Il Manifesto
17 giugno 2014 - 7 Commenti »
Alberto Asor Rosa
Il
dato più rilevante di questa breve ma intensissima fase storica
resta, senza ombra di dubbio, l’affermazione elettorale (soprattutto
in termini percentuali) di Matteo Renzi. Il giovane leader
è arrivato a questa affermazione, come non mi stanco di ripetere,
senza nessuna delle tradizionali investiture “democratiche” in
uso nel sistema politico italiano dal 1945 in poi. Renzi ha iniziato
la sua conquista del potere arrivando con le primarie dell’8
dicembre 2013, d’un balzo solo, alla segreteria del Pd. Da lì spicca
la sua rapida ascesa al governo, con mezzi (e forzature)
parlamentari, anche in questo caso fondamentalmente fuori della
consuetudine e ampiamente discutibili.
Tutto ciò, però, ha ricevuto subito dopo il
consenso, che suona approvativo, di un numero (percentualmente)
impensabile di elettori fino a qualsiasi consultazione
precedente. Questo cursus e queste coincidenze andrebbero interpretati meglio di quanto finora non sia stato fatto.
Un’ipotesi possibile (del resto tutt’altro che sorprendente): Renzi “carica” di aspettative il vecchio elettorato “democratico”, fino a prospettargli la concreta possibilità di una vittoria, considerata generalmente fino a quel momento del tutto irraggiungibile (questa porzione più tradizionale dell’elettorato Pd pensa: «almeno una volta voglio vincere»); e vi aggiunge un quoziente piuttosto elevato di elettori provenienti da altre aree (centro-destra, grillini, centro democratico…).
Un’ipotesi possibile (del resto tutt’altro che sorprendente): Renzi “carica” di aspettative il vecchio elettorato “democratico”, fino a prospettargli la concreta possibilità di una vittoria, considerata generalmente fino a quel momento del tutto irraggiungibile (questa porzione più tradizionale dell’elettorato Pd pensa: «almeno una volta voglio vincere»); e vi aggiunge un quoziente piuttosto elevato di elettori provenienti da altre aree (centro-destra, grillini, centro democratico…).
Mettendo insieme i due fattori, si spiega
perché le avanzate più consistenti si siano verificate nelle ex
regioni rosse (Toscana, Emilia, Umbria). Insomma, il vecchio
elettorato, invece di sciogliersi nell’astensionismo, si consolida
presumibilmente intorno al 23–24%; di suo Renzi vale il resto, ossia
il 17–18%, più o meno quanto valgono nei rispettivi partiti quelli
che ne sono fin dalle loro origini i “padroni” (Berlusconi e Grillo),
così come Renzi innegabilmente lo è diventato del suo dopo questo
successo elettorale.
Dunque il conflitto politico in Italia diventa sempre di più, non solo come ho scritto altre volte, una gara talvolta molto accanita, ma non fra “avversari” bensì fra “concorrenti”, data la crescente omogeneità dei loro comportamenti e delle loro parole, ma più esattamente fra “concorrenti” che sono i veri e propri “padroni” dei partiti che si sono trovati, con modalità diverse, a guidare.
Dunque il conflitto politico in Italia diventa sempre di più, non solo come ho scritto altre volte, una gara talvolta molto accanita, ma non fra “avversari” bensì fra “concorrenti”, data la crescente omogeneità dei loro comportamenti e delle loro parole, ma più esattamente fra “concorrenti” che sono i veri e propri “padroni” dei partiti che si sono trovati, con modalità diverse, a guidare.
E cioè: non solo Renzi è diventato extra legem segretario
del proprio partito, e poi, subito dopo, con modalità alquanto
discutibili, Presidente del Consiglio: ma, vincendo con un
risultato indubitabile le elezioni, ha posto le premesse (di cui
già si scorgono gli svolgimenti) perché le gare interne a quella
formazione politica e in quell’area di governo in cui ha scelto di
correre fossero rapidamente e per sempre liquidate.
Cercare di capire perché abbia scelto di
correre in questa formazione e non in una delle altre in cui,
verosimilmente, considerando il suo profilo politico-culturale,
avrebbe potuto tranquillamente farlo, sarebbe un altro interessante
discorso, che però si potrebbe affrontare solo con una migliore
conoscenza dei fattori in causa. Com’è riuscito a farlo?
La risposta a questa domanda sarebbe
essenziale per impiantare il “che fare”, di cui, con un minimo di
chiarezza, avremmo bisogno. Io avanzo due ipotesi, strettamente
collegate fra loro.
