di Paolo Flores d’Arcais
Marco Travaglio ha torto. Infatti ha evidenziato il motivo del
suo contendere con Santoro in questi termini: “Esiste ancora nel talk show uno spazio indipendente per il talk inteso come racconto di fatti veri al riparo dallo show,
cioè del pollaio gabellato per ‘contraddittorio’ e ‘ascolto’ dove chi
ha torto e mente passa dalla parte della ragione e della verità? (...)
Prima di domandarsi se il collaboratore fa la pace col conduttore e
torna a bordo, andrebbe sciolto un rebus: cosa rimane,
del giornalismo come lo conosciamo tutti, nei talk show?”.
Nulla,
ovviamente. Ma la degradazione della verità di
fatto a mera opinione, e dunque la correlativa santificazione di ogni
menzogna a opinione che vale quanto l’altra, non è questione che mette a
repentaglio solo il giornalismo, bensì costituisce in sé
un colpo durissimo e diretto assestato contro la democrazia in quanto tale.
Dunque
Marco Travaglio ha torto a “minimizzare”
come problema del giornalismo qualcosa che riguarda invece l’essenza
stessa della democrazia: Santoro, trattando Travaglio – che cerca
ostinatamente di dare voce alle modeste verità di fatto – come un
“opinionista” alla stregua dei Burlando, Santanchè, Brunetta,
Minzolini, Fassino/a e altri habitué del pollaio/ring (mentre è uno dei
pochissimi cronisti, cioè trascrittori fedeli di fatti, che ancora restino nel giornalismo italiano), spaccia overdose di una convinzione
per la democrazia mefitica e micidiale.
Hannah
Arendt lo ha spiegato in modo definitivo già mezzo
secolo fa, dimostrando e sottolineando che mettere sullo stesso piano
le opinioni, inevitabilmente soggettive e arbitrarie, con le verità di
fatto significa già compiere un passo cruciale verso il precipizio del
totalitarismo.
Nel
saggio “Verità e politica scrive”: “Ciò
che appare ancora più inquietante [ha appena parlato della Germania di
Hitler e della Russia di Stalin] è che nei paesi liberi, nella misura
in cui verità di fatto sgradite vengono tollerate, esse sono spesso,
consciamente o inconsciamente, trasformate in opinioni”. Ma in
questo modo “è in gioco la stessa realtà comune fattuale”, il nostro
essere-insieme, cioè il tessuto minimo e irrinunciabile di una
convivenza che non sia alla mercé di pochi (i padroni-manipolatori
della “verità”, appunto). Da qui la conclusione,
tanto perentoria quanto argomentata per pagine e pagine: “la libertà di
opinione è una farsa a meno che l’informazione fattuale non venga
garantita e i fatti stessi siano sottratti alla disputa”.
E’
quanto cerca di fare (e fa) ostinatamente Marco Travaglio,
cui non riesce di confondere – come avviene invece a tutti i conduttori
televisivi – l’imparzialità (che significa il riconoscimento sovrano
delle modeste verità di fatto) con l’equidistanza (che significa che se
in una giornata di sole Burlando sostiene contro
Travaglio che piove, vuol dire “pioggia qua e là, bello altrove”, se
poi la “disputa” è tra due politici, e sia Burlando che Scajola
sostengono che piove, pioggia è, al di la di ogni ragionevole dubbio).
Opinioni
e verità di fatto sono di natura radicalmente
eterogenea, tanto è vero che “nessuna epoca passata ha tollerato tante
opinioni diverse su questioni religiose o filosofiche; la verità di
fatto, però, qualora capiti che si opponga al profitto e al piacere di
un dato gruppo, è accolta oggi con un’ostilità
maggiore che in passato”. Ecco perché la resistenza delle modeste
verità di fatto alla loro assimilazione a mere opinioni, resistenza che
dovrebbe essere l’abc morale di ogni giornalista e insieme il suo più
elementare ferro del mestiere, costituisce più che
mai la cartina di tornasole dello stato di salute o di estinzione di
una democrazia.
Dunque,
ecco perché mi auguro che Marco Travaglio continui
a difendere quei pochi minuti di verità fattuali e di giornalismo che
ancora albergano nello show di Santoro, ormai indistinguibile da quelli
di Vespa&Co.
Naturalmente,
come osservava amaramente Hannah
Arendt “le probabilità che la verità di fatto sopravviva all’assalto del
potere sono davvero esigue”. A ciascuno di noi, secondo le sue
possibilità, fare in modo che aumentino. Chi tace acconsente.
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