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lunedì 3 marzo 2014

Lima, Orlando e quel segno lasciato sulla storia di Palermo



27 febbraio 2014 - 19:02di PASQUALE HAMEL

Lima, Orlando e quel segno <br />lasciato sulla storia di Palermo
Le circa tre ore d’aereo che impegnano il viaggio andata e ritorno da Milano, le ho proficuamente impegnate con la lettura di un vecchio libro, acquistato oltre vent’anni fa e mai letto. Il titolo, “Lima e Orlando, nemici eccellenti” – prometteva molto , l’autore – del compianto Rosario Poma, un giornalista di razza, la prefazione, Roberto Ciuni, anche lui grande giornalista purtroppo venuto meno due anni fa.
Dentro le sue 140 pagine, un denso confronto fra due personaggi che hanno segnato la storia di Palermo e ne hanno condizionato il destino. L’uno, Salvo Lima, sul quale se ne state dette” di cotte e di crude”, considerato il male assoluto, l’altro, Leoluca Orlando, esaltato come il cavaliere della giustizia che combatte contro i terribili mostri che da sempre hanno mortificato le aspirazioni al futuro del popolo palermitano.
L’uno, Lima, il referente dei poteri occulti, il protettore dei corrotti, il colluso con la mafia. L’altro, Orlando, l’uomo della trasparenza, il paladino dell’antimafia, la bestia nera del malaffare. Un copione nuovo per l’Opera dei pupi, un Orlando contro Agramante che si scontrano sull’isola di Lampedusa. Poma, con la serietà del giornalista che non ama correre dietro agli stereotipi, dati alla mano, smonta la leggenda e restituisce un po’ di verità smentendo il copione.
Certo, Lima è uomo di potere, i dati inquietanti di una gestione amministrativa sempre molto chiacchierata, le inchieste che lo coinvolgono non lo possono far collocare fra i santi ma alla fine non appare peggio di tanti altri che, in quel tempo in cui tutto sembrava possibile, avevano amministrato la città. Scriveva Poma che, perfino, sulle tante voci di collusione mafiosa non una sola fosse stata suffragata da prove certe. Lima, pur essendo riferimento del potere cittadino, quindi della borghesia degli interessi, quelli che avevano, per essere chiari, la responsabilità del “sacco di Palermo”, paradossalmente non si può dire che fosse dalla stessa amato era solo sopportato in quanto considerato pur sempre un parvenu. Su Orlando, “personaggio imprevedibile”, la cui vicenda occupa circa l’80% dell’intero volume, è ancor più inclemente.
Ricorrendo, anche, al volume “Leoluca Orlando, ovvero il mercato dell’immagine” scritto con un preciso intendo polemico da un intellettuale palermitano già impegnato negli anni della fondazione della DC, comincia col constatare che gli anni della sua gestione hanno segnato il disastro finanziario del comune di Palermo e proseguendo con le tante promesse mancate per arrivare al presenzialismo spregiudicato il cui unico obiettivo, sicuramente quello raggiunto, sarebbe stato quello di costruire, ricorrendo perfino alla menzogna, un’immagine personale che doveva andare oltre i confini locali per proiettarsi sullo scenario nazionale e, perché no !, perfino internazionale.
Le sue invettive sempre più forti contro il sistema di potere e gli uomini che lo incarnavano, il tentativo di demonizzare tutto e tutti, l’uso scorretto della calunnia, il manicheismo per cui erano considerati buoni gli amici mentre gli avversari non potevano che essere cattivi o perfino mafiosi ne faceva una mina vagante col risultato di assestare colpi di maglio ad un sistema politico che aveva molto da farsi perdonare. Poma ricostruisce, così, la cronaca intensa di quegli anni che videro l’ascesa travolgente di Orlando sul seggio più alto di palazzo delle Aquile fino alla fondazione e al battesimo del Movimento politico “La Rete” che, se da un lato sorprese per il suo eccezionale risultato alle elezioni siciliane ne evidenziò i limiti progettuali, da oltre 211.000 voti nel 1991 si sarebbe ridotto ai 16.000 nel 1996.
L’autore sottolinea inoltre la poca lucidità di chi avrebbe dovuto comprendere la pericolosità del personaggio – per tutti i comunisti che avevano pensato di farne cavallo di Troia nella loro battaglia contro l’eterno nemico democristiano – non trascurando di lumeggiare le figure dei tanti protagonisti di quel tempo, nemici e amici, a cominciare dal gesuita padre Ennio Pintacuda, da qualcuno definito l’anima nera o il papa nero, il teorizzatore del “sospetto come anticamera della verità”, che si ne assunse il ruolo di regista delle performance di quello che mediaticamente veniva definito il sindaco “antimafia”. Un libro, dunque, denso, informato, utile a rinfrescare la tradizionale corta memoria della gente che andrebbe aggiornato e ripubblicato, perché “ricordando i fatti si capiscano meglio le ragioni che tali fatti hanno provocato e determinato”.

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