La prima è che Renzi non smette di promettere urbi et orbi di avere in mano (oppure di essere in grado di avere, prima o poi, ma la differenza fra il “certo” e il “probabile” non è mai avvertibile nel suo eloquio sommario) gli strumenti per far fronte alla crisi economico-sociale del paese: da questo punto di vista non risparmia le rassicurazioni e, come anticipo, allunga un po’ di soldi alla povera gente.
La prima è che Renzi non smette di promettere urbi et orbi di avere in mano (oppure di essere in grado di avere, prima o poi, ma la differenza fra il “certo” e il “probabile” non è mai avvertibile nel suo eloquio sommario) gli strumenti per far fronte alla crisi economico-sociale del paese: da questo punto di vista non risparmia le rassicurazioni e, come anticipo, allunga un po’ di soldi alla povera gente.
La seconda, meno visibile ma più profonda,
è che Renzi, non meno di Grillo e di Berlusconi, ma in questo momento
più credibilmente degli altri due, punta sull’innegabile crisi di
tenuta democratica del paese, — lo scarso funzionamento degli
organismi rappresentativi, il degrado dei vecchi partiti e del
vecchio ceto politico, la corruzione dilagante, ecc., — per dire:
con i miei metodi, che vanno e promettono di andare sempre di più
nella direzione di un radicale superamento dell’antiquato, ormai
inservibile macinino democratico, si andrà avanti molto meglio.
Così lui trasforma la sfiducia e talvolta la rabbia nei confronti
della “democrazia”, che è un dato reale, diffuso ovunque in questo
paese, in un formidabile strumento di consenso. Lui è già di per sé
un politico post-democratico: basta che lo dica o anche si limiti
a farlo capire, per suscitare un moto di simpatia anche da parte di
quelli che sono stati educati ad un rispetto sacrale nei confronti
della democrazia.
Il gioco per ora funziona benissimo, anche
perché tutta la macchina dei media è schierata come un sol uomo
dietro questa prospettiva (e anche questo sarebbe da interpretare
meglio e da capire).
Del resto, non è la prima volta, in Italia e altrove, che un’investitura di tipo autoritario s’impone registrando un consenso plebiscitario di massa. Quando lui ipotizza e propugna, al posto di un onesto, magari mediocre, partito di centro-sinistra, che rappresenta una parte per armonizzarla con il tutto (ovvero, per armonizzarla con il tutto, restando però a rappresentare quella parte), il cosiddetto Partito della Nazione, a nessuno viene in mente che un obiettivo e una definizione di tale natura avrebbero potuto confarsi anche al Partito Nazionale Fascista o al Partito (appunto) Nazionalsocialista. Certo, non è la stessa cosa, ma ogni qualvolta si evoca la Nazione (con la maiuscola, per giunta), sarebbe d’obbligo che i precedenti vengano alla mente.
Del resto, non è la prima volta, in Italia e altrove, che un’investitura di tipo autoritario s’impone registrando un consenso plebiscitario di massa. Quando lui ipotizza e propugna, al posto di un onesto, magari mediocre, partito di centro-sinistra, che rappresenta una parte per armonizzarla con il tutto (ovvero, per armonizzarla con il tutto, restando però a rappresentare quella parte), il cosiddetto Partito della Nazione, a nessuno viene in mente che un obiettivo e una definizione di tale natura avrebbero potuto confarsi anche al Partito Nazionale Fascista o al Partito (appunto) Nazionalsocialista. Certo, non è la stessa cosa, ma ogni qualvolta si evoca la Nazione (con la maiuscola, per giunta), sarebbe d’obbligo che i precedenti vengano alla mente.
Ma veniamo alla pratica spicciola, quella
che fa vedere meglio le cose come sono: l’obiettivo principale,
comunque chiarissimo, consiste nell’assoggettare al nuovo
meccanismo di potere quanto, politicamente e strutturalmente,
gli può risultare incongruo o resistente. Per cui facile
previsione: il pubblico, anzi il Pubblico, nella sua
accezione più vasta, e cioè burocrazia, magistratura, scuola,
università, sanità, beni culturali, sovrintendenze, ecc. ecc.,
e cioè quanto è stato costruito nel corso di decenni per avere una sua
propria autonomia nel concerto generale degli organi dello Stato,
verrà sottoposto ad un attacco senza esclusione di colpi. Non
a caso, anche in questo caso, organi di stampa e media sono impegnati
in una vibrante campagna di moralizzazione per cogliere
e sanzionare le colpe dei “sistemati”: guadagnano troppo, lavorano
poco, sono lenti, rallentano, si oppongono al “fare”, ecc. Il fatto
che in molti casi, ovviamente, questo sia anche vero non toglie
rilevanza la fatto che l’obiettivo della campagna non sia far
funzionare meglio il sistema, ma assoggettarlo del tutto al comando
del Sovrano.
