per la questione Giovanni ti avevo già rassicurato...quindi veramente tutto a posto'.

Paolo Berlusconi non molla l'osso. Il 18 novembre spedisce un sms a De Santis: "Caro Fabio ti ricordo la V commissione...per omol...Mi fai sapere...? Grazie e scusa... Paolo". De Santis risponde a stretto giro: "Tutto a posto domattina ti faccio sapere immediatamente". Mai come in questo caso il tempo è denaro e il Ros annota: "Paolo Berlusconi richiama ancora per dire che vi è la necessità di far esaminare dalla commissione la richiesta della societa Engine". Passano tre settimane e la questione torna di grande attualità. Ancora il Ros: "Il 12 dicembre De Santis informa Paolo Berlusconi che la commissione si riunirà entro pochi giorni e che la situazione è seguita: 'Senti volevo avvertirti che la prossima settimana ci sono sedute e che è tutto sotto controllo'. E Paolo Berlusconi risponde: 'Se mi fa la cortesia, è una piccola cosa ma urgente'".

Da quel momento segue tutto De Santis. Il grande giorno arriva il 18 dicembre: "Paolo Berlusconi ricontatta De Santis: 'Ho saputo adesso dai miei informatori che oggi ci dovrebbe essere un altro consiglio in cui esaminano quelle omologhe'. La risposta di De Santis, sebbene sempre tranquillizzante, è ancora interlocutoria 'Comunque tu stai tranquillo perché...stai tranquillo...stai tranquillo che ti aggiorno'".

I Carabinieri non hanno seguito fino alla fine la storia. Lo ha fatto il Fatto Quotidiano scoprendo che, ovviamente, il sistema di controllo della velocità che tanto interessava a Paolo Berlusconi è stato approvato. Nel decreto del ministero delle Infrastrutture del 12 marzo del 2009 si legge che "l'approvazione del dispositivo Celeritas della Engine Srl ha validità ventennale". Un decreto che schiude per 20 anni alla società degli amici di Berlusconi jr un grande business che può valere milioni di euro. E che non sarebbe stato ottenuto se il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici diretto da Angelo Balducci non avesse dato il suo via libera. Il direttore generale che firma il decreto, infatti, premette che lo fa "visto il parere reso nell’adunanza del 18 dicembre 2008, trasmesso a questo Ufficio in data 19 febbraio 2009".

Proprio la riunione di cui parlano De Santis e Berlusconi jr al telefono. Il decreto era stato seguito fino alla sua venuta alla luce con amorevole attenzione da parte di Paolo Berlusconi. Lo racconta sempre il Ros: "Nel pomeriggio del 27 gennaio gennaio 2009, Paolo Berlusconi chiede che venga risolto un problema procedurale sempre riferito alla omologazione del tutor: 'Bene innanzitutto complimenti...congratulazioni... (per la nomina a Provveditore della Toscana ndr) bene bene bene sono contento che sei contento...senti una piccola questione sempre relativa a quel discorso dell'omologa che mi hanno detto è stata...diciamo...deliberata...adesso c'è questo problema...era non hanno raccolto la firma di un facente parte della Commissione che l'aveva approvata...diciamo nella volta precedente...adesso siccome mancava un documento glielo hanno chiesto e glielo mandano e però loro dicono 'bé adesso prima del prossimo consiglio passa un mese'".

De Santis ovviamente risponde di non preoccuparsi: "No, no...io l'ho intercettata per cui stai tranquillo che non è così...già ci siamo mossi in questo senso per cui stai tranquillo...è sbloccata assolutamente'". E infatti il decreto arriva. Peccato che qualcun altro intercettava lui.



Da il Fatto Quotidiano del 21 febbraio

Come funziona il sistema Verdini

di EUGENIO SCALFARI

Adesso il problema sembra essere quello della corruzione generale. Di tutta la nazione. Di tutto un popolo "che nome non ha". Di tutta una gente che spunta alla rinfusa "dagli atri muscosi, dai fori cadenti". Una sorta di scena da teatro senza attori, solo comparse degradate che si sospingono a vicenda, una cenciosa opera da tre soldi dove vengono scambiate miserabili mazzette, abbietti favori, borseggi agli angoli delle strade. Ci sarà pure un Mackie Messer armato di coltello ma non si vede, dà ordini sottovoce all'ombra di quella plebaglia corrotta e corruttibile.
La Corte dei Conti ha quantificato il degrado collettivo: da un anno all'altro la corruzione è aumentata del 229 per cento. Anche due giudici della Corte sono tra gli indagati. Anche un giudice della Corte costituzionale è lambito dall'ondata di fango. Anche un magistrato della Procura di Roma.
I giornali dibattono l'argomento. Analizzano il fenomeno. Si tratta d'una nuova Tangentopoli a diciotto anni di distanza dalla prima? Oppure d'una situazione con caratteristiche diverse? Allora, nel 1992, si rubava per procurare soldi ai partiti e alle correnti; adesso si ruba in proprio ed è un crimine di massa. Meglio o peggio di allora?

Infine - ma questa è la vera domanda da porsi: la corruzione sale dal basso verso l'alto oppure scende dall'alto verso il basso? La classe dirigente è lo specchio d'una società civile priva di freni morali oppure il cattivo esempio degli "ottimati" incoraggia la massa a delinquere infrangendo principi e normative?

* * *

Berlusconi è preoccupato. Lo dice lui stesso in pubblico e in privato e molti suoi collaboratori trasmettono ai giornali il suo cattivo umore che del resto risulta evidente dalle immagini televisive e fotografiche.

"Se potessi scioglierei il partito, ma non posso". Una frase così non l'avevamo mai sentita prima. E' indicativa del livello cui il fango è arrivato.

Per quello che se ne sa, la sua preoccupazione proviene da sondaggi molto allarmati e soprattutto da previsioni pessimistiche sullo smottamento futuro del consenso. Emergono diverse faglie: quella dei moderati, quella dei cattolici, quella delle persone perbene senza aggettivi.
Bertolaso è indagato, Verdini e Letta compaiono molte volte nelle intercettazioni giudiziarie.

Due differenti pulsioni si alternano nell'animo del "capo dei capi": rintuzzare gli attacchi, mantenere le postazioni e anzi contrattaccare; oppure cambiare strategia, abbandonare le posizioni più esposte e i personaggi più discussi, dare qualche soddisfazione ad una pubblica opinione stupita, indignata e trascurata per quanto riguarda le ristrettezze economiche che mordono ormai la carne viva del Terzo e del Quarto stato.
La scelta tra queste due opzioni non è stata ancora fatta. A giudicare dalle parole e dagli atti sembrerebbe che il "capo dei capi" persegua contemporaneamente ambedue queste strategie col rischio di far emergere un'incoerenza che segnala una crescente difficoltà.

La legge in preparazione che dovrebbe inasprire le pene contro i reati di corruzione segna il passo. Il collega D'Avanzo ha spiegato ieri le ragioni del rinvio: il gruppo dirigente del partito non ci sta. Se alla fine la legge verrà fuori, sarà solo un placebo da avviare su un binario morto.
Più efficace (se ci sarà) potrebbe essere il lavoro di pulizia delle liste elettorali; ma quel lavoro, per avere un senso, dovrebbe estendersi ai membri del governo e del Parlamento colpiti da sentenze o da condanne di primo grado con imputazioni di corruzione. Ma ne verrebbe fuori una decimazione: Dell'Utri, Ciarrapico, Cosentino, Fitto e almeno un'altra decina di nomi sonanti. Vi pare fattibile un'ipotesi del genere? Promossa da Berlusconi che dal canto suo ha schivato le condanne solo con derubricazione di reati e accorciamento dei tempi di prescrizione disposti dalle famose leggi "ad personam"?

* * *

Il caso Bertolaso-Protezione civile fa storia a sé. Il punto nodale della questione sta nella distinzione tra eventi causati da catastrofi naturali per i quali la necessità e l'urgenza autorizzano a derogare dalle norme vigenti; e gli eventi non connessi a tali catastrofi, per i quali le deroghe non sono né urgenti né necessarie. Qualche eccezione in questo secondo campo d'azione può essere ipotizzata ma deve essere dettagliatamente motivata e debitamente circoscritta. Così non è stato. La cosiddetta politica del fare è diventata una modalità permanente, la mancanza di controlli ha alimentato l'arbitrio, e l'arbitrio è diventato sistema.
L'inchiesta giudiziaria in corso riguarda situazioni molteplici: appalti in Toscana, appalti alla Maddalena, appalti a Roma, appalti a L'Aquila, in Campania, a Varese, a Torino, a Venezia, seguirne il filo è stato scrupolosamente fatto dai giornali e lo do quindi per noto. Aggiungo qualche aggiornata osservazione.

