Il Manifesto
13 giugno 2014 - 1 Commento »
Gaetano AzzaritiLa
rimozione dei senatori Mario Mauro e Corradino Mineo dalla Commissione
affari costituzionali solleva tre ordini di problemi giuridici. Si
tratta, in primo luogo, di verificare la correttezza
dell’interpretazione del Regolamento del Senato. In secondo luogo, di
valutare la conformità a Costituzione della decisione assunta. In terzo
luogo, di considerare gli effetti di tale decisone sul sistema politico
complessivo.
Per quanto riguarda il primo aspetto può dubitarsi
che l’articolo 31 del Regolamento Senato possa legittimare
l’estromissione di un componente permanente designato in base a quanto
stabilito in via generale dal precedente articolo 21. Quest’ultimo,
infatti, chiarisce che spetta a ciascun gruppo comunicare alla
presidenza del Senato i propri rappresentanti nelle diverse commissioni e
che queste sono rinnovate “dopo il primo biennio”. Sembrerebbe dunque
che la indicazione dei gruppi debba essere tenuta ferma per almeno un
biennio, anche per garantire una certa continuità nei lavori delle
commissioni. In questo quadro si colloca l’articolo 31 che prevede
invece la possibilità di “sostituzione” (non invece di “destituzione”),
anche in via transitoria, dei rappresentanti assegnati alle commissioni.
La ratio della norma, nonché i precedenti, chiariscono che –
proprio a garanzia della continuità dei lavori delle commissioni e della
possibilità di far acquisire “ulteriori” competenze in casi particolari
– la sostituzione opera essenzialmente in due casi. Qualora un
componente designato assume diversi ruoli (ad esempio diventa ministro o
viene eletto al Parlamento europeo), non potendo più garantire
l’impegno necessario per svolgere al meglio il suo incarico di membro di
commissione, ovvero qualora, per casi particolari, si ritenga che un
diverso componente del medesimo gruppo parlamentare possa fornire un
contributo “aggiuntivo” e più conforme alla materia da decidere rispetto
al membro “sostituito”. Questa disposizione del Regolamento Senato,
dunque, è nata per estendere le competenze e la funzionalità delle
commissioni, non come strumento disciplinare nei confronti dei
parlamentari dissenzienti. D’altronde, può dubitarsi che la
“sostituzione” si possa ottenere senza il consenso dell’interessato.
Com’è avvenuto nei casi dei due senatori Mauro e Mineo.
Si è assegnato in tal modo un potere assoluto di disporre dei singoli parlamentari agli organi direttivi dei gruppi, venendo a ledere i diritti dei singoli senatori. Non solo quelli definiti dai Regolamenti parlamentari, ma anche quelli direttamente deducibili dal testo della Costituzione.
Si è assegnato in tal modo un potere assoluto di disporre dei singoli parlamentari agli organi direttivi dei gruppi, venendo a ledere i diritti dei singoli senatori. Non solo quelli definiti dai Regolamenti parlamentari, ma anche quelli direttamente deducibili dal testo della Costituzione.
In particolare, sul secondo aspetto, c’è da chiedersi
cosa rimanga del libero mandato (articolo 67 Costituzione) se
l’attività politica del parlamentare, con una decisione estemporanea e
punitiva del gruppo di appartenenza, può essere impedita, ostacolando
irrimediabilmente l’esercizio delle sue essenziali funzioni.
L’estromissione da una determinata commissione non può essere
giustificata da una presunta indisciplina nei confronti della linea di
un gruppo, ovvero di una maggioranza politica. I parlamentari, secondo
Costituzione, rappresentano la nazione e – tanto più in materia
costituzionale – non sono vincolati alla disciplina di partito.
L’argomentazione del veto (“nessuno ha diritto di veto”), ovvero quella del voto (il successo elettorale conseguito alle europee) che si propongono per giustificare l’estromissione dei dissenzienti non hanno ovviamente alcun pregio costituzionale. Qui si discute di libertà di mandato e del corretto funzionamento delle istituzioni parlamentari, cioè di quelle regole che chiunque deve rispettare, in ogni caso, di fronte ad ogni possibile dissenso politico, quale che sia stato il risultato elettorale. È la libera dinamica politica, i modi di formazione della volontà democratica che si pongono in gioco.
L’argomentazione del veto (“nessuno ha diritto di veto”), ovvero quella del voto (il successo elettorale conseguito alle europee) che si propongono per giustificare l’estromissione dei dissenzienti non hanno ovviamente alcun pregio costituzionale. Qui si discute di libertà di mandato e del corretto funzionamento delle istituzioni parlamentari, cioè di quelle regole che chiunque deve rispettare, in ogni caso, di fronte ad ogni possibile dissenso politico, quale che sia stato il risultato elettorale. È la libera dinamica politica, i modi di formazione della volontà democratica che si pongono in gioco.
Per quanto riguarda infine i riflessi sul sistema
politico complessivo ci si può limitare a ricordare che le logiche
parlamentari negli ordinamenti democratici devono essere improntate al
confronto. Era Carl Schmitt che, nel disprezzo del carattere
pluralistico dell’ordinamento democratico, affermava non ci si potesse
fermare dinanzi “al teatro della divisione”, considerando in fondo un
bene che la maggioranza decidesse per la minoranza, poiché, in fondo, è
un “assioma democratico” quello che stabilisce l’assorbimento delle voci
dissenzienti nell’unica volontà espressa nella decisione della
maggioranza. Com’è noto, Hans Kelsen aveva una diversa idea di
democrazia, secondo la quale solo coinvolgendo le minoranze entro il
processo di decisone collettiva la volontà parlamentare può assumere una
sua legittimazione democratica. Più importante delle decisone stessa è
il modo con cui si decide e l’estromissione di ogni voce dissenziente è
un vulnus irreparabile che incrina l’intero processo parlamentare. Un dibattito del secolo scorso. Siamo ancora lì.
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