— Daniela Preziosi, ROMA,
L'intervista. «Il
centrosinistra è storia chiusa. E quella di Sel non è neanche una
scissione. Il premier è un Giano bifronte: populista dall’alto e insieme
bonapartista». «Le mie colpe? Tre occasioni perse». «Ho votato Ingroia
e con più vicinanza la lista Tsipras, ma non credo in queste strade».
«Vendola e Migliore? Non sono il loro maestro, abbiamo condiviso la
stessa comunità»
L’avvertenza, cordiale ma ferma, è che della politica
politicante non vuole parlare. La sente, spiega, «come cosa lontana,
faccio delle riflessioni, le scrivo, le rileggo e capisco che sono
profondamente inattuali». Ma Fausto Bertinotti è la primo volto
che viene in mente al combinato disposto delle parole ’sinistra’ e
’scissione’, ’centrosinistra’. Presidente della camera dal 2006
al 2008, poi leader della sinistra arcobaleno azzerata dalla
vocazione maggioritaria. Ma prima segretario dal ’94 di
Rifondazione comunista, quasi per imposizione del fondatore
Armando Cossutta. Quel partito da lì ha infilato una serie di
scissioni a destra e sinistra (anche Cossutta nel ’98 lo lasciò), fra
sostegno e rotture con i governi di centrosinistra. Fino alla
scissione della scissione, quella dei nostri giorni fra due uomini che
gli sono stati vicinissimi: Nichi Vendola, a sua volta
scissionista e fondatore di Sel; e Gennaro Migliore, ora vicino al
Pd renzista. Una storia, e le scelte che hanno portato tutta la
’sinistra sinistra’ fino a qui — non in condizioni smaglianti —
è storia di un’intera comunità. Lo incontriamo al quarto piano di un
bel palazzo della Camera, sede di una fondazione che a settembre
chiuderà i battenti. Tempi duri. E non solo causa spending review.
Presidente Bertinotti, lei sostiene ormai
da anni che la sinistra non esiste più. Allora perché la sinistra
continua a dividersi?
Questa divisione già dimostra che non c’è più. Quando c’era si
chiamava ’scissione’. Si poteva persino evocare, lo fece Gramsci
nel ’21, ’spirito di scissione’. C’è scissione se c’è, lo dico con
Togliatti, ’rinnovamento nella continuità’, l’idea che da un albero
può spezzarsi un ramo e rimettere radici. Ma se non c’è continuità
non c’è neanche rinnovamento, e allora la divisione è un esodo, una
fuoriuscita. La storia della sinistra e del movimento operaio in
Europa si è chiusa in tre cicli: la sconfitta del 900, riassunta nel
crollo del Muro di Berlino; il Dopoguerra delle costituzioni
democratiche, dei partiti e dei sindacati di massa, che termina
con la sconfitta degli anni 80. Di qui, siamo al terzo ciclo,
quei partiti si candidano a governare la modernizzazione. È il
centrosinistra, una condizione ambigua e anfibia di cui in parte
circola ancora l’eredità. Muore sepolto dalla nascita del
capitalismo finanziario e dell’Europa reale, una tenaglia ne
cancella le ultime tracce. E i partiti eredi completano la loro
mutazione genetica. Erano i partiti dell’alternativa di società,
diventano i partiti dell’alternanza di governo.
Renzi rappresenta il compimento di un ciclo o una ripartenza?
Renzi è un fenomeno importante. A sinistra abbiamo un tic, non
accettare che i nostri avversari siano forti. Ricordiamo un vecchio
carosello con Ernesto Calindri e Franco Volpi: si vedeva un aereo che
volava, era la modernità, Volpi scuoteva la testa e diceva: ’el dura
minga’. Renzi avvia una nuova fase: l’egemonia di una cultura
postmoderna e postdemocratica, una gigantesca costruzione
ideologica che copre come una coltre una realtà sfrangiata
e devastata. Renzi è il portatore naturale della politica
funzionale di questo nuovo ciclo, quello della governabilità come
elemento totalizzante. La sua Weltanschauung è ’vincere
e governare’, contro chi e per fare cosa non importa. Siamo alla morte
delle famiglie politiche europee. I socialisti perdono ovunque.
E invece Renzi che socialista non è — lasciamo stare la scelta
governativa di aderire al Pse — non essendo socialista vince.
Perché sceglie la trasversalità. È coevo a questo tempo, quello
che ha sostituito lo scontro fra destra e sinistra con quello fra
l’alto e il basso che noi imperfettamente chiamiamo populismo.