1. Il giro degli appaltanti, degli attuatori e degli appaltatori è relativamente limitato. Le Procure (Firenze, Roma, Perugia, L'Aquila) li hanno definiti una "cricca". La parola mi sembra quanto mai adatta.

2. Gianni Letta (e Bertolaso) avevano escluso che imprenditori della cricca suddetta avessero mai lavorato all'Aquila, ma hanno poi dovuto ammettere di essersi sbagliati. Almeno due di essi (Fusi e Piscicelli) hanno avuto incarichi anche in Abruzzo. Agli altri e al gruppo Anemone in particolare, è stata data in pasto La Maddalena e molti altri luoghi, a cominciare da Roma.

3. La scelta iniziale di collocare il G8 nell'isola sarda fu un errore madornale. La pazza idea di ospitare i Grandi sulle navi creando una sorta di isola galleggiante fu rifiutata dalle delegazioni principali. Sopravvennero altre questioni di sicurezza di impossibile soluzione. Se non ci fosse stato il terremoto dell'Aquila, La Maddalena sarebbe stata comunque scartata ma questa impossibilità tecnica è venuta fuori quando il grosso dei lavori era già stato appaltato e portato avanti. La Protezione civile non si era accorta di nulla o, se se n'era accorta, non l'aveva detto a nessuno.

4. Il terremoto offrì una via d'uscita dall'"impasse" della Maddalena, ma a caro prezzo: furono costruiti dunque due G8, uno dei quali procedette di pari passo e negli stessi luoghi distrutti dal sisma. Da questo punto di vista la Protezione civile dette prova di grande efficienza. Il prezzo fu l'abbandono della Maddalena nelle mani di Balducci e della cricca e una soluzione edilizia, ma non urbanistica, che ha soccorso molte migliaia di aquilani ma ha messo in un binario morto la ricostruzione della città.

5. La figura di Angelo Balducci scolpisce nel modo più eloquente il funzionamento della cricca e gli arbitri che ne derivano. Uno dei casi più macroscopici riguarda la famosa sede del Salaria Sport Village sulle rive del Tevere. Terreno demaniale, zona preclusa ad ogni tipo di costruzione, parere negativo della conferenza dei servizi, della Regione, della Provincia e del Comune di Roma; tutti superati da un'ordinanza di Balducci con trasferimento della concessione all'imprenditore Anemone.

6. L'altra figura omologa che si erge alla guida della cricca è quella di Denis Verdini, coordinatore del Pdl e come tale persona "all'orecchio" del Capo.
Verdini non si lascia intervistare, non vuole sottoporsi a domande imbarazzanti. In compenso ha scritto un diario, una sorta di comparsa a difesa, e l'ha fatto leggere ad un giornalista del "Corriere della Sera". Il quale ha fatto scrupolosamente il suo mestiere riferendo il testo senza poter interporre domande. Ne è risultata un'autodifesa vera e propria.
Questo testo merita d'esser letto con attenzione. Ne riporterò qui qualche brano che ne dà l'idea.

* * *

"Il mio amico Riccardo Fusi è persona di cui mi fido, un vero imprenditore con tremila lavoratori alle sue dipendenze. Sono indagato per aver sostenuto una nomina che poteva interessare. Questo ha indotto i magistrati a pensare che ci fosse sotto un reato, ma non è così, non ho mai preso una lira, ma non nasconderò mai che a Riccardo ho presentato il mondo, tutti quelli che mi chiedeva di conoscere. Dimettermi da coordinatore? Non mi passa neanche per l'anticamera del cervello. Certe cose sono roba da asilo infantile. Siamo un sistema di potere? Scoperta dell'acqua calda. Quando c'è discrezionalità si apre la porta ad un sistema. Il punto è se è legittimo o illegittimo".

Questa frase è essenziale, fornisce la chiave autentica per decifrare ciò che sta accadendo.
Verdini è uno dei pilastri del sistema. Evidentemente lo considera legittimo, più che legittimo per il bene del paese. Scrive in un'altra pagina del suo diario: "Io lavoro per Berlusconi che riesce a ottenere benessere e consenso da milioni di italiani".
Lui non fa parte della cricca. Così dice, anche se gli amici per i quali si spende e ai quali procura appalti, nomine ministeriali, potere e danaro, sono i componenti della cricca. Ma lui no, lui non pensa di farne parte perché è collocato di varie spanne al di sopra. E non li favorisce per avere mazzette. Che volete che se ne faccia delle mazzette, lui che è agiato di famiglia? Lui gode di aver potere e di portare talenti e consensi al suo Capo. Talenti di malaffare? Può esser malaffare quello che porta consenso e voti a Berlusconi? Certo "quando c'è discrezionalità si apre la porta al sistema" e dunque portiamo la discrezionalità al massimo, sistemiamo gli amici nei posti che servono e chi non beve con noi peste lo colga. Non è questo il meccanismo? Non è questo che spiega la fronda di Fini e l'uscita di Casini dall'alleanza? Non è questo che divide Palazzo Chigi dal Quirinale? La magistratura da una concezione costituzionale che ricorda gli Stati assoluti?

Non prendono una lira, può darsi, ma hanno fatto a pezzi la democrazia. Vi pare robetta da poco?

* * *

Bertolaso è un'altra cosa. Nel 2001, poco dopo esser stato insediato da Berlusconi alla guida della Protezione civile, scrive una lettera all'allora ministro dell'Interno, Scajola, e al sottosegretario alla Presidenza, Gianni Letta. Dice così: "Il nostro Dipartimento è diventato dispensatore (assai ricercato) di risorse finanziarie e deroghe normative senza avere la minima capacità di verificare l'utilizzazione delle prime e l'esercizio delle seconde e senza avere alcun filtro utile sulle richieste. L'accavallarsi di situazioni di emergenza ha generato un flusso inarrestabile di ordinanze che a loro volta hanno comportato provvedimenti di assunzione di personale e autorizzazioni di spesa di non agevole controllo". Era il 4 ottobre del 2001. Sono passati nove anni ma sembra di leggere oggi un discorso di Bersani o di Di Pietro. Che cosa è accaduto?

Nonostante le apparenze Bertolaso è un uomo debole ma con una grande immagine di se stesso. Non ha il cinismo di Verdini e di Balducci, dei grandi corruttori. Adora i suoi volontari e ne è adorato. Pensate che qualcuno adori Verdini (tranne gli amici della cricca)? Qualcuno adori Balducci?
Bertolaso è un mito tra i suoi, lavora con i suoi, si veste come i suoi. Vuole essere amato. In questo è l'anima gemella di Berlusconi: vogliono essere amati. Naturalmente senza condizioni. Le critiche li fanno impazzire di rabbia. Le regole sono un impaccio. "Posso star fermo in attesa che il Parlamento decida?" ha scritto Bertolaso pochi giorni fa rispondendo ad una mia domanda.

Quindi avanti con i grandi eventi, Unità d'Italia, campionati di nuoto, campionati di ciclismo, celebrazioni di Santi e di Beati, restauro del Donatello eccetera. Insomma Bertolaso non ha addomesticato il potere come sperava nella sua lettera del 2001, ma è la brama di potere che si è impossessata di lui.
Quando è franata un'intera montagna sul paese di Maierato in Calabria, Bertolaso era alla Camera e poi a Ballarò per difendersi dalle intercettazioni che lo riguardano. La mattina dopo è volato a Maierato in mezzo ai pompieri che spalavano il fango. Bravo. Meritorio. Lo dico senza alcuna ironia, ma mi pongo una domanda: tra i compiti affidati alla Protezione civile non c'è anche quello importantissimo di prevenire le catastrofi e sanare il disastro idrogeologico del territorio?

Il grande meridionalista Giustino Fortunato cent'anni fa definì la Calabria "uno sfasciume pendulo sul mare". Allora non esisteva la Protezione civile, ma oggi c'è. Bertolaso sa benissimo che le montagne e le colline delle Serre nella Valle dell'Angitola sono uno sfasciume pendulo. Che cosa ha fatto per prevenire? Io so che cosa ha fatto: ha distribuito alle Regioni di tutta Italia la mappa idrogeologica del territorio segnalando i punti critici ed ha incoraggiato le Regioni a provvedere. Lui aveva altre cose di cui occuparsi.
Le Regioni senza una lira non hanno fatto nulla. La supplenza toccava a lui che i soldi li ha e le forze a disposizione anche. Ma la prevenzione non è un grande evento, le televisioni non se ne occupano, nessuno ne sa nulla. Intanto lo sfasciume crolla sulle case abusive e sulle strade abusive. Così vanno le cose.

