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mercoledì 27 ottobre 2010

Impariamo la Costituzione

L’articolo è sicuramente uno dei principi più significativi della Costituzione Repubblicana: esso è il portato dei valori che discendono dalla rivoluzione francese (Liberté, égalité et fraternité) e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
La proclamazione del principio di uguaglianza segna una rottura decisa nei confronti del passato, quando la titolarità dei diritti e dei doveri dipendeva dall’estrazione sociale, dalla religione o dal sesso di appartenenza. Nell’art. 3, bisogna distinguere il primo comma che sancisce l’uguaglianza in senso formale, dal secondo che riconosce l’uguaglianza in senso sostanziale.

Nell’uguaglianza “formale” trova espressione la matrice liberale della democrazia Italiana, in quella “sostanziale” si rivela il suo carattere sociale.
Uguaglianza formale vuol dire che tutti sono titolari dei medesimi diritti e doveri, in quanto tutti sono uguali davanti alla legge e tutti devono essere, in egual misura, ad essa sottoposti. Le varie specificazioni «senza distinzioni di» furono inserite affinché non trovassero posto storiche discriminazioni, quali, ad esempio, la divaricazione dei diritti tra uomini e donne, alla quale intendeva porre fine l’affermazione di un’uguaglianza «senza distinzioni di sesso». Così, l’uguaglianza «senza distinzioni di razza» serviva a preservare l’ordinamento costituzionale, mettendolo al riparo dall’infamia delle leggi razziali.
Tuttavia, la nostra Costituzione non si arresta al riconoscimento dell’uguaglianza formale: essa va oltre assegnando allo Stato il compito di creare azioni positive per rimuovere quelle barriere di ordine naturale, sociale ed economico che non consentirebbero a ciascuno di noi di realizzare pienamente la propria personalità. Questo passaggio concettuale è pregnante, poiché consente di affermare che le differenze di fatto o le posizioni storicamente di svantaggio possono essere rimosse anche con trattamenti di favore che altrimenti sarebbero discriminatori. In Italia, le azioni positive sono state utilizzate soprattutto per le discriminazioni di genere, contro le donne.
Attraverso l’uguaglianza sostanziale, lo Stato e le sue articolazioni si assumono l’impegno di rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini: questo non significa che il compito dello Stato sia quello di tendere verso un malinteso egualitarismo, inteso come uguaglianza dei punti d’arrivo, dove l’individuo finirebbe per essere annichilito, schiacciato dal peso di una società di eguali. Il compito dello Stato è invece quello di agire concretamente per metter tutti nelle stesse condizioni di partenza, dotando ognuno di pari opportunità per sviluppare e realizzare pienamente e liberamente la propria personalità.
Il carattere aperto del principio di uguaglianza ha consentito alla giurisprudenza della Corte Costituzionale di adeguare continuamente il quadro dei diritti e dei doveri all’evoluzione economica e sociale del nostro Paese. Il principio di uguaglianza è stato declinato in un generale divieto di discriminazione; si discrimina quando si trattano in maniera uguale situazioni diverse, ovvero quando si trattano in maniera diverse situazioni uguali. La disparità di trattamento è consentita solo quando le differenze sono stabilite dal legislatore in modo ragionevole ed obiettivo. Attraverso il canone della ragionevolezza, vero cuore del principio di uguaglianza, i divieti di discriminazioni sono stati estesi, per via giurisprudenziale, agli orientamenti sessuali, all’appartenenza ad una minoranza, all’handicap, all’età.
L’uguaglianza è un obiettivo tendenziale che deve essere difeso e tutelato soprattutto quando, come oggi, esso risulta al centro di un attacco incrociato, sia nella sua accezione formale che sostanziale.

Alex Zanotelli:"Ci stanno uccidendo"

domenica 24 ottobre 2010

Battiamoci per un mondo nuovo per far vivere la speranza!!!!

pubblicata da Nella Toscano il giorno domenica 24 ottobre 2010 alle ore 18.23
Bellissimo ed intenso, come sempre,  il discorso  di chiusura del congresso di S e L di Nichi Vendola, con il quale ci ha indicato un cammino per uscire non solo dall'attuale frammentazione della sinistra, ma anche per andare al governo del paese, per cercare di risolvere i gravi problemi che abbiamo di fronte e, prima di tutto, il problema del lavoro!
Condivido il suo appello  a ritrovarsi a sinistra dopo  il più largo e lungo  smarrimento, ma certamente non per tornare in un luogo antico  e soprattutto non per sommare gli ex, ma per ritrovarsi come comunità, come uomini e donne di un paese  reso irriconoscibile, spaccato e ferito, sopraffatto dall'egoismo, che ha soppiantato la narrazione civile e lo spirito  della lotta civile.
Sinistra: parola necessaria, ma non sufficiente per cambiare,  perchè solo la parola non ha più senso, bisogna riempire questa parola di contenuti politici, che Vendola non ha mancato di enunciare: primo fra tutti mettere al centro  un nuovo welfer ,   dare valore a ciascuna persona,  lottare per i diritti sociali e  la libertà, per il reddito di cittadinanza per chi è tagliato fuori,  sostenibilità ambientale,   sviluppo urbano sostenibile,  cura del territorio.
Necessità a rimettere al centro la cultura per far crescere questo paese, attaccata pesantemente da Tremonti  che ha sottratto risorse alle scuole e università, oltre  che agli enti culturali.
Difesa del principio della laicità dello stato e confronto con i cattolici  ispirato al senso delle proporzioni!
Dare voce all'Italia migliore,   raccontarla,   dare evidenza alle persone che non hanno voce e che ogni giorno si impegnano per costruirla, anche questo obiettivo assolutamente condivisibile, come lo è anche quello di riappropriarsi della parola Libertà e di mettere punti fermi  a cominciare dall'indisponibilità della vita umana, a cominciare dalla non violenza, dalla libertà delle donne.
Bello il suo richiamo alla bellezza non  intesa  come virilità, come fisicità che resiste alla prova del tempo, in un olimpo pacchiano racchiuso tra Dioniso ed Apicella, ma come singolarità straordinaria dell'uomo, che si ritrova nello sguardo dei bambini, nella vita che vuole essere tutelata e non mercificata....  Battiamoci insieme a Lui per un mondo nuovo, per far vivere la speranza!!!!!
Nella Toscano