E perché Renzi è fortissimo? Perché la sua trasversalità fonda il
populismo dall’alto. È un Giano bifronte: per un lato populista,
per l’altro è neobonapartista, cioè usa il populismo per
plasmare il governo dall’alto. L’esito è neautoritario: un governo
che si presume così, asettico, obbligato nelle scelte e privo di
alternative, ’naturale’.
Eppure Renzi si presenta come un uomo di sinistra. E così viene percepito da molti suoi elettori.
No, non è vero. Persino la sua retorica è accuratamente
trasversale, tanto che può permettersi alcune citazioni di
sinistra. Il caso più clamoroso è l’adesione al Pse: i vecchi del Pd
hanno disputato per anni se aderire o no. Era una discussione
ridicola, caricaturale, ma le vecchie famiglie ancora
confliggevano. Spazzate via queste famiglie, lui può aderire al
Pse senza subirne il ricasco definitorio. Renzi non diventa
socialista, è il partito socialista europeo che diventa renziano.
La sua è un’uscita dalla storia socialista per presa d’atto della
sua conclusione. Così restaura le feste dell’Unità: nessuno può
accusarlo di essere comunista. Né democristiano. È trasversale.
Questa trasversalità assorbe tutto il campo della politica? A suo parere non c’è spazio per altro?
Alfredo Reichlin gli ha offerto la formula ’partito della
nazione’. Ma, lo dico con rispetto, è una citazione del mondo antico.
Il suo è il ’ partito del governo’. Non al governo, né di governo. La
sua è una vocazione totalitaria in sintonia con questo
capitalismo totalitario che ha l’ambizione di conquistare tutti
al principio della competitività.
Lei, negli anni 90, è stato il fondatore,
poi anche l’affondatore, dell’idea di una sinistra del
centrosinistra. Non c’è più una sinistra che possa ambire a una
dialettica con questa ’trasversalità’?
No, se resta nel recinto. Quel tentativo di mescolarsi è stato
sconfitto. Allora c’erano due sinistre che si misuravano con la
globalizzazione, con due idee opposte. Per capirci:
governabilità contro altermondialismo. Era l’ultimo stadio
della storia di quella sinistra, e la Rifondazione comunista era
l’ultima ipotesi revisionistica. Fallita per la sconfitta e la
mutazione genetica, e per il cambiamento radicale della scena
prodotto dal capitalismo finanziario globale.
Posto che i vincitori hanno sempre le loro colpe, quali sono le colpe degli sconfitti, le vostre?
Le occasioni mancate. In Italia — e sto sulle ultime, non parto
dall’XI congresso del Pci come farebbe Pietro Ingrao — sono almeno
tre: lo scioglimento del Pci poteva essere diverso, qualche
recriminazione di Occhetto che chiedeva innovazione nella
tradizione aveva nuclei di verità; lì una comunità si smembra.
Seconda occasione mancata, il movimento altermondialista, nel
2000 — 2001. Lì c’è il primo smacco del centrosinistra: all’avvio
della globalizzazione e alla nascita dell’Europa di Maastricht
neanche il tentativo timido ma interessante di Jospin viene
sostenuto. Il centrosinistra italiano è tra i responsabile
dell’uccisione di quel tentativo. E noi, poco dopo, e cioè all’avvento
del movimento altermondialista, manchiamo l’ultima occasione,
quella di devolvere ciò che era rimasto della sinistra di
alternativa in quel movimento.
Lei era già il teorico del partito a rete. Sta dicendo che avrebbe dovuto fare di più, sciogliersi?
Avremo dovuto capire che il mondo dei partiti tradizionali era
finito. E buttarci nel nuovo emergente orizzonte anticapitalista.
Rinunciando definitivamente all’idea repubblicana di una moderna democrazia dei partiti?
Avremmo dovuto reinventarci. I partiti attuali sono
organizzazioni di ceto politico all’americana, che vive la stagione
elettorale per la sola rappresentanza nelle istituzioni.
E quelli così fatti, qualunque sia la loro collocazione, sono
interni a un sistema neoautoritario in cui il governo è tutto.
Persino Grillo che ha avuto la giusta intuizione che il sistema
politico si abbatte e non si riforma, oggi viene catturato dalla
logica di governo, per essere presentabile e per far parte del gioco
politico .
Il sistema si abbatte da destra, nel caso di Grillo.