* * *

La corruzione è aumentata a ritmi pazzeschi. Non è Tangentopoli? Forse è peggio. Oggi si ruba in proprio ma quelli che rubano sono i protetti del potere e puntellano il potere. Quelli che rubano cadono in tentazione e qui mi sono tornate in mente le pagine dostoevskijane del "Grande Inquisitore", delle quali ho discusso a lungo un mese fa col cardinale Martini riferendone su queste pagine.
Il Grande Inquisitore contesta a Gesù di avere promesso agli uomini il pane celeste mentre essi volevano il pane terreno. Gesù aveva dato agli uomini il libero arbitrio di cui essi avrebbero volentieri fatto a meno ed essi scelsero infatti di farne a meno pur di avere il pane terreno rinunciando ai miraggi del cielo. Gli uomini si allearono con lo spirito della terra, cioè con il demonio, ed anche i successori di Pietro si allearono con lo spirito della terra. Alla fine il mondo diventò pascolo del demonio e delle autorità che per brama di potere avevano sconfessato il messaggio di Gesù. Il Grande Inquisitore decide addirittura che Gesù sia bruciato e così si chiudono quelle terribili pagine.

Non so se Verdini o Letta o Bertolaso o Balducci o quelli che ridevano nel letto mentre L'Aquila crollava, abbiano mai letto i "Fratelli Karamazov". E se, avendoli letti, abbiano sentito muoversi qualche cosa nell'anima, un monito, un rimorso. Se l'hanno sentito, questo sarebbe il momento di seguirne l'impulso. Ma da quello che vedo, temo che siano sordi a questi richiami.

venerdì 19 febbraio 2010

Imparzialità, al servizio della nazione

red leg, 19-02-2010


Legge anti corruzione? Cominciamo a rispettare la Carta costituzionale. Potrebbe servire, forse, a far risalire l'Italia, nella statistica sulla corruzione nel mondo di Transparency International . Per ora il nostro Paese è dopo il Sud Africa, la Corea del Sud e Taiwan.

Ecco cosa dice la Costituzione italiana:

La Pubblica Amministrazione.
Art. 97.

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.

Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.
Art. 98.

I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.

Se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità.

Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero.

lunedì 15 febbraio 2010

Meno Craxi, più Berlinguer

Sandra Bonsanti, 14-02-2010


“Ci risiamo”, è il commento di chi ricorda il 17 febbraio del ’92, quando Mario Chiesa, passato alla storia come il “mariuolo” (definizione craxiana) fu arrestato con in mano la mazzetta di sette milioni e altri trenta appena buttati nel gabinetto. E meno Craxi e più Berlinguer è la parola d’ordine che dovremmo tutti adottare, oggi e nel futuro.

La scoperta della ondata di corruzione che non ha niente di nuovo ma molto di antico, deve farci riflettere su come si è arrivati a questo punto per poi trarne alcune considerazioni. Ci siamo arrivati perché da allora, da quel 1992-1994, hanno consentito (destra e sinistra) l’emergere lento e all’inizio soltanto sommerso, poi addirittura prepotente, dei giudizi di chi stava capovolgendo la storia. Una posizione che il capogruppo del Pdl Cicchitto ha definito così solo pochi giorni orsono nel dibattito a Montecitorio: ”Nel ’92-’94 ci fu una deriva eversiva, noi lavoriamo per ricomporla. La premessa a questo è la riforma della Costituzione”. Grazie, Cicchitto, di essere così chiaro e incisivo. Così trasparente, mi verrebbe da dire.

Dunque in Italia furono i magistrati a sovvertire il sistema, e non i corrotti o i corruttori. E oggi questa pagina va scritta e va cambiata la Costituzione per chiudere i conti. Non ce la farete.

Giorno dopo giorno Libertà e Giustizia ha documentato gli attacchi alla democrazia, alla Costituzione, ai magistrati. Giorno dopo giorno le nuove orrende definizioni di libertà, l’esaltazione di chi infrange le regole, i condoni, i rientri dei capitali, i progetti di annullare le intercettazioni, i bavagli, i favori alla criminalità. L’abilità comunicativa è stata dispiegata al massimo: no al ricordo di un martire del terrorismo fatto in Tv dal figlio pericoloso avversario politico, sì alle esternazioni sovversive del presidente del Consiglio.

Questa è la politica negli anni che stiamo vivendo. Ma a questa deriva non ha corrisposto una forte, decisa e compatta opposizione, occupata a dividersi e spartirsi un opaco potere ereditato. E’ questa la odierna denuncia di Gustavo Zagrebelsky nel manifesto “Il vuoto”, attorno al quale si stringe convinta l’associazione, amici e sostenitori vecchi e nuovi.

E a tutti, veramente tutti: meno immunità, meno impunità. Meno Craxi e più Berlinguer.

domenica 14 febbraio 2010

E' giunto il टेम्पो दी फार सेंतिरे ला नोस्त्रा वोस, परिमा छे तुटतो सिया इर्रिमेदिअबिल्मेन्ते perduto

Quello che sta venendo fuori sulla Protezione Civile non è certo una novità: tutti sapevano, ma nessuno osava chiedere spiegazioni e men che meno questa opposizione che, ha ragione Valentino Parlato, si fa fatica a definire tale.
Io penso che al punto in cui siamo non si può più far finta di niente e stupisce il silenzio assordante anche del Quirinale su questi fatti.
Ha ragione ancora Parlato non si può lasciare B. a circoscrivere il tutto per fare in modo che egli ne rimanga fuori, perchè è di una evidenza lampante che quello che è successo è solo frutto del suo personalissimo modo di gestire la cosa pubblica e per la sua concezione di intendere i cittadini quali suoi sudditi.
E' chiaro che qui c'è in ballo la democrazia e lo svuotamento della Costituzione ne è la prova provata.
Se così è il supremo garante della Costituzione ne deve prendere atto ed esercitare il potere che gli assegna la Costituzione: sciogliere le camere e tornare al voto il prima possibile!!
Certamente in una situazione così difficile sarebbe bene prima un governo tecnico con il solo mandato di cambiare la legge elettorale, magari solo abrogando l' attuale e tornare a votare con quella di prima, sempre meglio di questa oscenità, e con il compito di ristabilire l'equilibrio nell'informazione televisiva per fare in modo di informare correttamente i cittadini.
L'opposizione non sta chiedendo niente di tutto questo, allora penso che è giunto il tempo di farlo noi cittadini, stabiliamo come, facciamo una petizione raccogliamo milioni di firme e mandiamole al Quirinale, insomma dobbiamo fare qualcosa prima che sia troppo tardi.
Ricordiamoci che appena pochi giorni fa Giulio Andreotti ci ha preavvertito sui rischi che stiamo correndo ....!!
Nella Toscano

Nessun uomo è un'isola, completo in se stesso. Ognuno è parte di un continente, una parte del tutto...

Nessun uomo è un'isola, completo in se stesso. Ognuno è parte di un continente, una parte del tutto... e dunque non mandare mai a chiedere per chi suona la campana; suona per te.
(John Donne, Meditation XVII)

Un anno fa Libertà e Giustizia rese pubblico un documento ritenendo di “rompere il silenzio” sul degrado della democrazia verso il quale l’Italia stava procedendo senza reazioni all’altezza del pericolo. Sembrava che ci si trovasse “in bilico”. In pochi giorni più di 200mila cittadini condivisero quelle preoccupazioni attraverso la sottoscrizione.

A distanza di un anno, l’espressione “in bilico” è un eufemismo fuori corso. Ora, più che mai, è impossibile non vedere la piega che il nostro Paese ha preso. Mancheremmo ai nostri doveri di cittadini responsabili del presente e del futuro, nostro e dei nostri figli, se non denunciassimo, insieme al degrado, il vuoto che è il suo terreno di coltura.

È il vuoto che più spaventa. Vuoto nel quale prospera una mai vista concentrazione oligarchica di finanza, informazione e politica che spazza via la distinzione pubblico-privato, ignora il senso delle istituzioni e giunge al punto di fare uso privato dell’atto pubblico per eccellenza, la legge. Non è solo questione di decenza e di etica pubblica. La democrazia è in questione, anche senza bisogno di cambiarne le regole.

Senza uguaglianza, non ci sono cittadini, ma padroni e servi, rispetto sia alla politica, sia alla cultura e all'informazione, sia all'economia.

Gli equilibri si sono rotti. La legge del potere è di ingrossare fino a dove incontra limiti e controlli e, dove li incontra, di travolgerli. Per questo, le preannunciate riforme istituzionali si presentano con un volto che a malapena dissimula la minaccia. Serviranno a ristabilire gli equilibri o ad accrescere gli squilibri?

Non crediamo di esagerare. E non crediamo di sbagliare segnalando che il vuoto più pericoloso è il vuoto d’opposizione. Alle rituali parole di protesta che lasciano il tempo che avevano trovato, si accompagnano comportamenti contraddittori, ambigui, reticenti e silenti. Soprattutto, manca un’analisi della nostra presente situazione, per costruirvi sopra una politica da proporre e sostenere apertamente e chiaramente di fronte ai cittadini.

