Nuova manifestazione di protesta a Niscemi:
la base terrestre del sistema satellitare americano è il simbolo del
pacifismo, dell’antiamericanismo e del dissenso ambientalista. La
sughereta siciliana accoglierà il popolo antagonista e riceverà titoli
sui giornali, attestati di solidarietà da ogni parte del mondo. Avverrà
oggi e chissà quante altre volte. Ma è davvero improbabile – anzi, impossibile – che l’US Navy smantelli le tre parabole e li porti altrove. Gli Usa non hanno cambiato idea prima – nessuno, invero, lo ha chiesto a Roma – figuriamoci a cose fatte.
Le proteste popolari e le manifestazioni
di massa non si nutrono di risultati tangibili, trovano la loro
legittimazione e giustificazione nella testimonianza. Manifestare a
Niscemi è un messaggio perché si prenda atto che la robusta presenza
militare americana sul suolo siciliano non rispetta le volontà dei
siciliani. Se il progetto della US Navy fosse a referendum popolare, il dissenso otterrebbe un plebiscito.
La consultazione non è nemmeno
proponibile: la Sicilia è una regione italiana. Molto ambita e molto
usata, ma italiana. Spetta allo Stato decidere ciò che può essere fatto o
non può essere fato sul suo territorio nella difesa militare. A sua
volta, l’Italia deve rispettare le alleanze che ha liberamente contratto
e tenere conto della sua appartenenza all’Europa.
Sia Roma quanto Bruxelles hanno demandato quasi del tutto agli Stati Uniti d’America la “guardiania”, le strategie militari. Le decisioni della Nato sono influenzate dagli Usa, non dall’Ue.
E’ fatale che sia l’Europa quanto l’Italia contino poco. Figuriamoci la
Sicilia: è una servitù di passaggio, una base militare essenziale alla
strategie di difesa e “eventuale” offesa delle potenze occidentali
nell’area più inquieta del pianeta, il sud del Mediterraneo e il Medio
Oriente.
Ciò che avviene in Iraq, Iran, Siria,
Egitto, Tunisia e Libia ha fatto della Sicilia una base militare di
prima grandezza. Questa evoluzione strategica ha diminuito fino a
eliminarlo un qualsiasi ruolo della Sicilia e, in qualche misura, di
Roma nelle decisioni militari.
L’Isola gode di grande considerazione al Pentagono, non a Washington.
Alla crescita del suo ruolo militare non ha affatto corrisposto una
crescita politica della Sicilia, ma l’esatto contrario. La Regione
siciliana è stata ignorata.
Il governo locale non ha in effetti
strumenti per partecipare alle scelte, ma non ha nemmeno manifestato
alcuna volontà di dotarsi di alcuno strumento. Se non una poltrona,
almeno uno strapuntino. Non è in grado di dire la sua, nemmeno sui
dettagli, come la salute dei cittadini, o una giusta compensazione dei
sacrifici richiesti.
Sicché le manifestazioni popolari a
Niscemi sono la sola testimonianza di partecipazione, seppure in
negativo, alle scelte che passano sulla testa dei siciliani e non solo.
Fra la velleitaria richiesta di smantellamento delle basi
– Birgi, Augusta, Sigonella, Niscemi – ed una pedissequa accettazione
di ciò che viene deciso altrove, ci sono spazi di negoziazione che i
governi – nazionale e regionale – non sono mai stati percorsi. Per insipienza, superficialità, ignoranza, furbizia, interesse?
Da chi, quando e in cambio di che cosa
sono state negoziate le basi militari siciliane? Quali utilità ed
opportunità sono venute all’Italia ed all’Europa dalla ospitalità
“gratuita” concessa agli Stati Uniti? Perché la Sicilia accetta in silenzio di essere “bersaglio” in caso di conflitto militare o di ritorsione per i blitz militari che partono dall’Isola?
Gli americani contrattano le “ninfee” da
alcuni mesi questa parte: sono piccole basi militari ben mimetizzate in
aree strategiche del Nord Africa, controllate e protette dalla base
militare siciliana. Ogni installazione è preceduta dalla ricerca di
accordi, patti e condizioni. Gli Usa in Sicilia sono presenti con i
marines, i droni, le navi, le ogive nucleari nelle navi alla fonda, le
stazioni satellitari, le basi aeree. Non sono presenti “altrove”, nei commerci, l’’industria, le tecnologie, l’innovazione.
Ci sono i russi con la Lukoil, ma non
gli americani. La responsabilità di questa irrilevanza politica
appartiene alle istituzioni siciliane e nazionali. Il governo regionale
per la prima volta qualche anno fa ha fatto la voce grossa: si è messo
di traverso sul Muos urlando il proprio dissenso senza pensarci sopra
due volte, e ha sbattuto la testa, perdendo la faccia quando è arrivata
una scontata, ed affatto esaustiva, relazione dell’Istituto superiore
della Sanità.
Le opposizioni hanno indirizzato i loro strali sul comportamento imbarazzante del governo e cavalcato il dissenso. Governare è un’altra cosa.
1 commento:
Si, governare è un'altra cosa, una cosa che in Sicilia nessuno sa fare, come nel resto del Paese, che continua ad affondare ...
Posta un commento