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martedì 18 maggio 2010

Presidente Napolitano perché non mi ha risposto?'

'18 maggio 2010

di Luigi De Magistris

In "Assalto al pm" per la prima volta De Magistris racconta le sue indagini e la sua cacciata. Dagli sgambetti dei superiori, a come sono nate le inchieste, da quelle meno note (“Shock”, “Artemide”, “Splendor”) fino alle più conosciute “Why not”, “Poseidone” e “Toghe lucane”.

La decisione di lasciarmi il lavoro di magistrato alle spalle l’ho presa nel momento stesso in cui ho deciso di candidarmi al Parlamento europeo e, quindi, di iniziare la mia esperienza politica. Il passo formale, poi, l’ho dovuto maturare anche nelle sue modalità. L’ho fatto con una lettera che ho scritto, il 28 settembre 2009, al presidente della Repubblica, rispettosa nei modi, ma dura nella sostanza. Era un testo articolato, pubblicato sulla prima pagina de il Fatto Quotidiano, un giornale che ospita quelle che ritengo tra le migliori firme del giornalismo italiano. Il presidente Napolitano non mi ha risposto, né pubblicamente né privatamente. Poteva criticarmi, contestarmi, poteva farmi scrivere da qualche suo assistente. Nulla di nulla. Il silenzio non si addice a un presidente della Repubblica che viene chiamato in causa in una vicenda così delicata. Questo silenzio può voler dire varie cose: che lui si è reso conto di aver sbagliato e ha preferito non intervenire; o magari è stato solo un segno di indifferenza nei confronti di una persona che però, in fin dei conti, ha rappresentato le istituzioni per tanti anni, ha lavorato su cose delicate, ha raccolto mezzo milione di voti.

Non è stato rispettoso, anche solo nei confronti dei sentimenti di un uomo che ha dedicato la propria vita alla professione. Il presidente della Repubblica è il presidente di tutti. Siccome mi consta che la Presidenza della Repubblica in genere alle lettere risponde ritengo non corretto, sul piano umano prima ancora che istituzionale, il silenzio del capo dello Stato. Comunque con questa lettera si è chiusa formalmente una parte della mia vita, credo la più importante. L’ho scritta, come al solito, di getto. Di notte, in un’ora circa. Era, però, maturata con il tempo nel cuore e nella mente. Avevo cominciato a pensarci d’estate. Avevo già deciso di dimettermi, ma è stato ad agosto che ho deciso come farlo. Ho pensato di scrivere a Napolitano, ma non una lettera riservata, perché volevo che il paese sapesse. Non si trattava di fatti privati ma della storia di un pezzo di magistratura ostacolata da settori significativi delle istituzioni e di un capo dello Stato che non ha fatto nulla per impedirlo.

Sono contento che il Fatto abbia dato spazio e dignità alla missiva, così come hanno fatto altri mezzi di comunicazione, la rete in primo luogo. Altri l’hanno ignorata del tutto. Penso al Corriere della Sera, che in diversi articoli ha detto che non mi dimettevo dalla magistratura senza poi scrivere una riga quando è stata resa pubblica la notizia delle mie dimissioni. Oggi mi sembra impossibile l’enormità di tutto quello che è accaduto. Penso ai miei figli e mi chiedo se dopo aver tanto sofferto riusciranno, un giorno, a comprendere tutto quello che è successo. Penso ai miei cari, alle persone che mi vogliono bene e che mi amano. Penso alle sofferenze che ho causato loro. È importante conservare la memoria di quello che è accaduto. Nelle sedi giudiziarie non si potrà più ricostruire, lo dico con amarezza ma con convinzione. Al massimo si potranno restituire segmenti di verità, ma questa storia invece ha bisogno di una lettura sistematica e completa. Ci sarà un momento in cui molti mi chiederanno conto. I miei figli già lo hanno fatto.

Nel settembre 2008 quando, dopo il trasferimento da Catanzaro, dovevo iniziare a lavorare a Napoli, Andrea, il più grande, che allora aveva otto anni, mi chiese: «Papà, ma perché devi andare a lavorare in un’altra città?». Ho dovuto spiegargli che «Papà è stato mandato in un’altra città perché ha fatto il proprio dovere di magistrato». E lui ha detto: «Ma com’è possibile, se uno fa il proprio dovere perché viene mandato via?» (...)Non so dire quale danno una vicenda come questa ha provocato ai miei bambini. Certamente incide il fatto di non vedere il padre ritornare a casa la sera, un mutamento repentino e radicale della quotidianità.

Ho visto i miei figli cambiare dopo questi accadimenti. Certo, recuperano, si assestano, non so dire, però, che tipo di effetto avrà tutto questo sulla loro crescita. Ora sto parlando dei miei, ma lo stesso discorso vale per i figli di Caterina Merante, di Piero Sagona, di Gioacchino Genchi, di Gabriella Nuzzi, di Dionigio Verasani e di tutte le persone che si sono ritrovate, più o meno consapevolmente, coinvolte in fatti sicuramente più grandi di noi. È una vicenda in cui si è fatta prevalere una sorta di perversa «ragion di Stato», non solo rispetto a certi servitori dello stesso Stato, ma anche rispetto alla dignità e alla vita di tantissime persone innocenti. Non c’è poi tanta differenza tra la violenza fisica e quella morale. Nel secondo caso non si toglie la vita a nessuno ma la si condiziona enormemente, producendo una grande sofferenza i cui effetti sono permanenti.

Anzi, continuo a credere che, nei confronti della collettività, la violenza morale ha effetti molto più devastanti di quella fisica. Quest’ultima fa innalzare barriere morali e civili che la prima non produce. Una vicenda lunga e pesante come quella che ho vissuto mette a dura prova anche il rapporto di coppia. Il legame con la propria moglie. La forza invasiva che ha avuto ogni singolo triste episodio, fino all’epilogo finale. La definitività delle conseguenze, una vita familiare sconvolta dai cambiamenti radicali che abbiamo dovuto subire. Gli affetti sono stati messi a dura prova. Al potere questo non interessa, chi produce sofferenze spesso gode di questo. In tutti questi anni avrei voluto che mio padre fosse stato accanto a me anche fisicamente. Penso che avrebbe approvato tutto quello che ho fatto. Avrebbe sofferto moltissimo per le dimissioni dalla magistratura, ma alla fine, credo, avrebbe capito.

Da il Fatto Quotidiano del 18 maggio

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