Si diffonde così l’idea e la voglia di chiudere con un accordo, pur che sia, il conflitto sulla Costituzione.

È vero che la politica è fatta di compromessi e anche di “patti col diavolo”, ma a condizione che si sappia quel che si vuole, che cosa è irrinunciabile e che cosa non lo è, in vista dell’accordo. In mancanza, è come disporsi a mettere la testa sulla ghigliottina, per il gusto di stare comunque sul palco.

Negli ultimi tempi, tuttavia, di fronte a questo vuoto c’è uno spazio che si sta riempiendo. Cittadini di ogni età e di diverso orientamento politico hanno rotto il silenzio, organizzandosi spontaneamente fuori delle strutture di partito, nelle piazze vere e virtuali consacrando i social network come la piazza politica del futuro. Le mobilitazioni pubbliche di questi mesi, pacifiche e riflessive, promosse per la libertà di stampa, per la difesa della Costituzione e della legalità, per il diritto al lavoro e contro il populismo e la pubblica corruzione, sono state una novità, anzi una sorpresa.

Si può essere intensamente partecipi della politica anche senza appartenere a un partito. Questa partecipazione, come dimostrano le elezioni primarie, per ora non è affatto contro i partiti e chiede loro più politica e meno “partitica”, cioè meno autoreferenzialità, alchimie, laboratori, convegni, fondazioni, ecc., e più presenza tra i cittadini, là dove si svolge la loro vita e dove si crea il legame che si manifesta nel consenso elettorale.

Libertà e Giustizia si sente parte del risveglio democratico che è in atto e deve essere sostenuto. Tuttavia, essa non può disinteressarsi dei partiti, non può evitare di rivolgersi loro direttamente quando la democrazia e la Costituzione – la sua ragion d’essere – appaiono a rischio, come oggi.

Chiediamo chiarezza.

Chiediamo che non si abbandoni la questione della concentrazione dei poteri, e che si riprenda il tema del conflitto d’interessi, innanzitutto nell’informazione televisiva.

Chiediamo che si restituisca ai cittadini il diritto di eleggere in Parlamento i propri rappresentanti, e che si operi per la riforma di una legge elettorale iniqua, che tutti dicono che sia da cambiare ma che a troppi, nei partiti, piace così com’è.

Chiediamo che, contro le tendenze plebiscitarie, si dica una parola impegnativa circa la difesa del Parlamento e del sistema parlamentare.

Chiediamo che sulla difesa della legalità si esca dall’ambiguità di formule come il “riequilibrio tra magistrature (Corte Costituzionale compresa)” e politica.

Crediamo che la chiarezza su questi punti sia premessa e condizione della fiducia che i cittadini possano nutrire nei confronti dei propri rappresentanti.

Crediamo infine che moltissime siano le persone che condividono i principi e le preoccupazioni contenuti in questo manifesto. Speriamo di averle al nostro fianco per cercare di colmare insieme il vuoto che non risparmia nessuno.

- Libertà e Giustizia, 14-02-2010

sabato 13 febbraio 2010

Dieci Domande...stavolta all'opposizione!

Dopo le dieci domande di Repubblica a Berlusconi, durante un convegno dal titolo eloquente: "Berlusconi and beyond: prospects for Italy" (Berlusconi e oltre: prospettive per l'Italia), organizzato a Birmingham da Geoff Andrews, italianista della Open University, con il patrocinio della Birmingham University, un parterre di think thank d'oltremanica, tra cui l'autorevole ex-direttore dell'Economist già in passato protagonista di discusse copertine avverse a Berlusconi, dopo aver seguito con molta attenzione le vicende del capo del governo italiano, oggi si chiede come mai, di fronte a tanti e tali scandali, la popolarità del Presidente del Consiglio e del suo governo sia cresciuta, a dispetto di ogni prevedibilità, in misura direttamente proporzionale alla debacle ed alla crisi politica delle forze di opposizione, tenute insieme, secondo i relatori dell'incontro, essenzialmente da un fattore: l'antiberlusconismo.
In sostanza Berlusconi appare come l'unico collante sia per la sua litigiosa maggioranza, di cui è capo supremo ed indiscusso, sia per l'opposizione.
Ecco così che una dietro l'altra saltano fuori queste dieci domande, a cui stavolta dovranno rispondere gli esponenti dei partiti d'opposizione, a partire dal segretario del Partito Democratico, Bersani.

Rispetto a quest'empasse politico, forse l'unica via d'uscita praticabile sta nelle risposte a queste dieci domande. A cui speriamo, qualcuno sia in grado di rispondere!

LE DIECI DOMANDE all'Opposizione Italiana.

1) quali sono i vostri principali valori politici al di là dell’anti berlusconismo?

2) perché quando l’opposizione ha avuto la possibilità di governare non ha regolamentato il conflitto di interessi?

3) quale è la visione della società italiana del futuro e per quale tipo di giustizia sociale vi schierate?

4) qual è la vostra visione della globalizzazione e come vedete l’Italia in essa?

5) come pensate di aumentare le possibilità a disposizione dei giovani in una prospettiva meritocratica e qual è la vostra risposta alla lettera di Pier Lugi Celli che invitava il figlio al lasciare l’Italia?

6) Sarete in grado di apportare serie riforme della classe politica in termini di: numero dei parlamentari; immunità legali; presenza di parlamentari con problemi giudiziari; costi della politica

7) è possibile che l’inesistenza di un governo ombra o il fallimento nel tentativo di crearlo comunichi agli elettori l’assenza di un governo alternativo in attesa e quindi comunichi la non presenza di un’opposizione ufficiale in Italia?

8) perché non c’è un reale interesse e capacità nell’usare i nuovi media?

9) Se aveste un miliardo di euro di risorse extra come le utilizzereste? Ricerca universitari, Scuola, riduzione del debito pubblico, rafforzamento delle forze di polizia, stimolo alle imprese, tutela del lavoro?

10) Avete un Obama capace di sfidare Berlusconi in carisma e popolarità ma al tempo stesso di creare una visione e un sogno per gli elettori che vi dovrebbero votare?

La favola del paese che va

Nell'ultima parte del 2009 anche i Paesi più in affanno del G7
hanno dato segnali di risveglio. L'Italia continua a languire
La favola del paese che va
di MASSIMO GIANNINI

La recessione mondiale ci presenta il conto. E per l'Italia è un conto salatissimo. Il crollo del 4,9 per cento del Prodotto interno lordo generato dalla nazione nel 2009 non colpisce tanto per la sua dimensione epocale: uno schianto di questa portata non si registrava da ben trentanove anni. Stupisce anche per la sua progressione tendenziale: nel quarto trimestre dell'anno passato politici incoscienti e analisti confidenti scommettevano su una ripresa, magari anche modesta, e invece il Pil è caduto ancora (del 2,8 per cento sul quarto trimestre 2008, e dello 0,2 sui tre trimestri precedenti).

Alla faccia di Berlusconi e Tremonti, dunque, la nave non va proprio. E stavolta il premier non può raccontare all'opinione pubblica la solita favola rassicurante, che ripete come un esorcismo da due anni a questa parte: "l'Italia va meglio degli altri". Nell'ultima parte del 2009, quanto a tassi di crescita, anche i Paesi più in affanno nel G7 (dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna) hanno dato segnali di risveglio. Solo noi continuiamo a languire, e a deperire, nel "grande sonno" dell'accidiosa propaganda governativa. Ecco cosa significa accontentarsi del "meno peggio", come ha scritto tre giorni fa Tito Boeri su questo giornale. L'Italia paga il costo del suo immobilismo. La sedicente "politica del fare", soprattutto in economia, è precipitata ormai da troppo tempo in un renitente "governo del non fare".

È vero. Questa stralunata "Berlusconomics", attendista e rinunciataria, ha consentito all'Italia di sfilarsi momentaneamente dal girone infernale del Club Med. Oggi, quando si parla di "Pigs", i "maiali" che infettano Eurolandia con i loro conti pubblici in disordine, si evocano Portogallo, Grecia e Spagna. A giudizio dei mercati, la "I" di mezzo non è più l'Italia, che è uscita dall'acronimo infamante. È l'Irlanda, come conferma uno studio appena uscita su lavoce. info. Se si prendono in esame i tre criteri fondamentali per stabilire la tenuta di un Paese (solvibilità, liquidità e recessione con cambio sopravvalutato) il caso irlandese è persino più grave di quello greco. Il debito estero di Dublino è pari a nove volte il Pil, quello pubblico (sull'estero) è oltre il doppio delle entrate, le riserve della Banca centrale coprono solo un 460mo del debito a breve, il cambio reale si è apprezzato del 13 per cento dal 2005 e il Pil è crollato del 7,5 per cento.


