27 febbraio 2014 - 19:02di PASQUALE HAMEL
Le circa tre ore d’aereo che
impegnano il viaggio andata e ritorno da Milano, le ho proficuamente
impegnate con la lettura di un vecchio libro, acquistato oltre vent’anni
fa e mai letto. Il titolo, “Lima e Orlando, nemici eccellenti” –
prometteva molto , l’autore – del compianto Rosario Poma, un giornalista
di razza, la prefazione, Roberto Ciuni, anche lui grande giornalista
purtroppo venuto meno due anni fa.
Dentro le sue 140 pagine, un denso confronto fra due personaggi che hanno segnato la storia di Palermo
e ne hanno condizionato il destino. L’uno, Salvo Lima, sul quale se ne
state dette” di cotte e di crude”, considerato il male assoluto,
l’altro, Leoluca Orlando, esaltato come il cavaliere della giustizia che
combatte contro i terribili mostri che da sempre hanno mortificato le
aspirazioni al futuro del popolo palermitano.
L’uno, Lima, il referente dei poteri occulti, il protettore dei corrotti,
il colluso con la mafia. L’altro, Orlando, l’uomo della trasparenza, il
paladino dell’antimafia, la bestia nera del malaffare. Un copione nuovo
per l’Opera dei pupi, un Orlando contro Agramante che si scontrano
sull’isola di Lampedusa. Poma, con la serietà del giornalista che non
ama correre dietro agli stereotipi, dati alla mano, smonta la leggenda e
restituisce un po’ di verità smentendo il copione.
Certo, Lima è uomo di potere,
i dati inquietanti di una gestione amministrativa sempre molto
chiacchierata, le inchieste che lo coinvolgono non lo possono far
collocare fra i santi ma alla fine non appare peggio di tanti altri che,
in quel tempo in cui tutto sembrava possibile, avevano amministrato la
città. Scriveva Poma che, perfino, sulle tante voci di collusione
mafiosa non una sola fosse stata suffragata da prove certe. Lima, pur
essendo riferimento del potere cittadino, quindi della borghesia degli
interessi, quelli che avevano, per essere chiari, la responsabilità del
“sacco di Palermo”, paradossalmente non si può dire che fosse dalla
stessa amato era solo sopportato in quanto considerato pur sempre un
parvenu. Su Orlando, “personaggio imprevedibile”, la cui vicenda occupa
circa l’80% dell’intero volume, è ancor più inclemente.
Ricorrendo, anche, al volume “Leoluca Orlando, ovvero il mercato dell’immagine”
scritto con un preciso intendo polemico da un intellettuale palermitano
già impegnato negli anni della fondazione della DC, comincia col
constatare che gli anni della sua gestione hanno segnato il disastro
finanziario del comune di Palermo e proseguendo con le tante promesse
mancate per arrivare al presenzialismo spregiudicato il cui unico
obiettivo, sicuramente quello raggiunto, sarebbe stato quello di
costruire, ricorrendo perfino alla menzogna, un’immagine personale che
doveva andare oltre i confini locali per proiettarsi sullo scenario
nazionale e, perché no !, perfino internazionale.
Le sue invettive sempre più forti contro
il sistema di potere e gli uomini che lo incarnavano, il tentativo di
demonizzare tutto e tutti, l’uso scorretto della calunnia, il
manicheismo per cui erano considerati buoni gli amici mentre gli
avversari non potevano che essere cattivi o perfino mafiosi ne faceva
una mina vagante col risultato di assestare colpi di maglio ad un
sistema politico che aveva molto da farsi perdonare. Poma ricostruisce,
così, la cronaca intensa di quegli anni che videro l’ascesa travolgente
di Orlando sul seggio più alto di palazzo delle Aquile fino alla
fondazione e al battesimo del Movimento politico “La Rete” che, se da un
lato sorprese per il suo eccezionale risultato alle elezioni siciliane
ne evidenziò i limiti progettuali, da oltre 211.000 voti nel 1991 si
sarebbe ridotto ai 16.000 nel 1996.
L’autore sottolinea inoltre la poca lucidità di chi avrebbe dovuto comprendere la pericolosità del personaggio
– per tutti i comunisti che avevano pensato di farne cavallo di Troia
nella loro battaglia contro l’eterno nemico democristiano – non
trascurando di lumeggiare le figure dei tanti protagonisti di quel
tempo, nemici e amici, a cominciare dal gesuita padre Ennio Pintacuda,
da qualcuno definito l’anima nera o il papa nero, il teorizzatore del
“sospetto come anticamera della verità”, che si ne assunse il ruolo di
regista delle performance di quello che mediaticamente veniva definito
il sindaco “antimafia”. Un libro, dunque, denso, informato, utile a
rinfrescare la tradizionale corta memoria della gente che andrebbe
aggiornato e ripubblicato, perché “ricordando i fatti si capiscano
meglio le ragioni che tali fatti hanno provocato e determinato”.
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