lunedì 18 ottobre 2010

Modica quantità di Concita De Gregorio

La donna uccisa del giorno è Lea Garofalo, 35 anni, scusate se parto da qui. Non è cronaca nera: è un'ecatombe di figlie, nipoti, mogli, vicine di fila, parenti e conoscenti. A volte sono storie di famiglia, altre di mafia, altre ancora di barbara inciviltà. Una al giorno, a volte due, a volte tre: donne che muoiono ammazzate. Questa di Lea Garofalo - che è stata sciolta nell'acido chissà quando, lo sappiamo oggi, dal padre di sua figlia - ha per teatro Monza, poi uno dice che le mafie sono al Sud, il nord padano non vuole avere a che fare con quei criminali, secessione, federalismo please. Lea Garofalo, che collaborava con la giustizia, al contrario di molti altri non godeva di alcuna protezione. Aveva rinunciato. È stato più facile, così, dissolverla: letteralmente. Finchè non affronteremo il problema del femminicidio per quello che è, una strage ordinaria e quotidiana spacciata per una sequenza di raptus stranezze e follie, non avremo non solo mezzi, ovviamente, prima ancora non avremo il pensiero che serve per provare a combattere questa silenziosa guerra civile.
L'altra guerra, quella più vistosa, è la battaglia di cui tutti parlano. Spie, dossier, guerra per il controllo dell'informazione come se non fosse già abbastanza controllata ai piani alti del Potere. Alla sua prima uscita pubblica il neo ministro Romani giudica la puntata di Report andata in onda domenica "odiosa" e viziata da "eccesso di antiberlusconismo". Eccesso. Ne esiste una modica quantità, dunque, consentita. Aggiunge Romani che era "un prodotto giornalistico inefficace". Avendo incollato al video 5 milioni di persone a quell'ora di notte sembrava invece piuttosto efficace, anche per le casse del servizio pubblico, ma forse Romani è molto esigente e di milioni di spettatori ne pretende 10. Prosegue intanto la solitaria (?) battaglia di Masi contro Annozero, ricorsi su ricorsi, di nuovo non sappiamo se giovedì il programma sarà in onda. Nessun veicolo pubblicitario è mai stato più efficace di Masi, per Santoro. Se non ci fosse dovrebbe inventarlo. Presto arriverà a 10 milioni di spettatori: tutti ce lo auguriamo, di passaggio anche per la soddisfazione di Romani.
È sbalorditivo l'attivismo di governo contro i programmi di informazione e l'inerzia verso le attività di dossieraggio gravi e gravissime su cui fanno affidamento per i loro "scoop" i giornali di proprietà della famiglia B. Ieri le ultime dal fronte spioni al servizio dei media di famiglia: i magistrati indagano sul giornalista di Panorama Giacomo Amadori a cui un finanziere ora agli arresti domiciliari forniva dati dagli archivi riservati della GdF, dati riferiti solo a magistrati e giornalisti giudicati antiberlusconiani, evidentemente non in modica quantità. Il direttore di Panorama sostiene che il giornalista "faceva solo il suo lavoro". Il fatto è che il lavoro, come la legge, in questo paese evidentemente non è uguale per tutti.
Agli studenti della Normale di Pisa Napolitano si è rivolto così: "Comprensibile la vostra frustrazione, conto sul vostro senso di responsabilità". Poi ha aggiunto: "Nessuno può fingere di ignorare le condizioni del sistema universitario". Nessuno, neppure il ministro Gelmini impegnato a monitorare le lapidi al Pci. 