Il caso italiano, all'opposto, è quello meno grave, almeno per quanto riguarda il deficit, il debito estero, le riserve, il cambio reale. Ma la stessa cosa non si può dire per la crescita, che invece ci vede fortemente penalizzati anche rispetto a quelli che gli economisti chiamano i "porci con le ali", cioè Spagna, Portogallo e Grecia. Qui sta il vero dramma italiano di questi anni. Sul fronte della finanza pubblica abbiamo evitato la bancarotta, con una pura logica di riduzione del danno. Le tasse non sono affatto calate (e infatti la pressione fiscale cresce in termini reali) ma almeno la caduta di gettito non è stata disastrosa. La spesa corrente non è stata ridotta (viceversa, continua a crescere nell'ordine dei 2 punti percentuali) ma almeno il suo aumento non è stato rovinoso. Questo ha permesso al ministro del Tesoro di restare a galla nella tempesta perfetta, evitando che un attacco speculativo sugli spread o un fallimento all'asta dei titoli di Stato si trasformassero in un iceberg fatale.

Ma sul fronte delle riforme di sistema e delle misure per lo sviluppo il Paese vive forse uno dei periodi più bui della sua storia. Non si vede uno straccio di politica economica. La riforma fiscale, annunciata in pompa magna dal Cavaliere, è già finita nel solaio di Tremonti e nel dimenticatoio dei contribuenti. La riforma del Welfare, auspicata solennemente da Sacconi, giace in un limbo inafferrabile. Non si vede, soprattutto, un barlume di politica industriale. La Fiat delocalizza in Brasile e in Messico e chiude Termini Imerese, e Scajola non trova di meglio da fare che giocare al gatto col topo sugli incentivi e smerciare ogni giorno improbabili piani di riconversione. Le multinazionali pesanti come Alcoa e Glaxo se ne vanno, lasciando per strada operai e impiegati, le grandi industrie della ricerca come Motorola e Italtel chiudono, licenziando ingegneri e personale qualificato.

A dispetto delle risibili rassicurazioni politiche e manageriali di questi mesi, stiamo per cedere altri pezzi pregiati della nostra produzione nazionale: Alitalia prima o poi finirà in pancia ai francesi di Air France, Telecom presto o tardi finirà in braccio agli spagnoli di Telefonica. La "scelta strategica" di Berlusconi per sostenere la crescita, finora, è stata una sola: il gigantesco "cantiere in deroga" a tutto (leggi, regolamenti, controlli) costruito dalle mani sapienti di Bertolaso e dei suoi operosi collaboratori. Il glorioso "modello Protezione Civile Spa": un'altra bolla speculativa, tra le tante gonfiate ed esplose in questi anni di gelatina.
Per il resto, cosa rimarrà dell'Azienda Italia? Cosa produrremo tra dieci anni? Basteranno le piccole e medie imprese del Quarto Capitalismo a salvarci? In quali settori saremo più bravi, o almeno più competitivi? Nessuno lo sa. Soprattutto, nessuno lo dice, tra Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli. L'Economist uscito ieri, in un'inchiesta a tutto campo sulle prospettive del 2010, vede all'orizzonte "nuovi pericoli per l'economia mondiale". Se il governo li affronta così, confuso, sfiancato e indeciso a tutto, l'Italia potrà anche uscire dal recinto dei "pig". Ma dovrà scordarsi per sempre di entrare in quello dei "big".

venerdì 12 febbraio 2010

Protezione Virile: perché i potenti hanno bisogno delle prostitute?

Luca Telese

2 febbraio 2010

Ecco, per esempio quando leggi questa intercettazione: "Sono Guido, buongiorno...Sono atterrato in questo istante dagli Stati Uniti, se oggi pomeriggio, se Francesca potesse...Io verrei volentieri, una ripassatina". Ecco, proprio quando leggi queste parole: come mai non ti viene mai in mente che si riferiscano a una "massaggiatrice di mezza età", come ha provato a spiegarci con la sua proverbiale genialità inventiva Silvio Berlusconi? Perché resti perplesso quando Bertolaso ti racconta di "una grande professionista che mi aiutava a risolvere quell’enorme stress dal lavoro che facevo?".

Perché persino il nome dell’imprenditore che fa da intermediario – Anemone – assume una sonorità da teatro plautino, una suggestione da tragedia greca, da maschera grottesca? Poi di contorno arrivano altre figure mitologiche: le brasiliane, le vergini rallegratrici, persino qualche mediatrice che riaffiora dall’immaginario arcaico del Cacao meravigliao.
Se quello che i magistrati ipotizzano fosse vero, se le risate sciacallesche sulle macerie e sui cadaveri non sono un incubo, la domanda che ritorna, ancora una volta è: perché il potere ha questo frenetico bisogno di infilarsi dentro il letto del sesso mercenario?

C’è qualcosa che si ripete sempre uguale, da qualche anno a questa parte: donne pagate, donne offerte, donne (ma se serve anche trans e uomini) usate come benefit, come antistress, come carne da macello.

Inchiesta di Vallettopoli, anno di grazia 2006. Un certo Giuseppe chiama il portavoce del ministro degli Esteri: "Ti mando Stella: piccola ma carina. Compatta. Come una Smart. 22 anni. È roba fresca”. Altra telefonata. Il direttore delle risorse umane della Rai, Giuseppe Sangiovanni parla di Maria Monsè: "Una bella porcella".
E poi la trans Natalie che racconta gli incontri di Piero Marrazzo con Brenda: "Era una cosa a tre, io non andai".

Estate 2009, il sistema Tarantini. Dalle indagini risulta che una escort Terrì De Nicolò, è pagata per prostituirsi con gli amici di "Gianpi". Sia con il vicepresidente della regione Puglia Sandro Frisullo (di centrosinistra) sia a Palazzo Grazioli. A Frisullo la casa la offre – gentilmente – un collaboratore: un territorio amico. Negli altri casi ecco i centri benessere, che diventano subito le nuove oasi ristoratrici della contemporaneità.

È un cerchio strano che si chiude ogni volta. Il tarantinismo, ben prima di Patrizia D’Addario (leggersi il suo Gradisca, presidente per credere) restituisce una nuova vita alla figura del procacciatore, e all'idea della preda sessuale che viene consegnata al sovrano già doma. Allora la prima domanda che ti fai è: perché i potenti ci dovrebbero stare? Quale bisogno soddisfano, e quale debolezza scandagliano le arti dei procacciatori? Molti ripetono l’argomentazione difensiva prediletta: "Ma come! Sono uomini così belli e desiderati, che bisogno hanno di una prostituta?".

E invece un bisogno c’è. Hai sempre fretta, sei terribilmente stressato, hai pochi tempi morti nell’agenda del palmare. Devi riempirli appena si liberano. Non devi lasciare tracce. Non devi avere implicazioni sentimentali, strascichi. Non devi accendere una relazione con una figura autonoma, che confligge con la famiglia di riferimento, che spesso – anche in contemporanea – deve essere impegnata nella rappresentazione della drammaturgia istituzionale.

Escort è una parola più comoda, asciugata al senso etimologico: la scorta, l’estrema protezione del segreto, la corroborazione curativa del corpo. Non più il corpo del politico, il sottosegretario, il presidente. Ma il capo, il sovrano che deve ristorarsi.
Se è così, però, il capo-semidio, non può sporcarsi le mani con il denaro. Non può distruggere il sogno mettendo mano al portafoglio. Il ruffiano che paga, diventa essenziale perché cancella la traccia e il senso di colpa.

Perché ricostruisce l’illusione del dono sessuale-votivo offerto al principe in virtù del suo carisma. La Protezione virile si sostituisce a quella civile. Meno male che ci sono le intercettazioni: ancora per un po’ Anemone resta un cognome, e non un mito.

Da il Fatto Quotidiano del 12 febbraio

"Gasparri e La Russa non vogliono il regolamento antimafia

12 febbraio 2010

L'accusa di Granata. E la Napoli dice "Renderebbe complicato fare le liste in Calabria"

di Sara Nicoli

Un bel guaio. Non si potrebbe definire altrimenti quello che sta andando in scena nella Commissione bicamerale Antimafia presieduta da Beppe Pisanu. E che si è messa in testa, sospinta dalla volontà del medesimo presidente ma con il supporto di tutti i gruppi parlamentari che la compongono, di dare il via a un regolamento antimafia sulle candidature alle prossime elezioni regionali davvero a prova di bomba. Solo che, proprio mentre si stava arrivando alle battute finali su un testo che non solo prevederebbe la decadenza di chi è rinviato a giudizio pur essendo stato eletto ma che espande – addirittura – questi vincoli anche su sindaci, assessori e pure consulenti di un consiglio regionale, ecco che in scena è entrato il capogruppo Pdl Antonino Caruso. E che, per farla breve, ha detto che quel regolamento non s’ha da fare.

