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giovedì 9 settembre 2010

31.08.2010. «La Costituzione? Difenderla non basta più». Intervista a Gustavo Zagrebelsky

 Dal rapporto tra i poteri istituzionali alle possibili derive di una "democrazia di massa", dalla crisi dei valori assoluti alla costruzione di una nuova etica. Abbiamo interrogato su questi temi Gustavo Zagrebelsky, già presidente della Corte Costituzionale e insigne studioso del diritto.

Nei giorni scorsi Michele Serra ha fatto notare come gli attacchi alla Costituzione, alla separazione dei poteri, all'autonomia della magistratura, si legano sempre alla condivisione preliminare delle parole che il presidente Napolitano pronuncia a difesa di quelle stesse istituzioni. Lei come legge questa premessa? E' una forma di ipocrisia, di calcolo politico o il Quirinale rappresenta davvero ancora un insormontabile tabù?
Direi che il Quirinale rappresenta l'ultima garanzia del rispetto delle regole fondamentali della nostra convivenza. Quando il Capo dello Stato fa richiami a principi generali ed ogni parte politica tira l'acqua al proprio mulino cosa dobbiamo pensare? Che le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica sono ambigue e quindi dette in modo tale da non scontentare nessuno? O dimostra forse che sono così incontrovertibili da non poter essere contrastate da nessuno? E quindi, siccome sappiamo bene che sulle parole si può giocare, il fatto che tutti siano d'accordo - o perlomeno dicano di esserlo - è la dimostrazione della cattiva coscienza di alcune forze politiche, incapaci di dichiararsi apertamente in contrasto con quanto detto dalla più alta carica dello Stato. Consideriamo anche che il Capo dello Stato interviene spesso su questioni molto complesse che hanno tante sfaccettature. È molto semplice essere d'accordo solo su ciò che conviene politicamente e non considerare il resto. Sono quindi convinto che il Capo dello Stato è una garanzia per tutti che, naturalmente, opera nel campo del possibile. È impensabile chiedergli di intervenire al di fuori del campo istituzionalmente riconosciuto. Esistono cose auspicabili che sono possibili e alcune impossibili: il Capo dello Stato opera solo nel campo del possibile.
Nella "Democrazia in America" Tocqueville scrive : «se il dispotismo venisse a stabilirsi presso le nazioni democratiche dei nostri giorni sarebbe più esteso e più mite, e degraderebbe gli uomini senza tormentarli». È una previsione agghiacciante della piega che sta prendendo la democrazia nel nostro paese. In che cosa abbiamo sbagliato?
La frase di Tocqueville indica una possibile fase della democrazia nella quale prevale l'addormentamento delle coscienze. Una fase in cui l'uguaglianza viene intesa non come diritto di tutti a espandere la propria libertà d'azione, bensì come appiattimento verso il basso. Una "democrazia di massa" nella quale il dominio sugli uomini non si ottiene con la violenza, come nelle dittature di un tempo, ma semplicemente addormentando le coscienze. Non è certo una novità. Giovanni Botero, teorico della Ragion di Stato del periodo controriformista, parla della religione non come strumento di liberazione delle coscienze ma di addormentamento. Tanto da dire, in una delle sue più celebri frasi: «È più facile governare controllando gli animi che controllando i corpi». L'addormentamento delle coscienze può essere uno strumento di potere molto efficacie. Questa elaborazione teorica risale alla fine del 500, oggi esistono strumenti molto più efficaci. Sono convinto che, dal punto di vista della libertà, sia meno pericoloso il dominio sui corpi, ottenuto tramite la violenza, che non il dominio sulle menti. Il dominio sui corpi, infatti, ti lascia libero moralmente di pensare quello che ritieni. Siamo oggi di fronte a forze omologanti di teste e di coscienze che operano a livello planetario. Non è che abbiamo commesso degli errori, siamo nelle condizioni di poter elaborare delle forze antagoniste, a patto di avere il coraggio della verità. Il pensiero unico non è uno scherzo, ma una realtà, e quei gruppi che vivono la strada hanno il compito di sollevare quei problemi che il pensiero unico tende a mantenere nascosti
Nei suoi scritti lei guarda, da giurista, dentro la crisi dei valori assoluti, ma rifiuta al contempo la rassicurante nostalgia del passato e il nichilismo allegro di chi pensa che, caduti gli assoluti, tutto sia permesso. Su cosa possiamo fondare oggi un'etica?
Ripartiamo dalla ricostruzione onesta della nostra condizione, una presa d'atto dello stato di salute della nostra società. Da questo cerchiamo di ragionare sulla base di qualche principio di convivenza nel quale ognuno riconosca la base per una buona vita. Siamo in grado di pensare ad una società del futuro basata sulla discriminazione, sull'utilizzo della violenza, sull'incomprensione e l'incomunicatività? Chi di noi oggi augurerebbe ai nostri figli e ai nostri nipoti di vivere in una società di questo genere? Oggi noi abbiamo la Costituzione, una tavola di principi di convivenza in grado di disegnare un tipo di società tollerante, aperta, orientata verso la giustizia. Forse il massimo che ci possiamo immaginare. Riscopriamo la Costituzione, ma non per difenderla. Oggi è necessario rivalutarla, riconsiderarla con un atteggiamento che non sia difensivo, ma offensivo. Bisogna ripartire al contrattacco. Non è sufficiente snocciolare i principi contenuti dalla Costituzione, ma far capire come questi principi riescano a disegnare un determinato tipo di convivenza. La domanda da porre a tutti è: vi piacerebbe vivere nella società dipinta dalla Carta Costituzione o in quella attuale basata sull'appiattimento, i consumi di massa, la mancanza di pensiero, di cultura e sulla dilagante omologazione? Io credo che il cambiamento stia proprio nella capacità di porre questa domanda.

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