Ecco come drogano le nostre menti

Ecco come drogano le nostre menti

domenica 17 ottobre 2010

Le equivoche pari opportunità e il nuovo maschilismo

 
16 ottobre 2010 - Nessun Commento »
Amalia Signorelli
La vita sessuale di un anziano libertino con pretese da Ganimede dovrebbe essere, almeno secondo i criteri della privacy, una faccenda che riguarda solo lui e se mai la sua più ristretta cerchia di relazioni. Anche quando si tratta di un uomo pubblico, generalmente, nella tradizione occidentale, riserbo, discrezione, ipocrisia proteggono questo tipo di attività che l’opinione pubblica non vede o trova opportuno fingere di non vedere.
Anche nel caso di Berlusconi, nei momenti più caldi del suo sexgate alcuni dei suoi difensori hanno invocato il suo diritto alla privacy. Diritto che personalmente avrei rispettato ben volentieri, essendo il tema in questione un oggetto di riflessione piuttosto deprimente. Ma via via che la storia è andata avanti, mi sono resa conto che non si trattava di vicende private, bensì di una questione pubblica. Che mi riguardava come cittadina e che mi interrogava come antropologa culturale.
Innanzi tutto sono stati e sono i protagonisti di questa storia a renderla di pubblico dominio. Il signor Berlusconi manifesta regolarmente in contesti pubblici nazionali e internazionali, il suo interesse di ordine sessuale nei confronti delle donne, presenti e assenti, e nei medesimi contesti si vanta dei propri successi nel campo o esterna le proprie intenzioni immediatamente operative. Non bastando questa pubblicizzazione ad opera del protagonista, qualche anno fa la sua allora legittima moglie ha pubblicamente definito patologico il suo comportamento in materia. Tutti, credo, ci ricordiamo la vicenda; che però, pur essendo stata resa di pubblico dominio, ha avuto conseguenze solo private. Come antropologa sono abituata a ragionare comparativamente, sia pure per assurdo. Dunque non posso fare a meno di chiedermi cosa sarebbe successo nella sfera pubblica se una delle donne premier in carica in Europa fosse stata pubblicamente indicata dal proprio marito come una ninfomane.
C’è una seconda dimensione pubblica, più volte denunciata, la dimensione che tocca il problema della legalità. Innanzi tutto si vorrebbe disporre di un quadro preciso di chi paga i costi dell’ intrattenimento sessuale del Presidente del Consiglio. Non si tratta solo dei possibili impieghi privati di mezzi di trasporto e di risorse varie che sono in dotazione della Presidenza del Consiglio per i compiti d’ufficio e non per lo svago privato del Presidente. C’è ben di più. C’è almeno il sospetto, se non le prove, di un uso che chiamerò munifico delle cariche pubbliche, nella più tradizionale logica del dono che, come tutti i padri dell’antropologia ci hanno insegnato, non è mai disinteressato, ma sempre basato sulla reciprocità. Io ti do una cosa a te perché tu mi hai dato una cosa a me…..Può darsi che questo mio sia il più bieco dei sospetti e che nessuna carica né di nomina dall’alto né elettiva sia stata mai assegnata se non sulla base della stima politica e personale. Sta di fatto che il sospetto circola e produce conseguenze di cui parlerò più avanti. A proposito di donne, ci sono altri comportamenti e esternazioni di Silvio Berlusconi che vorrei ricordare sotto la rubrica legalità. I continui commenti sull’aspetto fisico e sull’avvenenza, le richieste ad alta voce di numero di telefono, le allusioni più o meno esplicite alle proprie intenzioni o desideri, gli inviti agli altri uomini presenti a fare come lui, comportamenti che si ripetono ogni volta che il premier nota nel pubblico delle sue uscite pubbliche ragazze o donne che giudica desiderabili, sono vere e proprie molestie, profondamente lesive della dignità delle malcapitate, anche ove non fossero pratiche perseguibili a norma di legge. Per altro, in alcune occasioni S.B. ha fatto di più in materia di legalità. Ne citerò un paio. Per esempio, in visita in Albania, celebrando l’amicizia e la collaborazione tra i due paesi, ha invitato il Capo di Stato albanese a non inviare più in Italia i barconi carichi di migranti, salvo quelli carichi di belle ragazze, che sono sempre gradite. Ora studiosi, operatori sociali e indagini giudiziarie hanno messo in chiaro come viene procurata la ‘merce’ così gradita caricata su quei barconi; e a livello di organismi internazionali si parla di tratta e di nuova schiavitù. Non è che per caso l’esternazione di Silvio Berlusconi configura gli estremi dell’apologia di reato? Forse ai sensi della legge, no. Non ho difficoltà a riconoscere che ai sensi del mio comune sentire, sì. E ancora. Per una volta non diamo retta a quel grande esperto che è stato l’onorevole Andreotti e pensiamo bene, non male. A costo di non indovinarci. E chiediamoci: se c’era l’opportunità di ascoltare lezioni su un testo comunque fondamentale per la storia dell’umanità, quale è il Corano; se queste lezioni erano tenute da un interprete a suo modo autorevole come Muhammar Gheddafi; se addirittura era previsto un compenso per presenziare a queste lezioni; l’aver offerto questa singolare occasione retribuita di arricchire la propria visione del mondo in senso multiculturale, quasi esclusivamente a donne giovanissime e di gradevole aspetto, non configura una violazione della legge sulle pari opportunità? E i maschi e le donne anziane desiderosi di conoscere meglio l’Islam, perché sono stati esclusi? Se poi è il caso di pensare un po’male e di prendere in considerazione l’ipotesi che si trattasse di lezioni un po’ particolari…bene, lo zelante avvocato Ghedini ci informò a suo tempo che l’utilizzatore finale non commette reato: ma gli intermediari? E chi erano gli intermediari nella fattispecie? Né penso che si possa invocare il rispetto della privacy per una visita che non sarà stata formalmente di stato, ma per la quale sono state comunque mobilitate le forze dell’ordine e parte dell’esercito della Repubblica italiana.
Oltre all’esibizionismo del protagonista e alle possibili violazioni della legge, c’è una terza dimensione pubblica della questione, a mio avviso la più sostanziosa e preoccupante.
Provo a fissarne alcuni punti.
I comportamenti di Silvio Berlusconi in materia di donne e di sesso non sono estemporanei e incongruenti. Sono stati e sono costanti e coerenti, il che dimostra che non nascono casualmente da circostanze e occasioni, ma si radicano in una sua solida concezione delle donne e del loro posto nel mondo e più in generale in una sua solida visione del mondo. In una parola si radicano nella sua cultura.
Questa cultura non è solo sua, ma possiamo ipotizzare che sia largamente condivisa da una platea che, mi sembra, è ben più vasta del suo elettorato e che comprende sia uomini che donne. Naturalmente questa mia è una valutazione induttiva, se volete un’ipotesi. E’un fatto però che il dissenso a Berlusconi si è coagulato e organizzato su temi come la legalità, la difesa della Costituzione e delle istituzioni repubblicane, la tutela della libertà di stampa, più recentemente, sul lavoro e sull’economia e ancora sulla scuola, università e ricerca, sull’immigrazione; ma non c’è stato e non c’è un movimento d’opinione né tanto meno un movimento delle donne che rivendichi il diritto delle donne italiane a non essere umiliate e offese, a essere rispettate a livello di immagine e a livello sostanziale, di esercizio concreto dei diritti di cittadinanza. Questa posizione, per cui il problema del rapporto tra Berlusconi e le donne si riduce al suo comportamento cafone nei confronti dell’onorevole Rosi Bindi o alle sue gaffes internazionali mentre ben più serie e più gravi sono le ragioni vere del dissenso nei suoi confronti, questa posizione è piuttosto diffusa, se pur non apertamente conclamata, anche tra i critici del premier. Su questo terreno della scontata ‘secondarietà’ sul piano politico e sociale di ciò che riguarda le donne, la cultura di Berlusconi non è diversa dalla cultura della maggioranza degli italiani.
Cercherò di motivare questa mia asserzione, ma prima vorrei sottolineare un terzo punto. La concezione del sesso e delle donne che orienta i comportamenti di Silvio Berlusconi – e degli italiani, maschi e femmine, che a lui consapevolmente o inconsapevolmente assomigliano,- non è il vecchio maschilismo. Come tutte le forme di cultura, anche il maschilismo – e l’autopercezione femminile in termini subalterni che ad esso è complementare – sono istituti culturali dinamici, che cambiano sia adeguandosi ai cambiamenti sociali complessivi sia essendone al tempo stesso artefici, anche se non esclusivi.