Pisanu si è arrabbiato e ha rinviato tutto di un paio di settimane, ma la spaccatura dentro il Pdl è emersa con chiarezza. Perché Caruso ha tentato di vanificare un regolamento davvero incisivo sul fronte antimafia?

"Glielo spiego io il perché – tuona il vicepresidente della Commissione, l’ex aennino Fabio Granata – perché questa volta metteremmo davvero nei guai chi vuol fare il furbo, perché nel regolamento abbiamo scritto anche l’obbligo della Commissione di rivedere tutte le candidature, una volta stilate e di relazionare al Parlamento in merito a quelle posizioni che vengono considerate fuori dalle regole antimafia. Lei capisce che si tratta di una presa di posizione politica molto forte, ma Caruso è arrivato addirittura a dirci, per mettersi di traverso, che la Commissione antimafia non aveva il potere di fare una cosa del genere e ha presentato una serie di emendamenti per rendere tutto l’articolato meno vincolante. E stiamo parlando solo di cinque articoli".

Granata svela anche al Fatto quelli che sarebbero i retroscena dell’agire del capogruppo Caruso che "ci tiene tanto – sostiene ancora Granata – ad evitare deterrenti morali per i partiti".
"Sono Gasparri e La Russa che non vogliono che ci sia questo regolamento – dice ancora Granata – perché hanno una sensibilità politica diversa".

Solo questo? Angela Napoli, pidiellina in Commissione antimafia, mette il dito direttamente nella piaga: "Gasparri sta sovrintendendo in prima persona alla stesura delle liste in Calabria, visto che Scopelliti è il suo pupillo, e a quanto ne so stanno anche deviando alcuni candidati su liste collegate a quella del presidente in modo che non appaiano direttamente collegati al Pdl, questo almeno si dice; e il regolamento renderebbe tutto molto più complicato. Ecco perché Gasparri difende Caruso".

A questo scontro assiste, al momento silente, l’opposizione: "Mi sembra – spiega la senatrice Pd, Silvia Della Monica – che siano beghe in casa Pdl, ma se la questione dovesse precipitare faremo la nostra parte".
E’ chiaro che la questione del regolamento antimafia per le regionali è solo la punta dell’iceberg. Berlusconi, infatti, è tornato a chiedere una lesta revisione della legge sui pentiti subito appoggiata (anche questa) da Maurizio Gasparri. Che ieri, confermando tutte le voci che lo riguardano soprattutto nel Pdl, ha dichiarato: "Non vogliamo abolire la figura dei collaboratori di giustizia, che spesso danno contributi importanti, bisogna però fare più verifiche sulle loro dichiarazioni".

In questo modo, il presidente dei senatori Pdl ha dato man forte a chi nel suo stesso partito e nello stesso entourage di Berlusconi, vorrebbe ritirare fuori dal cassetto al più presto il ddl Valentino.
Cosa che Anna Finocchiaro, tanto per mettere un punto, ha subito respinto al mittente: "Non c’è nulla da cambiare". Ma si corre davvero questo rischio? Granata non ci crede. "Contro questa normativa abbiamo la voce contraria sia di Maroni sia di Alfano".

Conferma Angela Napoli. "Entrambi i ministri non ne vogliono sapere nulla, speriamo che Alfano non si faccia convincere a cambiare idea, ma non ci credo perché sarebbe devastante per tutto il Pdl, che non si potrebbe più lamentare se poi esce un collaboratore di giustizia e fa certe dichiarazioni; sarebbe questo sì un caso lampante di legge ad personam, altroché!".

Da il Fatto Quotidiano del 12 febbraio

martedì 9 febbraio 2010

Legittimo impedimento, le ragioni di incostituzionalità

di
Francesco Palladino, 09-02-2010

A palazzo Madama inizia in questi giorni, in commissione Giustizia, l'esame del ddl n.1996 sul "legittimo impedimento" (il cosiddetto "ponte tibetano",che dovrebbe portare in 18 mesi ad uno scudo immunitario costituzionale per il premier) già approvato, mercoledì 3, a Montecitorio. Entro il mese di febbraio, con ogni probabilità, sarà in vigore. Ormai sono abbastanza chiari i profili di illegittimità costituzionale della legge, che rappresenta una nuova "porcheria" giuridica del governo, come abbiamo già avuto modo di segnalare su questo sito, da due-tre mesi, appena diventò pubblica l'iniziativa della maggioranza e dell'Udc. Anzi, proprio per fornire un breve "promemoria", forse utile per i senatori, riproduciamo qui qualche capoverso di un paio di articoli che abbiamo pubblicato a novembre e dicembre, che contengono le ragioni essenziali di incostituzionalità, nelle considerazioni in diritto della Consulta (dalla sentenza sul Lodo Alfano n.262-2009).

"LEGITTIMO IMPEDIMENTO", IL NUOVO LODO PER SALVARE BERLUSCONI
Si nota un grande arrabattarsi nel centrodestra per salvare il premier dai processi pendenti e, forse, da quelli futuri.(.........). Abbiamo già dato conto su questo sito, il 16 scorso, di alcuni profili per i quali la Corte nella sentenza 262 ha bocciato la legge salva Berlusconi. Ma abbiamo trascurato le motivazioni che sono legate al "legittimo impedimento" e che adesso, con la nuova proposta di mini Lodo, sono certo di attualità. 
Il relatore Gallo, al paragrafo 7.3.2.1 si sofferma ampiamente - guarda caso - proprio su questo argomento e ricorda che la Corte ha già rilevato che la sospensione del processo per "legittimo impedimento" a comparire contempera -è vero- il diritto alla difesa con l'esercizio della giurisdizione, "differenziando la posizione processuale del componente di un organo costituzionale", ma solo "per lo stretto necessario, senza alcun meccanismo automatico e generale" (sentenze Consulta n.451 del 2005, n.391 e n.39 del 2004 e n.225 del 2001). Quindi, l'esigenza della tutela del diritto di difesa "è già adeguatamente soddisfatta in via generale dall'ordinamento, con l'istituto del legittimo impedimento". Quello già vigente e regolato, non uno diverso e più ampio, concepito solo per un unico utilizzatore finale.

PARTITA LA CACCIA AL SALVACONDOTTO PER SILVIO
La 'ratio' dei progetti Pdl è quella di sottrarre al giudice la facoltà di sindacare sulla sussistenza del legittimo impedimento del premier (e degli altri soggetti): esso viene dato come reale, assoluto, attuale, senza se e senza ma, comunque e sempre, quando richiesto, e vale "per il tempo preparatorio, contestuale e successivo necessario per lo svolgimento di ogni atto proprio delle funzioni ad essi attribuite" (attività di governo e politiche, rappresentanza, presenze parlamentari). Uno scudo totale: fine delle udienze per il presidente, e processi sospesi a lungo, fino a che non si riesca a inventare soluzioni più stabili. Un nuovo tipo di immunità a tempo, con legge ordinaria e non costituzionale. Una vera porcheria giuridica.
Ma, ultima spes, c'è ancora l' Alta Corte, che ha analizzato la questione (considerazioni in diritto, sentenza 262-2009, pg.31, sul Lodo Alfano) ed osservato che l'esigenza della tutela del diritto alla difesa per i componenti di un organo costituzionale "è già adeguatamente soddisfatta" in via generale dall'ordinamento, con l'istituto del legittimo impedimento. Così come è adesso, solo per lo "stretto necessario", senza meccanismi automatici. E' una indicazione della Consulta: il Parlamento vorrà tenerne conto?
Chiudo con la citazione di un editorialista che più liberale, moderato, antigiustizialista, non esiste: Piero Ostellino (Corsera, 21 novembre, rubrica "Il dubbio"). Pur in un contesto critico verso la Corte costituzionale, le istituzioni, i media, che offrono uno spettacolo non degno di un paese civile, tuttavia Ostellino scrive che "Berlusconi non sa ancora come uscirne" (dai processi), coi suoi legali: "Ma c'è una distinzione tra il ruolo dell'avvocato in tribunale e quello in Parlamento. In tribunale l'avvocato può spingersi fino ai limiti della legge; il parlamentare, ancorché avvocato, è vincolato al rispetto dello Stato di diritto. Il potere politico,anche se democraticamente legittimo, non è legibus solutus".

domenica 7 febbraio 2010

De Luca, l'Idv e l'acclamazione barzelletta

7 febbraio 2010
Il voto per acclamazione con cui i delegati dell'Idv hanno deciso di appoggiare la candidatura di Vincenzo De Luca alla presidenza della regione Campania è un errore politico che costerà molto caro al movimento di Antonio Di Pietro. D'ora in poi, e con piena ragione, chiunque potrà ricordare quanto è avvenuto a Salerno e affermare che l'Italia dei Valori applica il sistema dei due pesi e delle due misure. Se De Luca corre per la poltrona di governatore con due processi in corso, perché non deve poter governare o candidarsi chi è nella sua stessa situazione? Detto in altre parole: qual è la differenza tra De Luca, Berlusconi o Fitto?