No, dal basso. Grillo è un sistema autoritario che tuttavia dà
voce al conflitto dal basso. Così il Front di Le Pen e le formazioni
populiste che intercettano il conflitto fra popolo e élite. La
sinistra non c’è se non nasce da questo conflitto. Quella che pensa
di rinascere nel recinto prenda atto che il recinto soffoca.
Nonostante i suoi certificati di morte,
lei resta vicino alla sinistra che ci prova. Oggi a Tsipras, ieri
a Ingroia. Lei è garantista: perché sosteneva un giustizialista?
Non avevo nessuna fascinazione per Ingroia, e non credo per niente
a queste strade. Tuttavia se i miei parenti ci riprovano non mi
metto contro. Li voto affettuosamente.
Così anche la lista Tsipras?
Qui ho un elemento in più. Tsipras mi intriga non per la nostra
vicenda italiana ma perché indica una ricostruzione su scala
europea invece che dalle prigioni nazionali.
Tsipras non corrisponde al suo modello:
non è ’fuori dal recinto’. È un politico capace di aprire confronti
con la socialdemocrazia.
Mi prende su una corda scoperta, le similitudini con una certa
Riforndazione sono evidenti. Ma c’è una differenza: da dove viene
Syriza? Nessuno mi dica che viene dalle formazioni precedenti alla
grande rivolta. Il Synaspimos, da cui viene parte di questo gruppo
dirigente, guadagnava a fatica il 2 per cento. Syriza ora veleggia
verso il 40. Non mi si dica che c’è una parentela.
Il Synaspismos è uno dei padri, uno dei partiti della coalizione della sinistra radicale greca.
Anagraficamente sì, ma Syriza è la dimostrazione che la
sinistra può nascere solo dalla rivolta, non dalle costole dei vecchi
partiti.
Torno ai suoi ’parenti’ e alle loro
divisioni. Sia Vendola che Migliore sono suoi allievi, il primo anche
erede di una leadership, la sua, con tratti di personalismo. Oggi
si separano, ma restano entrambi convinti della possibilità di una
sinistra del centrosinistra. Come spiega la distanza dal maestro?
Non direi maestro, direi che abbiamo condiviso una stessa
comunità. Conosco due modelli di leadership politica: una che
figlia per discendenza diretta, quando un allievo assume tutto di un
maestro, atteggiamenti fisici inclusi; e una che figlia
orizzontalmente, penso a Ingrao, Magri, Rossanda, i miei maestri. Si parva licet,
nel caso di Nichi e Gennaro riconosco il tratto della mia direzione
e qualche scampolo di me. Ma politicamente sono molto diversi.
Quanto al resto, con un gruppo di amici psicoanalisti lacaniani sto
lavorando a capire perché a sinistra si producono conflitti
mortali diversamente dalle altre storie politiche. I socialisti
e i democristiani fanno scelte opposte ma restano affratellati. Noi
deflagriamo. Quando avrò una risposta le dirò meglio.
Se il treno della rivolta non passa, da noi non ci sarà più sinistra?
Ne passerà un altro. Intendiamoci, per me rivolta è rottura:
Occupy Wall Street, indignados, Grecia. Anche le primavere arabe:
forme di lotta dal basso senza partito e senza leader che
costruiscono nuove istituzioni, al di là dell’esito. L’altro
fondamento è la coalizione sociale, le tessiture
extramercantili di conflitti, autonomia, autogestione,
autogoverno. Il riferimento è a fine 800 inizi 900: atelier
parigini, Iww negli Stati uniti. Forme di contestazione fuori dalla
tradizione organizzata. Oggi in Italia i No Tav ma anche il Cinema
America e il Teatro Valle di Roma, le 160 aziende autogestite, i 200
scioperanti della Maserati. Rivolta è ciò che dal basso promuove
conflitto contro le élite e si manifesta come irruzione di energia
e di forza.
È una rivolta nonviolenta?
Lo spero, dipenderà dalla reazione delle classi dirigenti. Io
credo che ci siano le condizioni culturali perché possa esserlo. La
rivolta non è per forza maieutica della sinistra. Ma è il punto di
rottura necessario. Come nel ’48, e in quella cosa straordinaria
e magica che fu la Comune di Parigi.
Lei per primo guidò la sinistra radicale nelle primarie. Niente più primarie ormai?
Le primarie avevano un senso finché era ipotizzabile la
riformabilità della sinistra politica. Oggi sono funzionali
all’ordine nuovo neoautoritario del partito del governo. La verità
è che noi che eravamo avversi al riformismo siamo stati gli ultimi
a lavorare per salvarlo. E invece l’hanno ucciso. E si sono suicidati.
Nessun commento:
Posta un commento