Cerchiamo dunque di analizzare come Berlusconi percepisce, definisce e valuta le donne e i loro rapporti con gli uomini, nell’ipotesi che comunque la sua, non sia una posizione retriva destinata a sparire, e non sia una posizione individuale, ma una posizione congruente con i tempi in cui egli vive, con i tempi della globalizzazione. Partiamo non da una delle innumerevoli esternazioni che egli considera ‘galanti’, ma da un consiglio che egli ha ‘paternamente’ impartito a una giovane donna. Quest’ultima gli esponeva le difficili per non dire drammatiche condizioni e prospettive di vita che ha di fronte una persona giovane, in particolare una giovane donna che ottiene solo lavori precari e malpagati; si sentì rispondere, lo ricordiamo tutti, che per lei il problema non si poneva: essendo giovane e attraente, doveva darsi da fare per sposare il figlio di un miliardario, magari proprio il figlio suo, del premier, ah no, peccato, è già sposato. Umiliata e offesa da un uomo che le ha detto che come donna non ha diritto a un lavoro che le garantisca indipendenza, autonomia, dignità; e le ha consigliato un matrimonio che già Bertrand Russel e prima di lui John Stuart Mill consideravano una forma legalizzata di prostituzione. Con la differenza che mentre per questi due autori si trattava di una soluzione deprecabile, per Berlusconi si tratta di una soluzione auspicabile. Suppongo che fosse in buona fede, che non si trattasse di una battuta, ma di un suo convincimento. Provo a spiegare perché. La sua visione del mondo è, non dimentichiamolo, una visione di mercato: per lui non solo tutto ciò che vi è nel mondo può essere trasformato in merce, ma qualsiasi cosa vi sia nel mondo, essa acquista valore solo e solo quando diventa merce, entra nel mercato. Per Berlusconi il prezzo di mercato è la misura del valore. L’unica misura del valore. Dunque non vi è nulla di immorale né di illogico nel fatto che una donna tratti il suo corpo come una merce e lo venda cercando di spuntare il prezzo più alto che può ottenere. In questo senso, secondo questa concezione del mondo e della vita, tutte le donne sono o dovrebbero essere prostitute, ma questo non rappresenta per Berlusconi né il segno di una inferiorità costitutiva, né il segno di una violenza sociale compiuta su di loro, e qui sta la novità. Al contrario, dal suo punto di vista, essere imprenditrici del proprio corpo, saperlo vendere e venderlo bene, è una scelta di autonomia e di libertà, nella quale, tra l’altro, le donne sono in vantaggio rispetto agli uomini, perché il sesso femminile dispone di un mercato ricco, consolidato, stabile, di largo e articolato consumo, dove solo proprio le più sfigate, le più brutte, le cozze, non trovano modo di esitare la propria merce. Le pari opportunità ci sono già, basta saperle sfruttare; anzi, le opportunità sono ben più per le donne che per gli uomini, i quali, poveretti, non possono contare su un mercato delle prestazioni sessuali maschili altrettanto consolidato. È dunque perfettamente logico e consequenziale che colei che meglio ha saputo compiere la transazione commerciale, ci sia stata imposta come rappresentativa, anzi emblematica nel campo delle pari opportunità. In questo commercio le donne possono impegnare non solo il proprio corpo, ma l’intera loro vita, per quello che vale, giacché non sembra che secondo Berlusconi esse debbano o possano fare molto altro. Stando a un’altro suo testo famoso esternato in occasione del caso Englaro, anche per fare la madre è largamente sufficiente un requisito fisico, uno solo, ancorché tipicamente femminile: un utero mestruante. Non ha rilevanza se tutto il resto, a cominciare dal cervello, è fuori uso.
Mi rendo conto che questa interpretazione del Berlusconi-pensiero può suonare troppo radicale, estremistica. Secondo me, che la considero però un’ipotesi di lavoro, essa permette di interpretare secondo un filo logico i fatti che abbiamo sott’occhio. I comportamenti del Presidente del Consiglio, il suo essere costante e inamovibile nella convinzione che le donne ‘ci stanno’ tutte e sempre; e dunque che non c’è nulla di male a rapportarsi a loro in termini di domanda e offerta; il suo evidente impaccio, che si risolve spesso in estrema villania, se deve mettersi in rapporto con donne che non può far rientrare in questo schema, dalla onorevole Bindi alla signora Merkel alla Presidentessa della Repubblica di Finlandia; il suo non meno evidente sconcerto quando una donna che secondo lui ha i requisiti per stare sul mercato, oppone resistenza ai suoi tentativi di accorciare fisicamente le distanze (un tempo, nel linguaggio di bar si sarebbe detto ‘i suoi tentativi di prendersi un passaggio’), come quando Emma Mercegaglia o Michelle Obhama si sottraggono ai suoi baci e abbracci. Nella logica di questa concezione si spiegano pure i suoi tratti cortesi, secondo alcune delle ragazze che lo hanno frequentato persino gradevoli: se la prostituta è una partner nel business e se rispetta le regole del mercato, non c’è ragione per disprezzarla; anzi, come si fa con un partner commerciale con il quale si è conclusa una transazione soddisfacente, ci si fa presenti con un regalino-ricordo. Se accettiamo l’ipotesi che questa sia nei suoi tratti essenziali la concezione che il nostro primo ministro ha delle donne e del loro posto nel mondo, dobbiamo però dargli atto che non è isolato, bensì perfettamente in linea con il suo tempo.
In una recente indagine dall’eloquente titolo di Nude e crudi. Maschile e femminile nell’Italia di oggi, (Roma, Donzelli 2009) Sandra Puccini ha fatto un’analisi illuminante dei processi attraverso i quali si è venuta definendo una popolazione di donne ‘nuove’, influenzate nella costruzione della loro percezione di sé e di sé nel mondo, non solo dai modelli di look individuale, ma dai modelli di vita e di relazioni umane che le trasmissioni televisive offrono, modelli non contraddetti ma anzi ribaditi e rafforzati da altri canali di comunicazione, dalla pubblicità alle riviste per le donne, dalla narrativa per adolescenti a quella porno, dalla cartellonistica alla moda. Si tratta di donne, giovani e anche meno giovani, convinte che la bellezza sia l’arma per accedere al potere e al danaro e che nel potere e nel danaro stia il senso della vita. Concezione che forse non è poi così nuova. Le novità stanno in un mutamento dei soggetti e dei ruoli. In passato era la famiglia, in particolare i genitori che inculcavano nelle ragazze l’idea che lo scopo della loro vita era ‘sistemarsi’ possibilmente con un matrimonio ‘rispettabile’ e che gestivano le strategie necessarie per l’operazione; adesso l’idea di puntare sulla bellezza per avere potere e denaro è proposta e imposta dall’intera società e soprattutto dalla comunicazione di massa; il matrimonio non è l’unica meta possibile, anzi si individuano ‘sistemazioni’ assai più desiderabili e non meno ‘rispettabili’ almeno secondo i criteri attuali della rispettabilità. Ma in questo campo la novità più rilevante e significativa è il passaggio delle decisioni strategiche e della loro gestione alle stesse giovani donne, mentre il ruolo dei genitori è ancora richiesto e preteso, ma è divenuto soltanto di supporto. Sono le ragazze stesse le imprenditrici del loro corpo, coloro che ne gestiscono il marketing, scelgono la quota di mercato in cui collocarlo, stabiliscono il prezzo a cui esitarlo. Come ho già detto non è solo Berlusconi a proporre con le sue pratiche questo percorso come un percorso di emancipazione; sono le ragazze stesse. Salvo poi imbattersi in una contraddizione irresolubile: se il loro corpo è merce, come ogni merce che si rispetti una volta acquistata essa è nella piena disponibilità dell’acquirente, mentre la venditrice perde ogni voce in capitolo. Un tempo questo percorso si chiamava alienazione. Ma forse la venditrice la scopre in fasi più avanzate del percorso stesso.
All’inizio il problema è un altro: avere quanta più bellezza possibile da mettere sul mercato.