Badate bene, qui non si tratta di discutere di etica, di giustizialismo, di selezione delle classi dirigenti demandata (sbagliando) alla magistratura, o di altro. Il problema invece è la coerenza. Anche perché in politica vincono i messaggi semplici. E quello lanciato con la standing ovation al congresso dell'Idv in favore di De Luca, lo è. Tanto che, questa volta, viene difficile dar torto al vice-capogruppo dei senatori del Pdl, Gaetano Quagliariello, quando parla di decisione "barzelletta".

Dopo la svolta di Salerno, l'Italia dei Valori finirà insomma per pagare pegno. E lo farà persino se De Luca dovesse sconfiggere il suo scialbo (ma formalmente immacolato) avversario. È noto, infatti, che quello Di Pietro è prima di tutto un movimento che raccoglie il voto di opinione. Per questo va generalmente male alle elezioni amministrative, mentre recupera terreno alle politiche o alle europee. Il caso De Luca fa adesso correre seriamente il rischio che il movimento di opinione alle spalle dell'Idv si disperda o finisca per rivolgersi, una volta ancora, al Partito Democratico o a quello che ne resta. Ne valeva la pena? Pensiamo di no.

È vero, la scelta di sostenere De Luca era quasi ineluttabile. Di altri candidati in Campania non ce n'erano. Anche perché in questi mesi né il Pd, nè l'Idv si sono dati troppo da fare per trovarli. E Luigi De Magistris, l'unica persona che presentandosi all'ultimo momento avrebbe messo in crisi il gioco pro De Luca, non lo ha fatto. Finendo così per caricarsi sulle spalle, a causa dei suoi tatticismi e della sua mancanza di coraggio, una parte rilevante della responsabilità dell'accaduto. Ma, in ogni caso, c'è modo e modo per appoggiare una candidatura del genere.

Un partito lo può fare dimostrando a tutti che sta ingoiando un rospo. Che si sta muovendo solo per dovere di coalizione dopo che con il Pd è stato raggiunto un accordo a livello nazionale. Oppure può evitare, o quasi, il dibattito. Può risolvere tutto in mezza giornata, per poi andare gioiosamente, e tra il tripudio di delegati e dirigenti, verso uno degli errori più clamorosi della sua breve storia.

sabato 6 febbraio 2010

Sulcis in fundo

Di Luca Telese 6 febbraio 2010
L’isola in cui sono nato non è più Italia. E’ come un’appendice lontana, una colonia dimenticata, un’obsolescenza del passato. La Sardegna, per il governo Berlusconi, i media e per la sinistra radical chic (che accetta le bufale del finto mercato come un Vangelo) è un luogo metafisico, un non-luogo. Non più il primo nucleo dello Stato unitario. Non il cuore della Brigata Sassari che fece cantare il Piave nella Grande guerra (con i pastori sardi che accendevano i tubi di gelatina fumando il sigaro al contrario). E nemmeno la terra di Lussu,Gramsci, una raffica di presidenti della Repubblica, i Segni, Cossiga, Enrico Berlinguer. C’è qualcosa della Sardegna che vorrebbero salvare: i porticcioli off shore, il Billionaire la Costa Smeralda degli sceicchi, l’immaterialità del turismo pataccone, la Certosa. Ma visto che in Sardegna i sudditi hanno già votato, è come se fosse stato cancellato un popolo. C’è stato un gran dibattito sul simbolo dei 4 mori, in questi anni. Gli storici ci hanno detto: non avevano le bende sugli occhi, come gli schiavi, ma sulla fronte, come i marinai. Non so se sia vero. So che oggi i mori sono schiavi. Non degli spagnoli, ma di questa idea predatoria. Un popolo, per trovare un lavoro onesto si è infilato nelle miniere, ha abbandonato i pascoli per farsi esercito operaio, ha accettato di avvelenare il suo mare perché i signori della chimica volevano attraccare qui, e le servitù militari spolverate di uranio perché non si poteva dir no. Ora, questo popolo, dovrebbe sopportare un educato genocidio. Penso all’Alcoa, mi viene in mente un volto. Claudia, moglie di un operaio ferita dalla crisi. Per farsi pagare una fattura, ha dovuto prendere una tanica di benzina e minacciare di darsi fuoco. E’ venuta a Roma a battere il caschetto davanti a Montecitorio. Così come tutti gli altri, stanca di essere sbeffeggiata, ha occupato. La Sardegna è la metafora di una modernità inumana e feroce: Sulcis in fundo. Ma per tutti noi.

venerdì 5 febbraio 2010

"Nuove leggi, tribunali incompetenti"

A rischio molti processi di mafia
Alfano: "Non permetteremo che i boss ricevano paradossali benefici"di ALESSANDRA ZINITI

PALERMO - Alfano rassicura: "Non permetteremo che i boss abbiano paradossali benefici". Ma intanto l'allarme è scattato. L'inasprimento delle pene per i mafiosi rischia di far saltare decine e decine di processi a boss e gregari di Cosa nostra. "Colpa" di una norma della "ex Cirielli" che ha previsto che, in presenza di tre aggravanti, le condanne per il reato di associazione mafiosa possano anche arrivare a 25-30 anni, tetto che "sfora" le competenze dei tribunali davanti ai quali si celebrano i processi per mafia ed estorsioni. Quando le pene comminabili diventano così alte il processo passa alla competenza della corte d'Assise.

Il risultato è che, da due giorni, in Sicilia già tre processi hanno subito uno stop imprevisto dopo che la Corte di Cassazione, accettando l'istanza di alcuni difensori degli imputati in un processo in corso a Catania, ha dichiarato l'incompetenza dei tribunali a giudicare in presenza di aggravanti e ha azzerato tutto assegnando il dibattimento alla corte d'Assise. E questa mattina a Palermo altri due processi si sono fermati per lo stesso motivo, quello contro i boss di San Lorenzo Madonia ed un troncone del dibattimento "Perseo". Ed è facile precedere che, nei prossimi giorni, la stessa sorte subiranno molti altri processi.

In allarme la Direzione distrettuale antimafia che ha convocato una riunione per lunedì 15 febbraio per fare il punto su questa nuova "emergenza" che rischia di mandare in fumo decine e decine di processi. E sembra che il rischio di un azzeramento sussista anche per processi già conclusi in appello e in attesa di Cassazione visto che il testo della norma recita "in ogni stato e grado del giudizio". Tutto quello che è già stato fatto dai tribunali, dunque, verrebbe azzerato con gravissime conseguenze sia per i tempi del giudizio, sia per i provvedimenti di libertà personale degli imputati.


Quanto alla durezza delle condanne non è un'eventualità teorica: proprio la settimana scorsa i boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo hanno avuto 30 anni in uno dei dibattimenti del filone "Addiopizzo", perché nei loro confronti i giudici hanno applicato la recidiva reiterata e specifica e le aggravanti di essere stati "capi e promotori", di avere costituito un'associazione armata e di avere sfruttato i proventi di attività illecite in iniziative economiche. Stessa cosa, è avvenuto nel processo d'appello Gotha per il boss Nino Rotolo, condannato a 29 anni. Scontato ritenere che le difese degli imputati non si faranno sfuggire l'occasione per provare ad azzerare i processi e ricominciare tutto daccapo.

Alfano corre ai ripari. "Tutti possono stare tranquilli: il governo farà in modo che non ci siano conseguenze negative da un fatto positivo come l'inasprimento delle pene per i reati di 416 bis". Così rassicura il ministro alla Giustizia Angelino Alfano, che oggi è a Palermo.

"Non conosco nella sua motivazione, ma solo nel dispositivo la sentenza di Cassazione - ha detto - faremo di tutto per evitare che ci possano essere delle conseguenze negative per evitare un grande paradosso, e cioè che dall'inasprimento delle pene possa derivare un beneficio per i boss. Eviterei aggettivi estremi ed eccessi di ansia - ha aggiunto rispondendo ai giornalisti che riportavano le dichiarazioni allarmate di alcuni magistrati - perchè il governo dell'antimafia, delle leggi e dei fatti, provvederà a evitare che effetti distorsivi possano verificarsi soprattutto per i processi in corso".

Eliminate ore di lezioni e materie. Berlusconi: la riforma l’abbiamo fatta per le imprese

5 febbraio 2010

"La scuola superiore necessitava di una riforma perché, secondo quanto ci dichiarano tutte le imprese e le associazioni, quella attuale non sforna ragazzi con cognizioni adeguate alle richieste del mondo del lavoro". Le parole di Silvio Berlusconi rimbalzavano ieri nella sala stampa di Palazzo Chigi subito dopo il Consiglio dei Ministri che ha dato il via libera alla riforma degli istituti superiori, lasciando tutti stupiti: com’è possibile che una scuola ridotta all’osso, dove si tagliano ore di lezione, materie studiate e laboratori, prepari i ragazzi al lavoro meglio di prima?