Ho seguito con grande attenzione, — ma forse
un po’ troppo da lontano, le vicende della lista Tsipras, la cui
affermazione, pur con molti limiti, dimostra che un punto di
partenza ancora esiste. Ho polemizzato con Barbara Spinelli prima
del voto, perché essa, in un’intervista al manifesto (14 maggio) additava nei grillini il punto di riferimento fondamentale post votum della
nuova esperienza («ci sono molte posizioni di Grillo completamente
condivisibili e fra l’altro simili se non identiche alle
nostre»). La posizione, profondamente erronea, è stata portata
avanti fino a un momento prima che il Movimento 5 Stelle siglasse
l’accordo con gli xenofobi e parafascisti di Nigel Farage. La scelta
della Spinelli di andare a Bruxelles in barba alle dichiarazioni
precedenti, chiude un po’ malinconicamente la questione, e ne
riapre una grande come una casa. Ora, infatti, sappiamo con assoluta
chiarezza che Grillo e il grillismo sono avversari nostri non meno,
e forse più, di Matteo Renzi (il che non esclude, che fra i grillini
ce ne siano molti per bene e con cui si può combinare qualcosa
insieme). E allora?
In Italia, altra grande anomalia nazionale, — non esiste, e dopo la definitiva (ripeto: definitiva) uscita di scena in questo senso del Pd non esiste più, una decente formazione di centro-sinistra, — magari la più moderata che si possa immaginare, la meno virulenta, ben radicata formazione di estrema sinistra. Non esiste neanche, — si potrebbe dire così, — una seria, decente, responsabile formazione di sinistra. Per questo berlusconismo, grillismo e ora renzismo hanno dilagato e dilagano.
In Italia, altra grande anomalia nazionale, — non esiste, e dopo la definitiva (ripeto: definitiva) uscita di scena in questo senso del Pd non esiste più, una decente formazione di centro-sinistra, — magari la più moderata che si possa immaginare, la meno virulenta, ben radicata formazione di estrema sinistra. Non esiste neanche, — si potrebbe dire così, — una seria, decente, responsabile formazione di sinistra. Per questo berlusconismo, grillismo e ora renzismo hanno dilagato e dilagano.
Hic Rhodus, hic salta. Ossia: se
non si prova ad affrontare questo problema, meglio dedicarsi alle
parole crociate. Quando la definisco, provvisoriamente, una
seria, decente, ben radicata formazione di sinistra, non intendo la
spontanea convergenza di una serie di formazioni spontanee, come
in fondo è stata, — e per la parte migliore che ha rappresentato
e rappresenta, — la lista Tsipras. Sono l’unico appena professore,
certo, di sicuro non professorone, che ha avuto contatti diretti con
la realtà vivente dei Comitati (gli altri, sovente, ne hanno parlato
per sentito dire). Sono stato coordinatore per molti anni della
“Rete dei Comitati per la difesa del territorio”. Insieme con altre
preziose esperienze, ne ho ricavato questo convincimento:
nessuna realtà politica nuova potrà fare a meno della linfa vitale che
i Comitati sprigionano; ma nessun insieme di Comitati, — una Rete,
ad esempio, — potrà mai da sè, e spontaneamente, mettere in piedi
una realtà politica generale. Questo soggetto politico una volta si
chiamava partito. Possiamo cambiargli nome. Ma la sostanza
è quella.
Detto così, può sembrare un appello a fare
ricorso non alla cabala ma alla Lampada di Aladino. Faccio una
proposta. Da dove si comincia per cominciare la costruzione di una
realtà politica nuova? Dall’alto, dal basso, dall’esistente o dal
futuribile, dagli spezzoni residui del grande disastro o da quelli,
più immaginati che reali, della rete in via di costruzione? Io
comincerei dal programma. Dieci, dodici punti che spieghino perché
si sta insieme, e si sta insieme qui e non altrove. Aspettare che la
riforma renziana della politica, dello stato e dell’economia vada
avanti è profondamente autolesionistico. Chi non ci sta, lo dica
ed esca allo scoperto. E lavori perché le idee, se non le membra,
tutte le membra, emergano finalmente dal guazzabuglio
universale. Non so se la proposta abbia un senso. Ma so che è così
che si fa se si vuole che ne abbia uno. In fondo, all’inizio, non si
tratta che di fare una cosa semplicissima e alla portata di tutti:
pensare.
Nessun commento:
Posta un commento