Oggi le strategie di bellezza hanno trovato, proprio nel mercato, strumenti e possibilità di realizzazione inediti, quasi miracolosi. Oggi si può non solo valorizzare l’avvenenza che si possiede, ma costruirla ex-novo: sempre utili ma insufficienti acconciature, trucco, vestiti e accessori, oggi con diete, massaggi, palestra, danza, dizione, chirurgia plastica, impianti, trapianti e asportazioni varie, ogni fanciulla può arrivare assai vicina allo stereotipo di bellezza che il mercato richiede. O almeno pensa di poterci arrivare. Realizzata la bellezza, vi è il passo successivo, che Puccini sintetizza con tre infiniti: ”offrirsi, apparire, desiderare”. Prima di tutto desiderare di apparire. Gli strumenti per l’ esibizione che hanno sostituito la vecchia passeggiata sul corso e il salone da ballo, sono tanti: in primo luogo le fotografie e la loro diffusione, Face-book e le varie altre possibilità della rete, e poi i books di foto che agenti di vario tipo faranno circolare, i concorsi di bellezza, i cubi e i ‘troni’ dei locali notturni e, meta suprema, la comparsa come velina in TV. Per valutare quanto questo progetto di vita sia condiviso, abbiamo indicatori eterogenei e non tutti ugualmente affidabili; se la lettura di alcuni periodici cosiddetti di gossip può essere illuminante per capire l’orizzonte culturale delle pratiche di cui stiamo parlando, può essere anche utile ricordare che qualche anno fa la Regione Campania istituì un Master per veline che, nella indignata condanna di tutte le veterofemministe come me, registrò un gran successo tra le giovani. Utile può essere anche considerare il giro d’affari dei fabbricanti di bellezza, nell’impossibilità di conoscere il giro d’affari di altri e meno presentabili operatori del settore, di cui pure, nei momenti “alti” del sexgate, è stato possibile intravvedere la fisionomia.
Quali uomini sono il target a cui mirano queste ragazze? Ovviamente uomini che offrano una sistemazione rispettabile.
Anche qui, se vogliamo attenerci al caso del nostro Presidente del Consiglio, scopriamo che qualcosa è cambiato. Mi sembra che si possano leggere nei suoi comportamenti alcuni tratti di quello che mi azzardo a definire nuovo maschilismo, anzi nuovo machismo. Tradizionalmente, i maschi che vantavano con altri maschi la qualità dei propri comportamenti sessuali, facevano riferimento alla propria prestanza fisica, alla inesauribilità delle proprie risorse ormonali, alla eccezionale potenza delle proprie prestazioni. In qualche modo, per quanto tutte interne a una concezione fallocentrica e fallocratica dell’eros, pure a queste vanterie  si poteva riconoscere una remotissima parentela con gli antichi riti di fecondità e con la tradizionale esaltazione della valentia dei maschi giovani come garanzia della sopravvivenza e della prosperità del gruppo. E infatti le vanterie erano per lo più di maschi giovani, perché solo nel caso di maschi giovani erano più o meno credibili. Gli anziani che godevano della compagnia di donne giovani, generalmente stendevano un velo di discrezione su questo punto, a meno che non parlassero con il proprio medico curante o altro assai intimo interlocutore. Silvio Berlusconi, no. Si vanta e si è pubblicamente vantato delle proprie eccezionali prestazioni, ma non nega né tace il ricorso a pillole miracolose e a quant’altro. Leggo anche in questo una conferma del suo sistema di valori: il fatto di non essere un amatore eccezionale non inficia il valore dell’uomo, se egli ha il denaro necessario per essere un amatore eccezionalmente e costosamente impasticcato. Ne consegue che il valore di un uomo sta nel danaro che ha, tutto e solo nel danaro che ha e nel potere che è collegato al denaro. Questo è l’uomo target.
Naturalmente, e per fortuna, noi italiani non siamo tutti così, ne le donne né gli uomini, né gli anziani, né i giovani. Però, se è così l’uomo più ricco d’Italia e uno dei più ricchi del mondo, che per giunta è anche politicamente il più potente del nostro paese e ha intorno un entourage di persone simili a lui, io credo che si pone un problema Vorrei ricordare il ruolo che ha la cultura delle classi dominanti nell’imprimere orientamenti e direzioni agli sviluppi culturali di tutto un popolo. Non recuperando solo il concetto gramsciano di egemonia, ma riproponendovi una formulazione di Marx ed Engel nell’Ideologia tedesca, un tempo citatissima ed ora dimenticata. Dice così: “Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio”. (Editori Riuniti, 1972, p.33-34)
So bene che il termine classe oggi fa legare i denti a molte persone, ma come donna sono abituata e voglio fare i conti con la force des choses. E la forza delle cose oggi in Italia dice che per una donna giovane  posare per un calendario semipornografico e fare qualche esibizione più o meno svestita in TV, è la via per diventare ministro della repubblica; questo è fatto, un rapporto materiale dominante. Se invece una giovane donna si laurea ha il 30 % di probabilità di restare disoccupata; se trova un lavoro ha il 50% di probabilità che il lavoro sia a tempo determinato, pagato almeno in parte in nero e al di sotto delle competenze garantite dal suo titolo di studio; è meglio che si sposi clandestinamente, perché rischia il licenziamento e se per caso, non essendo stata licenziata, si azzarda a fare un bambino, stia pur tranquilla che, prima o poi, dovrà lasciare il lavoro perché in casa suo marito la aiuterà mediamente meno di qualsiasi altro marito europeo e fuori di casa un posto in un asilo nido comunale si renderà libero quando il suo bambino andrà ormai in terza elementare. (Istat Italia in cifre 2009).
Questi ultimi dati sono ben noti. Ma raramente nelle analisi sociali che conosco vengono fatti reagire con i dati che ho proposto nella prima parte di questo mio intervento.
Nel 1997 nel secondo volume del suo The Information Age, Manuel Castells poteva definire quello italiano “the most potent and innovative mass feminist movement in the whole of Europe during the 1970” (Balbo, Becalli, e osservaz. personali). Oggi, a trent’anni di distanza, , secondo osservatori italiani e stranieri siamo diventati il paese più maschilista d’Europa. (Caterina Soffici, Ma le donne no, 2010, Feltrinelli)
Cosa è successo? E’ tutto da capire. Certo, si può sempre ricorrere, per spiegare il tutto, agli effetti perversi del neocapitalismo, del neo liberismo, all’impero dei mass-media, alla globalizzazione.
Personalmente però credo che sia utile anche prendersi le proprie responsabilità . Provo a suggerire qualche spunto, a mo’ di provvisoria conclusione.
Prima di tutto suggerisco che le condizioni delle donne devono tornare a essere analizzate unitariamente, a 360°. Senza accorgercene, siamo riscivolate indietro nella vecchia impostazione, secondo la quale si studia il lavoro degli italiani e poi c’è il paragrafo sulle donne, si studia il precariato e poi c’è il paragrafo sulle donne, si studia l’istruzione e c’è il paragrafo sulle donne, si studiano le migrazioni e c’è il paragrafo sulle donne; si studia la salute e c’è il paragrafo sulle donne; e così via. Non rivendico la centralità delle donne, non sto facendo un discorso ideologico. Rivendico una corretta metodologia di ricerca sociale, perché frammentare una condizione esistenziale umana in tanti pezzettini e aggregarli ad insiemi eterogenei non ne facilita certo la comprensione.
Il secondo punto, che mi sembra di aver cominciato a intravvedere essendomi messa a lavorare sul primo, non è semplice. Si annuncia come un cambio di direzione, un vero e proprio détour per dirla con George Balandier. Il primo femminismo, soprattutto quello europeo, aveva l’ambizione e il progetto di cambiare un po’ il mondo, nella convinzione che renderlo un po’ più agevole per le donne, significasse renderlo migliore per tutti. Ma poi, e soprattutto per influenza del femminismo americano, il focus si è spostato: non abbiamo più voluto un mondo diverso, ma una diversa collocazione per noi donne nel mondo così com’è. Le possibilità che ci si sono aperte in questo caso sono di due tipi: o conquistare le posizioni tenute fin’ora dagli uomini, possibilmente le più appetibili; o costruirsi i piccoli e autoreferenziali beguinages dei femminismi di nicchia. A sostegno di entrambe queste opzioni e all’ombra protettiva del politically correct, sono state elaborate varie forme di pensiero debole: la teoria del genere, il pensiero della differenza, l’obbiettivo delle pari opportunità, la scelta delle riduzioni del danno a valle, anziché della eliminazione a monte dei fattori di ineguaglianza e ingiustizia. Il risultato di questa scelta è stato che siamo di nuovo agli indicatori di svantaggio sociale quasi tutti più alti mediamente per le donne che per gli uomini; mentre la sola via d’uscita che ci viene indicata è tornare a essere ‘come tu mi vuoi’, sia che per tu si debba intendere l’uomo più ricco d’Italia, sia che per tu si debba intendere, più astrattamente, il mercato.
Bisogna cambiare direzione, credo. Bisogna ricominciare a pensare e ad agire come se fosse possibile cambiare il mondo, come se fosse possibile produrre un mondo in cui le donne non siano umiliate e offese. E sfruttate.
E credo anche che per capire come si può fare sarebbe utile rimettersi a studiare gli uomini. Dal punto di vista delle donne.