Con l’idea di didattica promossa dal ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, infatti, i nuovi licei e gli istituti tecnici e professionali avranno meno ore e meno indirizzi. I licei diventeranno sei: classico, scientifico, artistico, linguistico, musicale-coreutico e delle scienze umane, cancellando anni di sperimentazione nelle varie tipologie.

Gli istituti tecnici, suddivisi oggi in 10 settori e 39 indirizzi, saranno ridotti a 2 settori e 11 indirizzi con meno ore da passare tra i banchi: si scende infatti da 36 ore settimanali a 32. Nei professionali attualmente sono 5 i settori di istruzione, con 27 indirizzi. Dopo la riforma, invece, si arriverà a 2 (servizi e industria-artigianato) con 6 indirizzi.

La riforma è stata corretta in corsa in base alle richieste avanzate dalle Commissioni parlamentari, dal Consiglio di Stato e dal Consiglio nazionale della pubblica istruzione. Le bocciature e le richieste di rivedere una riorganizzazione fatta con troppa fretta (i sindacati della scuola chiedevano il rinvio di un anno) ha costretto gli istituti a rinviare le iscrizioni, e la riforma comincerà solo dalle classi prime.

Anche se il comunicato ufficiale del Consiglio dei Ministri cita, nel caso dei licei, pure le seconde, contraddicendo le parole del ministro stesso. Ma il dicastero di viale Trastevere doveva comunque effettuare i tagli imposti dalla legge 133 del 2008 (quella che sottrae 8 miliardi anche all’Università) perciò negli istituti tecnici e nei professionali già da settembre, le classi seconde, terze e quarte avranno il taglio di 4 ore settimanali.

Una decisione “classista”, secondo la Cgil-scuola “perché non tocca i licei” che non resteranno però a digiuno di sforbiciate. È prevista infatti la riduzione dei professori a cominciare dalla geografia, materia che verrà accorpata a storia, nonostante le proteste.

“La riforma non è stata fatta per fare cassa”, si difende la Gelmini “ma è il frutto di un lavoro approfondito, necessario e urgente. Sono più di cinquant’anni che attendiamo una riforma organica della scuola superiore. È epocale”.

Secondo i sindacati degli insegnanti se ne potevano aspettare 51, e riorganizzare l’istruzione in modo più razionale. “L’unica cosa epocale - per il segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani - è il taglio di risorse alla scuola pubblica italiana che ci allontana dall'Europa e nega pari opportunità di vita, di educazione e di lavoro ai ragazzi e alle ragazze del nostro Paese”.

Indignato anche Giovanni Bachelet, responsabile scuola del Pd: “La sperimentazione alle superiori è iniziata quando andavo a scuola io, e oggi ho 54 anni. È possibile che si azzerino 40 anni di studio in nome dei tagli alla scuola?”.

Riforma bocciata da tutta l'opposizione, da Pierferdinando Casini ad Antonio Di Pietro: "La riforma della scuola è indispensabile - ha detto il leader dell’Unione di centro - ma una cosa deve essere chiara: non si possono fare le nozze coi fichi secchi, una riforma seria ha bisogno di risorse".

Anche per Di Pietro "la riforma è la naturale conseguenza di un abuso fatto nei mesi precedenti, togliendo soldi". E per chi volesse saperne di più sul liceo musicale (scuola mai sperimentata voluta dal ministro) può rivolgersi a Berlusconi in persona: “Voglio fare una precisazione - ha detto il premier alla fine della conferenza stampa – al liceo musicale sarà materia di studio obbligatorio tutta la produzione di canzoni che il primo ministro ha fatto con Apicella”.

giovedì 4 febbraio 2010

Berlusconi, paladino di Israele con qualche amico imbarazzante

Umberto De Giovannangeli, l' Unità, 04-02-2010

I silenzi, le ambiguità e amicizie imbarazzanti del Cavaliere autoproclamatosi Paladino dello Stato ebraico. «È Israele che alimenta le crisi in Darfur, nel Sud del Sudan e nel Ciad... È Israele che alimenta le guerre per sfruttare le ricchezze di quelle aree. Via le ambasciate d’Israele dall’Africa». Così parlò (il giorno dei festeggiamenti per il 40esimo anniversario della Rivoluzione verde) un grande amico di Berlusconi: il Colonnello Muammar Gheddafi. Ad ascoltarlo, per inciso, c’era anche il presidente sudanese Omar al-Bashir, ricercato dal Tribunale penale internazionale dell’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità.

«Quel circo equestre itinerante che è Gheddafi è divenuto da tempo uno show tragicomico che imbarazza chi lo ospita e la nazione libica che ne paga il conto. Mi chiedo se vi sia ancora qualcuno al mondo che prende seriamente ciò che dice quest’uomo. Noi comunque siamo certi che nessuno Stato darà peso alle azioni teppistiche di questo bulletto», commentò il 31 agosto 2009 il portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Yigal Palmor. Per la verità qualcuno che prende molto sul serio Gheddafi c’è. E oggi pronuncerà uno «storico discorso» alla Knesset. È il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi. Quello che per Israele è un «bulletto», per il Cavaliere è un «leader pragmatico», uno «statista accorto e moderato», e un «amico personale». «Dobbiamo distruggere Israele...». «Esorto gli arabi ad aprire la porta del volontariato per combattere Israele a fianco dei palestinesi...». Non è Mahmud Ahmadinejad a pronunciare questi bellicosi propositi. È lo «statista accorto e moderato»: Muammar, l’amico di Silvio. Ai musulmani ha chiesto di «unirsi contro l’Occidente cristiano e di affilare le spade...». Ha proposto di trasferire in Alaska lo Stato d’Israele, poiché «occupa un territorio che non appartiene agli ebrei». Indietro nel tempo: dopo l’eccidio degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco ’72 - ricorda Giulio Meotti su Il Foglio - «tutti i Paesi arabi si contesero i corpi dei cinque terroristi di Settembre Nero. Vinse la Libia, dove da tre anni al potere c’era il colonnello Gheddafi. Fu lui a salutare come “eroi” e “martiri”, con tutti gli onori militari, i cinque assassini degli atleti ebrei». Il Paladino smemorato dimentica il Colonnello e «spara» sull’«Hitler di Teheran». «Berlusconi traccia un parallelo fra Ahmadinejad e Hitller» titola Haaretz nella sua edizione in inglese. E cita il Consiglio: «Dobbiamo vigilare, abbiamo già avuto un pazzo simile storia». Parole non riferite in modo esplicito al presidente iraniano, ma attribuibili al regime di Teheran, secondo il giornale di Tel Aviv.

Ma più delle parole, Israele attende dal Paladino atti concreti sul fronte iraniano. Uno di questi lo ha indicato il vice premier Silvan Shalom: «Nel mio incontro di lunedì con il presidente Berlusconi gli ho proposto che l’Italia voti una legge che consideri i Guardiani della rivoluzione un’organizzazione terroristica, in vista di una sua adozione da parte dell’Unione Europea, e gli ho ricordato che aveva già usato la sua influenza per includere Hamas in questo elenco - dichiara Shalom alla radio pubblica israeliana - Sarebbe un colpo assai duro per il regime iraniano». Vedremo se il Cavaliere-Paladino farà sua la richiesta, per il momento la risposta fornita agli amici israeliani è interlocutoria, low profile («serve un’istruttoria approfondita a livello europeo...»). «Non abbiamo segreti con nostri amici israeliani sul nostro interscambio con l’Iran. Ma siamo assolutamente fermi nel bloccare nuovi investimenti su gas e petrolio e abbiamo già bloccato l’assicurazione Sace per chi investe in Iran», annuncia il ministro degli Esteri Frattini.

Ma Israele ricorda al Paladino che uno dei satelliti per le comunicazioni con cui l’Iran potrebbe spiare Israele e le basi Usa nel Golfo in vista di un eventuale attacco, il Mesbah, lo sta realizzando la Carlo Gavazzi space spa. Azienda di Milano partner abituale di Agenzia spaziale italiana, Cnr o Cern. Un contratto da oltre dieci milioni di dollari. Che Israele – confida a l’Unità una fonte autorevole di Gerusalemme – vorrebbe fosse disdettato dall’Italia. Dieci milioni, parte di quel business tra Roma e Teheran che nel solo 2008 ha «fatturato» 7 miliardi di interscambio. Troppi per Gerusalemme. «Con l’Iran servono sanzioni forti», proclama Berlusconi. Israele gli chiede il conto. Le parole, per quanto infiammate, non bastano più.