E' necessaria una svolta autentica per cambiare l'Italia!

 
pubblicata da Nella Toscano il giorno domenica 17 ottobre 2010 alle ore 10.24
Ogni qual volta mi capita di entrare in contatto con i partiti, o meglio con i gruppi dirigenti dei partiti mi assale la voglia matta di scapparmene a gambe levate!
Difficilmente capita di imbattersi in persone che hanno la voglia e la capacità di misurarsi con i problemi reali del paese e di abbozzare una pur minima proposta politica che indichi una strada che ci possa portare fuori da questa situazione disastrosa, in cui il Paese è stato precipitato dalle politiche dissennate e liberiste portate avanti da questo governo della destra strafalcione, arrogante, razzista e chi più ne ha, più ne metta.
Eppure lo stato delle cose  non  induce  questi politici o aspiranti tali  a pensare  all'interesse generale.
Dai loro comportamenti, dal modo come si pongono nei confronti di chi cerca di dare il proprio contributo nella ricerca di un modo come uscire da questa drammatica situazione, si evince il fastidio verso chi lavora al di fuori delle logiche partitiche, a cui non sfugge nessuno degli attori in campo, siano essi vecchi o giovani.
Anzi noto con amarezza che a volte i giovani sono peggio dei vecchi, li superano per arroganza, cafoneria e mancanza dei requisiti minimi della buona educazione e del rispetto verso le persone, qualsiasi persona.
Ora mi domando come possiamo sperare di cambiare l'Italia se poi le pratiche rimangono sempre le stesse e gli obiettivi sempre uguali, come se intorno a noi non stesse succedendo niente!
Ai vecchi  si succedono giovani, molto spesso disoccupati, che vedono nella conquista di una qualsiasi poltrona il loro futuro e che portano in dote solo la loro fragile ed effimera giovinezza !!!
Assecondando questo andazzo sono sicura che in Italia non cambierà niente!!!
Una  speranza di salvezza credo  però che può esserci ancora e sta tutta nella presa di coscienza dei tanti, che consapevoli del dramma che l'Italia sta vivendo, si rimbocchino le maniche per imprimere una svolta autentica e provare a cambiare tutto e, soprattutto, queste becere e dannose pratiche politiche!!!!
Nella Toscano

sabato 16 ottobre 2010

Nichi Vendola a Palermo

Nichi Vendola a Palermo

pubblicata da Un Progetto Per Cambiare L'italia il giorno sabato 16 ottobre 2010 alle ore 21.21
Una delegazione di "Un progetto per cambiare l'Italia" e della Rete delle Donne Siciliane, ha partecipato alla conferenza stampa che Nichi Vendola ha tenuto nella Libreria Feltrinelli a Palermo.
Una conferenza stampa affollatissima e molto partecipata, segno questo che anche a Palermo qualcosa comincia a muoversi.
Vendola, come sempre, ha saputo rappresentare la situazione disastrosa del Paese e non ha mancato di criticare le scelte Siciliane del PD, che non vanno certo nella direzione del cambiamento e non sono laboratorio politica che può condurre all'alternativa.
Perchè, come da Egli affermato, "l'alternativa, se non parte da un progetto democratico, non parte".
Durante la conferenza stampa ha parlato della scuola, che è fondamento della democrazia nella nostra società, che questo governo sta distruggendo sottraendole risorse.
Ha parlato del lavoro, quale  diritto fondamentale di ognuno per l' affermazione della propria  dignità , dell'aumento in maniera esponenziale della povertà, della disoccupazione   crescente in tutta Europa e della mancanza di guida politica europea, tutta incentrata invece sul governo dell'economia.
Ha parlato in modo appassionata del mancato coinvolgimento delle donne nella politica, sulla emarginazione delle stesse, ritenendo che non può parlarsi di cambiamento senza il coinvolgimento delle donne.
Ha parlato ancora del grave problema della violenza sulle donne ed ha additato come responsabile dell'aumento esponenziale di questa barbarie non già ad una patologia, ma alla responsabilità di chi ci propina ogni giorno modelli e rappresentazioni della donna fuorvianti.
Naturalmente ha  toccato il problema delle primarie, ritenendo le stesse uno strumento fondamentale per togliere dalle mani dei partiti la designazione dei candidati, per fare decidere ai cittadini  chi  dovrà rappresentarli!
Il suo intervento bello e appassionato si è protratto per più di un'ora  ed è stato molto applaudito.
Bello e appassionato anche l'intervento di una insegnante che ha denunciato la disintegrazione della scuola pubblica, baluardo di democrazia, che rientra proprio in un disegno di disintegrazione della medesima democrazia.
Spazio dedicato alle fabbriche di Nichi se n'è visto davvero poco, visto che sul palco si sono alternati soprattutto interventi di dirigenti di S e L.
Una cosa comunque è certa, La Rete Delle Donne Siciliane, che è anch'essa una fabbrica di Nichi, presente in sala con una larga rappresentanza, non è stata  invitata ad intervenire, anzi è stata completamente ignorata.
Ho apprezzato molto l'intervento di Nichi che ha rivendicato la necessità  di fare spazio alle donne, ma sono molto, ma molto rammaricata che gli organizzatori di questo incontro non si sono curati di invitare ad intervenire la Rete delle Donne.
Purtroppo il vizio di oscurare chi non fa parte del proprio gruppo è duro a morire!!!!!!
Nella Toscano

giovedì 14 ottobre 2010

COMUNICATO STAMPA

 Una delegazione del gruppo “Un progetto per cambiare l’Italia”, a cui hanno già aderito circa 2.400 persone, sarà presente alla conferenza stampa che il Presidente Nichi Vendola terrà a Palermo il 15 ottobre prossimo, prima nella sede di Sinistra e Libertà e poi alla manifestazione che si svolgerà al Rouge e Noir alle 17,00. La presenza della nostra delegazione vuole richiamare l'attenzione di Vendola su di un programma, aperto al contributo di quanti credono nella democrazia partecipata e nella necessità di costruire, dal basso, una nuova sinistra unita, che intendiamo proporre come base di un ampio dibattito che coinvolga tutte le forze del centro sinistra. Intendiamo infatti far convergere l'attenzione di tutti gli esponenti politici sui problemi concreti che riguardano i cittadini, quali il lavoro, la giustizia, l’ambiente, i diritti di tutti, la legalità, per rimettere al centro dell’azione politica la difesa della nostra Costituzione, mai messa così a rischio come oggi, da questa maggioranza!I promotori di “Un Progetto per Cambiare l’Italia”Nella Toscano (PA)Paola Bozzini (VR)Faliero Ciappei (PI) 

domenica 10 ottobre 2010

La politica, la grande assente!

 
pubblicata da Nella Toscano il giorno domenica 10 ottobre 2010 alle ore 23.40
 
La situazione Italiana mi sembra sempre più ingarbugliata e senza una via d'uscita, almeno a breve.
Nessuno ha voglia di tornare alle urne e tanto meno il PD che ha tirato fuori dal cilindro come soluzione politica il governo di transizione.
Sono convinta che un governo di transizione lo si può accettare solo se si ha una maggioranza che consenta la rapida approvazione di una legge elettorale e del conflitto d'interesse.
Quest'ultimo, a mio parere, risolvibile con l'approvazione di una norma semplice semplice: l'ineleggibilità assoluta per chi possiede mezzi d'informazione e/o concessioni da parte dello stato, non solo del diretto interessato, ma anche dei suoi familiari fino al terzo grado per risolvere il problema alla radice.
Se c'è questa possibilità che si faccia subito e poi si torni a parlare di politica, la grande assente, finalmente!
Chiunque ha a cuore il bene del paese non può non avvertire l'urgenza di un cambiamento forte e radicale e, soprattutto, non può non sapere che non ci sarà reale cambiamento se questo non coinvolgerà dal basso.
Purtroppo non pare che si va in questa direzione, almeno da parte del PD che pensa di essere il primo partito dell'opposizione e che per ciò vuole dettare le regole del gioco, senza confrontarsi nè con i movimenti, nè con quella parte della società civile, che tenuta ai margini dei partiti e della politica, oggi sente l'urgenza di un impegno per cercare di cambiare questo paese.
Quello che stupisce è anche la totale chiusura di Bersani ad un eventuale confronto sul programma con soggetti che non siano i partiti che lui ha scelto come alleati del nuovo ulivo.
Ancora più stupefacente è la sua  richiesta di evitare di demolire il PD per non indebolirlo.
Io penso che sarebbe stato più costruttivo se invece di chiedere il silenzio di chi non condivide le sue scelte, di interrogarsi sulle medesime e di cercare di capire il dissenso ed il disagio di tanti cittadini che  da tempo stanno chiedendo una opposizione dura e senza sconti a questa maggioranza che sta sfasciando Le ISTITUZIONI ed il Paese!!!
A me questo pare autolesionismo puro e non può che rafforzare il convincimento che così ci prepariamo a riconsegnare l'Italia nelle mani di b.
Io penso che noi cittadini non dobbiamo permettere questo e dobbiamo lavorare per gettare le basi per unire e rinnovare  la sinistra  e tutta  la classe dirigente. Unire la sinistra avendo come valore fondante la nostra Costituzione ed un progetto che possa essere condiviso da tutti per cambiare veramente l'Italia!
Nella Toscano

sabato 9 ottobre 2010

Saviano infiamma Verona Ma i politici lo snobbano

LO SCRITTORE DI «GOMORRA» IN VENETO

«Castelvolturno? E’ vicino a Verona». Saviano parla di Africa e camorra in Gran Guardia. Assenti le istituzioni, vuote le sedie riservate al Comune

Roberto Saviano alla Gran Guardia di Verona (Sartori)Roberto Saviano alla Gran Guardia di Verona (Sartori)

VERONA — «Castelvolturno sembra lontano da Verona. Invece è vicinissimo». Non sono le distanze geografiche, quelle su cui giovedì sera Roberto Saviano ha fatto di calcolo. Ma quelle che erano palpabili in una Gran Guardia riempita dai cosiddetti «cittadini qualunque». E svuotata dalle istituzioni. Almeno due file, quelle con la scritta «riservato Comune di Verona» assolutamente e desolatamente vuote. E solo un assessore, Mario Rossi, seduto. Ma a titolo personale. «I miei colleghi? Avranno avuto di meglio da fare. Io ho pensato che il meglio da fare era venire qui». Si è comportata così la Verona «civile» con quello che a trombe e squilli ha voluto eleggere, senza che lui abbia mai detto nulla, suo «cittadino onorario». Ignorandolo bellamente. In ogni ordine e grado. La Verona delle istituzioni, quella che in Gran Guardia non c’era neanche dipinta, per la serata che Saviano ha dedicato ai comboniani. A quella Fondazione Nigrizia Onlus battezzata giovedì mattina e per la quale l’autore di Gomorra è venuto a raccogliere fondi. Quindici euro a testa, per sentirlo parlare della Soweto d’Italia.
Per quella Castelvolturno dove i missionari con casa madre a Verona dal 2004 portano avanti la «Casa del bambino», un asilo e doposcuola per bambini figli di immigrati. «La cultura comboniana mi appartiene - ha raccontato Saviano -. Mio nonno Carlo leggeva sempre Nigrizia e io ho imparato a conoscere figure come padre Zanotelli o padre Poletti fin da bambino». E’ stato proprio quel profugo del giornale comboniano, quel direttore epurato dopo un articolo scomodo sul traffico d’armi, quell’Alex Zanotelli che l’Africa l’ha ritrovata a Napoli, a introdurlo. Hanno applaudito Saviano per due minuti, tutti in piedi, i «cittadini qualunque» di Verona «Voi uomini del Nord», li ha definiti quel prete che ha ancora l’accento trentino di dove è nato. «Mi piace questo dei comboniani - ha detto Saviano -. Che diventano parte di dove vivono». E hanno molto da dividere e condividere, Saviano e i comboniani. Si sanno indignare. Ha raccontato di quella Castelvolturno che Africa lo è diventata non solo per l’arrivo in massa degli immigrati nigeriani.
Ma, ancora prima, per quella camorra che travestita sotto improbabili speculazioni immobiliari si mangiava il territorio e la dignità delle persone. «I comboniani, che sono dei missionari, hanno un presidio in Italia. E’ a Castevolturno, che è Africa. I nigeriani sono arrivati a controllare il traffico della prostituzione e della droga. I casalesi se ne sono accorti subito. Non li volevano. Hanno bruciato le case di chi gliele affittava, hanno fatto volantini di minaccia. "E’ iniziata la caccia all’africano". Gli africani andavano bene per raccogliere i pomodori, ma dovevano stare lontano dal centro del paese». Ecco dove Castelvolturno spesso è vicino a Verona. «I comboniani sono come sabbia in questo ingranaggio». Ha fatto degli accenni alla Lega, Roberto Saviano.
La fila vuota riservata al Comune (Sartori)
La fila vuota riservata al Comune (Sartori)
Non ha dimenticato alcuni commenti del Carroccio dopo la strage di Castelvolturno del 2008, quella in cui i casalesi ammazzarono un pregiudicato e sei africani. «La Lega non ha ancora capito che non si deve combattere ma si deve costruire con la parte sana degli stranieri». Ha lanciato una sorta di appello agli immigrati. «Vi prego, non lasciateci soli con i leghisti, ma non riferite quello che ho detto, altrimenti pensano che io ce l’abbia con loro». Mezzora prima aveva parlato della cittadinanza. «La cittadinanza - ha detto - è generata dall’impegno, dalla condivisione, dalla voglia di stare assieme ». Eppure ieri sera chi lo ha nominato cittadino onorario evidentemente di impegni ne aveva altri, da condividere con lui non aveva nulla e non aveva voglia di starci assieme. Mentre i «cittadini qualunque» alla fine lo hanno applaudito per cinque minuti.
Angiola Petronio
08 ottobre 2010